28 gennaio 2015

Italia: Presidente della Repubblica tra visioni e speranze


In Italia, l’attuale dibattuto sul Presidente della Repubblica non è limitato alla ricerca del prossimo inquilino del Quirinale, ma sta innescando una riflessione politica sul tipo di Stato che maggiormente converrebbe al Paese. Evidentemente per essere eletto Presidente non basta essere un cittadino di oltre cinquant’anni in possesso dei diritti civili e politici (così prescrive la Costituzione all’articolo 84). Le sue funzioni sono infatti molto impegnative e richiedono in chi sarà chiamato o chiamata ad esercitarle qualità umane e competenze di altissimo livello. Sarebbe perciò comprensibile e giustificata un’attenta valutazione da parte dei grandi elettori (deputati, senatori e rappresentanti regionali) per individuare la persona giusta al posto giusto ed eleggerla a maggioranza qualificata dei due terzi in uno dei primi tre scrutini.

Criteri di scelta: perché non l’elezione diretta?
Stando a quanto si legge e si sente nei media, sembrerebbe invece che la preoccupazione maggiore dei politici non sia tanto concentrata sulle qualità delle personalità che potrebbero entrare in linea di conto, quanto sulla loro appartenenza partitica o quantomeno sul loro orientamento politico e sul possibile ruolo che potrebbero assumere nella gestione dello Stato nell'attuale regime incentrato sulla partitocrazia.
C’è dunque da aspettarsi che la scelta avvenga non in base a criteri obiettivi di qualità, capacità, competenza, rappresentatività del Capo dello Stato, ma in base agli equilibri politici attuali e futuri (sperati) del Parlamento, ossia dei maggiori partiti. E siccome le forze politiche sono sempre schierate su fronti opposti, maggioranza e opposizione, nella scelta del nuovo Presidente sarà determinante il consenso della maggioranza (anzi del partito di maggioranza). Le opposizioni e le stesse forze minori della maggioranza, anche se nel Paese rappresentano insieme la maggioranza dei cittadini, finiranno per essere ininfluenti, a meno che non aggiungano voti a quelli del partito di maggioranza, magari in vista di qualche tornaconto.
Per evitare questi giochi di palazzo e, soprattutto, che il nuovo Capo dello Stato diventi una sorta di emanazione di una parte minoritaria del Paese, dal mio punto di vista sarebbe enormemente preferibile che l’elezione del Presidente della Repubblica avvenisse a suffragio universale. Si sarebbe così sicuri che essendo espressione della maggioranza degli italiani rappresenterebbe democraticamente «l’unità nazionale» (art. 87, primo comma della Costituzione) e potrebbe esercitare con maggiore autorevolezza dei suoi predecessori tutte le sue funzioni, quelle codificate e quelle di fatto esercitate finora dagli ultimi presidenti.
Perché allora non si interpellano direttamente i cittadini nella scelta del Capo dello Stato, visto anche che in tutti i sondaggi la maggioranza dei partecipanti preferirebbe la sua elezione diretta? E ancora, perché nell'ampio programma di riforme costituzionali dell’attuale governo non si accenna nemmeno alla riforma del Titolo II della Parte seconda riguardante il Presidente della Repubblica? Nessuno è forse in grado di dare una risposta soddisfacente, ma le ipotesi non sono tante. O non si ritiene tale riforma prioritaria o non la si ritiene opportuna e utile, almeno per ora.

Che tipo di Presidente intende Renzi?
Secondo me la riforma della Presidenza della Repubblica è solo rinviata perché si vuole dapprima portare in porto la riforma del Senato e del Titolo V sempre della Parte seconda (Regioni, Province, Comuni) e la legge elettorale, ma soprattutto perché s’intende nel frattempo rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio, come sta già avvenendo. Che questa sia una delle principali ambizioni di Matteo Renzi mi sembra evidenziato anche dall'alleanza di ferro (almeno finché non si rompe) per le riforme con Silvio Berlusconi, che è stato da sempre sostenitore di una semplificazione della struttura dello Stato, della priorità della governabilità sulla rappresentanza, del rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio a scapito di quello del Presidente della Repubblica e altre riforme.
Coerentemente con questa impostazione sembra perciò preferibile a Matteo Renzi e ai suoi sostenitori non solo non alimentare l’idea di un presidenzialismo utile all’Italia, ma anche eleggere ora un Presidente della Repubblica di basso profilo, che non segua insomma le orme di Giorgio Napolitano (soprannominato spesso Re Giorgio per l’uso talvolta al limite della costituzionalità dei suoi poteri), ma rientri per così dire nei ranghi e al massimo faccia da garante della Costituzione, ma non da arbitro della vita politica. Questa dovrà essere determinata, se andrà in porto la legge elettorale in discussione, dalle espressioni del partito che vincerà le elezioni. E’ dunque preferibile, nella prospettiva suesposta, che al nuovo Presidente della Repubblica non sia lasciato troppo spazio nel processo delle riforme, nell'attività del governo, nella politica estera, ecc.
In questa prospettiva si vorrebbe, insomma, una figura di garanzia, ma depotenziata rispetto agli ultimi inquilini del Quirinale. Il grande manovratore dovrebbe continuare ad essere l’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che pur avendo ricevuto da Napolitano ampio sostegno alle sue idee di riforma dello Stato ne ha dovuto subire anche il controllo. Tanto vale non rischiare col prossimo Presidente.

