19 marzo 2014

Dopo il 9 febbraio: la Svizzera ha di che preoccuparsi?


La votazione del 9 febbraio 2014 sulla limitazione dell’immigrazione di massa ha spaccato la Svizzera in due, nel senso che la maggioranza che ha approvato l’iniziativa promossa dalla destra populista (50,3% dei votanti) ha vinto con meno di 20.000 voti di scarto. Dalle analisi del dopo voto è risultata tuttavia un’altra maggioranza ben più consistente, quella degli incerti e preoccupati sulle conseguenze della scelta fatta.
La decisione di gestire autonomamente l’immigrazione (reintroducendo i «contingenti» per i dimoranti stranieri) e rinegoziare l’accordo di libera circolazione con l’Unione Europea (UE) dando la priorità sul mercato del lavoro ai lavoratori residenti in Svizzera (principio della "preferenza nazionale") non è affatto piaciuta all’UE, che ritiene non negoziabile la libera circolazione dei cittadini europei.

Difficoltà con l’UE
Negli ambienti economici e nei principali partiti svizzeri cresce la preoccupazione non solo per le eventuali misure di ritorsione da parte dell’Europa, ma anche per le difficoltà concrete di fissare e gestire i «contingenti» (in quali settori, per quali attività, in quali regioni, ecc.?) e soprattutto per le conseguenze di una limitazione dell’immigrazione in base a criteri non consoni a uno Stato liberale. Oltretutto, gli stessi ambienti e il governo federale sono concordi nell'affermare che proprio gli accordi bilaterali con l’UE e la libera circolazione hanno contribuito finora in misura considerevole al benessere della Svizzera.
Proprio per questi timori, alcuni osservatori si sono chiesti se non fosse il caso di ripetere la votazione. Altri hanno riaperto, soprattutto nella stampa romanda, una vecchia discussione sulla sostenibilità di una forma di democrazia diretta in cui il popolo può prendere delle decisioni anche contro i propri interessi. Perché dunque non interpellare nuovamente lo stesso elettorato per chiedere se riconferma la propria volontà alla luce delle prevedibili conseguenze (negative) della decisione già presa?
Mi pare però che quest’ultima possibilità non sia andata oltre la semplice discussione giornalistica, tanto è vero che lo stesso governo ha escluso un ritorno alle urne in tempi brevi e si è messo subito al lavoro per cercare di tenere aperta la via bilaterale con l’UE per nuovi negoziati e contemporaneamente preparare la legislazione applicativa del nuovo articolo costituzionale approvato dai Cantoni e dal popolo svizzero.
Non è escluso tuttavia che proprio la nuova legge in preparazione, contro la quale verosimilmente verrà chiesto un referendum, possa provocare un nuovo ricorso al voto popolare e solo in quel momento si saprà qual è davvero la volontà della Svizzera non solo riguardo all'immigrazione (ponendo così fine definitivamente a una storia di votazioni in materia che dura da oltre quarant'anni!) ma anche riguardo alla sua collocazione in Europa.
Mauro Dell'Ambrogio
Nel frattempo mi sembra fondamentale che la politica ma anche i media facciano opera di corretta e completa informazione. Ho trovato ad esempio molto pertinente un recente intervento di Mauro Dell’Ambrogio, Segretario di Stato alla formazione e alla ricerca, secondo cui  «il voto del 9 febbraio mina ora le basi degli accordi bilaterali e riporta l’incertezza di vent'anni fa [ossia al 1992, quando il popolo respinse l’adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE) e seguirono tempi difficili per la Svizzera]. Cosa ci aspetta, se gli accordi bilaterali fossero disdetti, o anche solo congelato il loro adeguamento? Come saranno fissati e gestiti i contingenti per la manodopera estera, e con quali conseguenze per quali settori economici?». Sono evidentemente interrogativi non di poco conto, ma utili e necessari per la formazione dell’opinione pubblica.

Necessità di un consigliere federale italofono
In questa analisi a mio parere molto giudiziosa, Dell’Ambrogio non risparmia alcune critiche proprio al suo Ticino, che ha contribuito in misura determinante all'esito della votazione del 9 febbraio. «Anziché aspettarsi trattamenti di favore per avere fatto pendere la bilancia in favore del SI, il Ticino dovrebbe preoccuparsi del proprio sviluppo. I posti di lavoro, prima di distribuirli, bisogna crearli. Porre il freno ai posti malpagati per soli frontalieri è cosa ben diversa che creare posti meglio pagati. Il settore dove più facilmente il Ticino li creava, la finanza, è già tanto se li conserva, dopo che già è sparito il gettito fiscale».
Alle considerazioni e agli interrogativi sollevati da Dell’Ambrogio, che condivido, mi permetto aggiungerne un altro, forse non del tutto irrilevante: il Cantone Ticino, che ha contribuito in misura determinante all'esito del voto del 9 febbraio 2014, avrebbe votato alla stessa maniera se a Berna ci fosse stato un Consigliere federale italofono? Mi permetto di dubitarne. Un italofono in Consiglio federale avrebbe infatti contribuito a rafforzare, come hanno sempre fatto tutti i consiglieri federali italofoni, due elementi fondamentali della coesione e del prestigio svizzeri, ossia il legame confederale tra Berna e il Ticino e il legame d'amicizia e di collaborazione con l’Italia.
E’ innegabile infatti che in questi ultimi anni il Ticino si senta spesso trascurato da Berna, ad esempio sulla problematica dei frontalieri, e che le relazioni italo-svizzere non siano all'altezza della tradizione.
Perché la Svizzera resti un Paese coeso e veda maggiormente il proprio destino in Europa e con l’Europa, credo che siano importanti e urgenti sia la soluzione del problema della rappresentanza italofona in seno al Consiglio federale e sia la ripresa di eccellenti relazioni bilaterali con l’Italia.

