13 maggio 2015

1914/15 : neutralità svizzera e italiana


Settant’anni fa nel mondo occidentale si tirava un sospiro di sollievo: la guerra era finita. In Italia si festeggiava non solo la fine della guerra, ma anche la Liberazione dal nazi-fascismo. Le sfilate e le espressioni incontenibili di gioia rappresentavano per gli italiani la fine di un incubo e la riconquista della libertà. Anche cent’anni fa, a maggio, regnava in Italia una grande euforia, ma per una ragione inversa: si stava per entrare in guerra. Quella guerra che avrebbe causato all'Italia oltre un milione di morti tra militari e civili in cambio di territori che probabilmente avrebbe potuto ottenere in altra maniera.

Benedetto XV. Invano chiese ai capi di Stato
la fine della guerra e "una pace giusta e duratura"
Invano il papa Benedetto XV, eletto nel settembre 1914 quando da pochi mesi era divampata in Europa la grande guerra, aveva esortato i capi di Stato e di governo a far cessare le ostilità che avevano già provocato centinaia di migliaia di vittime, invitandoli a risolvere le controversie internazionali attraverso il dialogo e il negoziato. Tutti fecero orecchie di mercante. Anche l’Italia, che allo scoppio della guerra (luglio 1914) aveva dichiarato la propria neutralità.

La neutralità italiana
L’Italia, pur essendo alleata della Germania e dell’Austria (Triplice Alleanza) non era tenuta a intervenire a fianco dell’una o dell’altra potenza nel caso di una guerra di aggressione, per cui, secondo la stragrande maggioranza degli italiani, faceva bene a restare neutrale. Ma si trattava evidentemente di una maggioranza fragile. Bastarono infatti pochi mesi per farle cambiare opinione e, per dirla con Bruno Vespa nel suo ultimo libro Italiani voltagabbana, l’Italia che poteva restare neutrale «riuscì ugualmente a voltare gabbana» (già allora!).
Nei mesi di luglio e agosto 1914 era divampata in Italia la discussione se fosse più utile restare neutrali o, interpretando Machiavelli, approfittare dell’occasione per «fare il colpo» e strappare all’Austria le terre che l’Italia rivendicava per completare l’unità. In realtà l’Italia non era pronta al colpaccio perché dissestata finanziariamente a causa della guerra di Libia (1911-1912) e impreparata militarmente. I sostenitori della neutralità, tra cui molti cattolici, avevano anche altre buone ragioni per non entrare in guerra. Qualcuno avvertiva: «Guai se domani si potesse dire che l’Italia non tiene la propria parola, ma la tradisce; i primi a disprezzarci sarebbero quelli stessi che ora ci premono con le più dolci lusinghe e nessuno vorrebbe più trattare seriamente con noi». Ciò nonostante, la fila dei sostenitori dell’intervento italiano andava ingrossandosi sempre più nella prospettiva di ottenere grandi conquiste territoriali e morali.
Ufficialmente l’Italia si professava rispettosa della Triplice Alleanza, anche quando era evidente che per avere Trento e Trieste più alcune città dell’Istria il nemico da battere era uno Stato della Triplice, l’Austria. Del resto erano noti anche i sondaggi dell’Italia nel campo degli avversari, la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia). Un cronista dell’epoca descrisse la preparazione alla guerra dell’Italia come una sorta di vendetta «freddamente calcolata» per punire l’Austria della lunga occupazione di territori italiani.
A dare man forte ai fautori dell’entrata in guerra ci pensò fra gli altri Benito Mussolini, già socialista rivoluzionario e sostenitore della neutralità dell’Italia. Convertitosi alla causa dell’entrata in guerra, andava predicando che persistere nella neutralità assoluta sarebbe stato un errore e una colpa dei socialisti. La maggioranza del partito socialista in cui militava però non lo seguì e decise di espellerlo dal partito e dal suo giornale Avanti che allora dirigeva.

La neutralità svizzera
Imperterrito e indifferente alle accuse di essere un voltagabbana (del resto non unico in quel periodo), anzi di «traditore», fondò a Milano un altro giornale, Popolo d’Italia, che divenne un giornale di propaganda per l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria. Quanto Mussolini fosse abile nella propaganda lo dimostra il fatto che riuscì a mobilitare anche numerosi italiani residenti in Svizzera. Ad Ascona, per esempio, fin dal dicembre 1914 fu costituito un «Fascio autonomo d’azione rivoluzionaria» con lo scopo di svolgere un’attiva propaganda per l’intervento italiano.
Mussolini, che dalla Svizzera era stato espulso nel 1903 come sovversivo, doveva essersela legata al dito perché nella sua propaganda non esitò ad accusare la Svizzera di fare la neutrale ma strizzando l’occhio alla Germania e all'Austria. Era una sorta di luogo comune ritenere che la Svizzera fosse un Paese «tedesco» e dunque schierato dalla parte della Germania. In realtà, se è vero che una buona parte dell’opinione pubblica svizzero-tedesca aveva simpatie per la Germania, la Confederazione affermava in continuazione che intendeva restare assolutamente neutrale e pronta a difendere la sua sovranità contro «chiunque» avesse tentato di violare i suoi confini. Chi conosce il paesaggio svizzero sa quante migliaia di opere militari di difesa sono disseminate lungo tutta la frontiera e nei punti strategici per opporre in caso di aggressione una valida difesa. Molte di esse sono sorte in quel periodo.
Sta di fatto che, tra l’Italia e la Svizzera, quel sentimento di vigile diffidenza che ha caratterizzato le relazioni bilaterali fino ad allora, ossia dalle velate rivendicazioni sul Ticino fino alla paura che gli eserciti degli Imperi centrali potessero utilizzare il corridoio svizzero per giungere fino a Milano, ha spinto l’Italia a fortificare per parecchie decine di chilometri la frontiera con la Svizzera e la Svizzera a fare altrettanto.

Festeggiare la pace e ripudiare la guerra
Per fortuna tutte queste fortificazioni (a cui hanno lavorato decine di migliaia di persone e che sono costate ingenti somme di denaro pubblico), munite di armamenti leggeri e pesanti, non sono state mai utilizzate. Meriterebbero una festa proprio per questo. Invece di celebrare le vittorie, costate milioni di morti, bisognerebbe festeggiare la pace raggiunta e salvaguardata senza guerre. La storia insegna ormai abbondantemente che le guerre non risolvono i problemi dell’umanità ma rischiano di aggravarli. Quel che è scritto nella Costituzione italiana all'articolo 11 dei Principi Fondamentali credo che dovrebbe valere non solo per gli Stati, ma anche per i cittadini, ossia il «ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…».
Giovanni Longu
Berna, 13.05.2015