Verso un Cancellierato e una Presidenza della Repubblica alla tedesca?
Nell'ambito di queste speculazioni (perché certezze ovviamente non ce ne sono) si è visto la settimana scorsa un Renzi particolarmente a suo agio, nella sua Firenze, a fianco della cancelliera tedesca Angela Merkel in occasione dell’incontro bilaterale Italia-Germania. Era come se Renzi volesse mostrare all'illustre ospite non solo che l’Italia, Firenze in particolare, è bella e «sta facendo le riforme», ma anche che nel processo d’integrazione europea vuol contare di più, a fianco della Germania. La Merkel ha mostrato di gradire, anche perché ha trovato in Renzi non solo un interlocutore che ha smesso finalmente di parlar male del suo Paese, ma anche un convinto sostenitore dell’alleanza rinsaldata tra l’Italia e la Germania. TGCOM24 del 23 gennaio sintetizzava l’incontro con questo titolo: «Renzi, Merkel e l'inevitabile love story tra Italia e Germania».
Angela Merkel e Matteo Renzi
Renzi è riuscito a far incantare la sua omologa Merkel facendole visitare le bellezze straordinarie del capoluogo toscano e tenendo la conferenza stampa finale nientemeno che sotto lo sguardo, si fa per dire, dell’imponente David di Michelangelo nella Galleria dell’Accademia, ma soprattutto, forse, elencando la lunga serie di riforme già attuate o in via di attuazione, quelle ancora in discussione o appena abbozzate e persino quelle solo immaginate o sognate. Angela dev'essere stata colpita dalle visioni e dall'oratoria di Renzi, soprattutto quando ha detto che in Europa «insieme vogliamo difendere valori e ideali… Su questo mi impegno insieme ad Angela Merkel».
Non so se in quei momenti Matteo Renzi si sia sentito anche lui una specie di Cancelliere, ma deve aver goduto sicuramente quando la Cancelliera ha espresso tutta la sua fiducia nelle riforme dell’Italia. E chi può escludere che in qualche retropensiero Matteo abbia pensato che anche in Italia ci sarebbe solo da guadagnare se ci fosse una specie di Cancellierato e un Presidente della Repubblica alla tedesca.
Basterà comunque ancora qualche giorno di pazienza e l’arcano sarà chiarito. Non basteranno sicuramente giorni e mesi a portare l’Italia ai livelli della Germania in fatto di occupazione (specialmente quella giovanile), innovazione, competitività, moralità pubblica. E non dipenderà certamente dal Presidente della Repubblica!

Un buon presidente… come un direttore d’orchestra
Tanto varrebbe eleggere semplicemente un buon Presidente, che sappia svolgere i suoi compiti con spirito di servizio nell'interesse di tutti, ma soprattutto della democrazia e di quelli che hanno meno rappresentanza nei palazzi della politica. La Costituzione italiana non prevede un «primus inter pares», ma un «Primus super partes», anche se non vi figura questa espressione, perché come «Capo dello Stato» «rappresenta l’unità nazionale». Non ha propriamente «poteri», ma «funzioni». Queste dovrebbe svolgerle sempre nell'interesse generale. Tutti i suoi interventi non dovrebbero mai perder di vista questo obiettivo. Non solo, dovrebbe anche vigilare affinché tutte le istituzioni dello Stato operino con lo stesso spirito di servizio e nell'interesse comune.
Ho trovato molto pertinente l’immagine utilizzata dalla neopresidente della Confederazione svizzera per il 2015 Simonetta Sommaruga per caratterizzare il suo anno presidenziale (v. L’ECO del 21.1.2015), ma penso che possa esprimere bene anche le funzioni del Presidente della Repubblica Italiana.
Intanto la neopresidente Sommaruga, nel suo discorso d’insediamento, ha posto al centro delle sue attenzioni la democrazia diretta, non come omaggio formale al «sovrano», come qui si usa spesso chiamare il Popolo, ma come doveroso rispetto della volontà popolare, che si esprime sia attraverso le istituzioni e sia direttamente attraverso votazioni ed elezioni.
Rivolgendosi poi a tutti indistintamente, istituzioni e Popolo sovrano, ha visto il suo ruolo presidenziale come una specie di direttore d’orchestra che ha come unico obiettivo quello di far sì che i singoli componenti dell’orchestra si esprimano in armonia e contribuiscano a creare l’armonia, il benessere generale.
Vedrei bene anch'io il prossimo Presidente della Repubblica come un grande direttore d’orchestra, autorevole ma non autoritario, ascoltato e rispettato, capace di interagire, senza nulla imporre, col governo, col Parlamento, ma anche col coro dei cittadini, sottostimato e trascurato. Anzi, tutto dovrebbe partire dal popolo, dall'ascolto delle sue richieste e dei suoi bisogni, per cercate soluzioni condivise, guardando non solo all'oggi ma anche al domani, in Italia, in Europa e nel Mondo. Se il prossimo Presidente saprà creare armonia nelle istituzioni stimolandole a far meglio i loro compiti per il benessere generale… sarà un grande Presidente.