Giovanni Longu Berna, 19.03.2014

Renzi tra annunci e incertezze


Matteo Renzi, per essere credibile, è costretto a passare dagli annunci in puro stile pubblicitario ai fatti. Finora ha elogiato il «fare» solo a parole, d’ora in poi deve fare davvero, traducendo gli enunciati in misure di governo, rispondenti alle esigenze del Paese e dell’Europa.
Matteo Renzi
Non c’è dubbio che le frasi ad effetto di Renzi nell'ultima fase del governo Letta e subito dopo la sua presa del potere abbiano suscitato grandi aspettative in tutte le fasce dell’opinione pubblica. E’ auspicabile, per il bene degli italiani, che le speranze nel nuovo governo non vadano deluse, ma non c’è dubbio che il rischio è grosso.
Intanto Renzi deve in qualche modo farsi perdonare lo sgarbo fatto al Paese di prendere il potere senza un reale consenso popolare, nonostante gli spergiuri che sarebbe andato a Palazzo Chigi (sede del governo) solo in seguito a una legittimazione del voto popolare (quello vero, non quello delle primarie di un partito). C’è invece andato aggirando l’ostacolo grazie all'avallo del Presidente Giorgio Napolitano, convinto che, insieme, avrebbero rimesso in moto la macchina dello Stato e messo a tacere le voci, per altro poco credibili, di quanti denunciavano i soliti giochi di palazzo.

Fare e convincere
Renzi deve dunque fare e convincere. E poiché ha sfidato l’opinione pubblica affermando: «più soldi in busta paga da maggio o sono un buffone», c’è da sperare che mantenga le promesse, non tanto per evitare la brutta figura, ma perché diversamente il Paese affonderebbe davvero nella palude. Se riuscirà a trovare le risorse necessarie nessuno potrà chiamarlo buffone, furbo illusionista, venditore di fumo, e tutti (o quasi, perché gli scontenti ci saranno sempre) gli saranno grati.
La speranza però non è una certezza e resta ancora da vedere dove il governo troverà i soldi promessi agli italiani. Questo è il vero banco di prova di Renzi. Personalmente sono fiducioso perché in Italia è possibile molto ricupero dai tagli alla spesa pubblica improduttiva e perché tutto si può dire dell’Italia, tranne che sia un Paese povero: la ricchezza privata degli italiani (oltre 8640 miliardi di euro) è più di quattro volte il debito pubblico (attualmente 2089 miliardi).
In questo rapporto, l’Italia sta meglio della Germania e della Francia. Perché Renzi non pensa (anzi, perché l’ha escluso?) a introdurre, come esiste in molti altri Paesi, una piccola imposta sulla ricchezza? Esiste persino in Svizzera e non si può dire che gli svizzeri navighino in cattive acque. Potrebbe apparire un’imposta inizialmente odiosa, ma colpendo soprattutto i patrimoni più consistenti, tutti finirebbero per farsene una ragione, compresi le banche, le imprese e i grandi capitalisti. Tanto più che questo gettito supplementare d’imposta potrebbe consentire allo Stato di abbassare realmente le imposte per tutti. Non è un paradosso non utilizzare a fin di bene (comune) l’enorme ricchezza disponibile posseduta dagli italiani?

Quali riforme costituzionali?
Un altro banco di prova del governo Renzi sono certamente le riforme costituzionali, annunciate a razzo, ma ad alto rischio di non raggiungere gli obiettivi. Ecco alcune domande le cui risposte mi appaiono particolarmente incerte.
Le prime questioni riguardano la legge elettorale, che dovrebbe avere la priorità assoluta per consentire di andare a votare, se necessario, anche tra pochi mesi. Ebbene, questa legge, che ha già superato lo scoglio della Camera dei deputati non senza difficoltà, ma che è già stata battezzata da alcuni (oppositori) come un «nuovo porcellum» o addirittura una legge «peggiore della precedente», riuscirà a superare anche gli ostacoli che già s’intravvedono al Senato? E ancora, si è proprio sicuri che anche questa legge sia priva di elementi d’incostituzionalità come la precedente? E ancora: di fronte a tanti ostacoli e obiezioni, non poteva Renzi pretendere se non le quote rosa almeno le preferenze? Infine, è proprio certo che Renzi voglia davvero una legge elettorale in tempi stretti?
Senato: da eliminare o da modificare?
Tra le riforme invocate a gran voce da Renzi figura l'abolizione del Senato. Sono molto scettico che vi riesca, soprattutto perché ne mancano le motivazioni. Basterebbe pensare che il bicameralismo è una caratteristica della maggior parte degli Stati e il monocameralismo è presente quasi esclusivamente nei piccoli Stati. Inoltre è un’istituzione fondamentale in tutti gli Stati federali e l’Italia, pur non essendo tale, ha aspetti di federalismo che meriterebbero di essere realizzati. Non basterebbe modificarne la composizione (riducendone drasticamente il numero dei membri) e la funzione? E poi, è pensabile che il Senato voglia davvero autoeliminarsi?
Su altre riforme ambiziose che vorrebbe fare Renzi (riforma della pubblica amministrazione, del mondo del lavoro, della Parte II, titolo V della Costituzione, ecc.) tralascio per ragioni di spazio, ma sarei curioso di sapere perché della serie non fa parte la modifica del Titolo II della Parte II, riguardante il Presidente della Repubblica. Eppure, a mio modo di vedere, proprio questa riforma introdurrebbe nel sistema Italia un elemento di chiarezza (quali sono i reali poteri del Capo dello Stato e quali quelli del Capo del Governo?) e forse di cambiamento strutturale decisivo per il futuro della Repubblica.
Giovanni Longu
Berna, 19.03.2014