Giovanni Longu
Berna, 28.01.2015 (In realtà questo articolo è stato scritto il 24.1.2015)

27 gennaio 2015

Giorno della memoria: perché ricordare?


Erano trascorsi 60 anni dalla liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz (27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa) quando l’Assemblea delle Nazioni Unite, nel 2005, decise di dedicare ogni anno la data del 27 gennaio al ricordo dello sterminio del popolo ebraico: Giorno della Memoria. Voleva che questo ricordo, che si andava affievolendo, restasse per sempre impresso nella memoria collettiva quale monito contro ogni tipo di genocidio. Dalla liberazione dei superstiti di Auschwitz sono ormai trascorsi 70 anni e quel ricordo, anche se indiretto, è sempre vivo nello spirito di chi ama la libertà e odia la barbarie.
L'ingresso del campo di sterminio di  Auschwitz con la
famigerata scritta: Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi

Ho avuto l’opportunità di visitare, parecchi anni fa, il campo di concentramento di Dachau, vicino a Monaco di Baviera, e il campo di sterminio di Auschwitz, vicino a Cracovia in Polonia (dal 1979 Patrimonio dell'Umanità protetto dall'UNESCO). Li ho visitati entrambi insieme a un grande studioso delle atrocità naziste, un polacco, Stanisłav Musiał, scomparso da qualche anno.
Di Dachau mi diceva che quel poco ch’era rimasto non dava l’idea di quel ch’era stato in realtà quel Lager, perché i tedeschi ormai schiacciati dagli eserciti alleati, erano riusciti a distruggere gran parte delle prove materiali delle loro atrocità prima che giungessero i soldati anglo-americani e russi. 
Di Auschwitz provava orrore, perché in quel campo di sterminio erano morti alcuni suoi parenti. Anche da quel campo i tedeschi ormai prossimi alla disfatta cercarono di far scomparire gran parte delle installazioni che erano servite per eliminare oltre un milione di esseri umani. Lo stesso fecero in tutti i Lager abbandonati.
Cortile del blocco 11 col «muro della morte»
Per chi vuole esiste comunque una documentazione enorme che non lascia spazi al dubbio sull’efferatezza del genocidio e della barbarie nazista. Sulla base delle informazioni degli archivi e dei racconti dei sopravvissuti sono stati realizzati anche film giustamente famosi come, uno per tutti, quello di Steven Spielberg Schindler’s list (La lista di Schindler). E molti sono anche i luoghi testimoni dell’olocausto, soprattutto in Polonia, ad esempio, oltre ad Auschwitz, Bełżec, Chełmno, Sobibór, Treblinka, ecc. Insomma, quanto basta perché una persona onesta si renda conto di ciò che è stato fatto e di ciò che mai più dovrebbe succedere, anche in scala ridotta.

Forni crematori distrutti dalle SS prima di
fuggire (1945) 
e ricostruiti nel dopoguerra

Ricordare non significa infatti solo lasciare che la memoria riconosca attraverso immagini e luoghi quanto è stato commesso più di 70 anni fa, ma anche le cause soprattutto ideologiche che l’hanno provocato. In particolare, la pretesa superiorità di una razza (quella ariana) e di un popolo (quello tedesco) sul resto dell’umanità, tanto da far scatenare una «guerra totale» e lo sterminio di intere popolazioni («soluzione finale»).

Perché sia efficace, tuttavia, questa riflessione va attualizzata e personalizzata, come suggerisce Vittorio Foa nell’introduzione al libro di Primo Levi (ex deportato e sopravvissuto) «Se questo è un uomo»: «Sorgono allora delle domande: perché dobbiamo ricordare? E che cosa bisogna ricordare? Bisogna ricordare il Male nelle sue estreme efferatezze e conoscerlo bene anche quando si presenta in forme apparentemente innocue: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico si pongono le premesse di una catena al cui culmine, scrive Levi, c’è il Lager, il campo di sterminio».
Berna 27 gennaio 2015

Giovanni Longu