08 febbraio 2012

Quel rompicapo del modello Rubik

Negli ultimi mesi del governo Berlusconi, a Berna si respirava aria di ottimismo in relazione all’avvio di un negoziato riguardante la trattenuta sui frontalieri e più in generale l’accordo sulla doppia imposizione. Sembrava che l’odiato ministro Tremonti si fosse ricreduto di quanto era andato dicendo per molto tempo sulla Svizzera, considerata un «paradiso fiscale» con cui sarebbe stato «inaccettabile» un accordo «contro lo spirito della direttiva europea» in materia fiscale. Nell’autunno dello scorso anno, anche in seguito alle pressioni della Camera dei Deputati e del Senato italiani, sembrava disponibile ad aprire un negoziato proprio partendo dal «modello Rubik», come chiedeva la Svizzera e suggerivano tutti i parlamentari italiani residenti in questo Paese.

Col ritiro del governo Berlusconi e l’entrata in servizio del governo Monti, tutti gli osservatori si aspettavano che la trattativa non incontrasse più ostacoli per partire. Ma già le prime battute del neopresidente del Consiglio lasciarono capire che l’accordo con la Svizzera non era una priorità della sua agenda politica. Fu una brutta sorpresa non solo per la Svizzera, che sperava di chiudere presto questo brutto capitolo dei rapporti con l’Italia, ma anche per i parlamentari italiani residenti in Svizzera che si erano spesi per far riaprire il negoziato. Uno di questi, Franco Narducci, ha espresso recentemente il suo rincrescimento perché «paradossalmente l'avvento del governo Monti ha bloccato il negoziato e per ora, nonostante le sollecitazioni indirizzate al governo stesso, Svizzera e Italia sono tornate a parlarsi soltanto attraverso i mezzi d'informazione».
In verità a bloccare il negoziato non è stato Monti, ma la contestazione che ha provocato in Germania l’accordo svizzero-tedesco in materia concluso lo scorso anno e le perplessità che suscitano in senso all’Unione Europea (UE) questo tipo di accordi fiscali. Che il modello Rubik sia un vero rompicapo è risaputolo, perché è un modo originale «svizzero» di salvare il più possibile il segreto bancario considerato irrinunciabile dalla Svizzera e allo stesso tempo salvaguardare l’essenziale della direttiva europea sulla fiscalità e dello scambio di informazioni automatiche ch’essa prevede.

Iniziativa svizzera per superare lo stallo
Alla Svizzera l’attendismo di Monti (in attesa che si definisca la posizione europea sulla fiscalità generale e delle imprese) e le perplessità dell’UE non piacciono, tanto più che sono in una situazione di stallo tutte le trattative bilaterali Svizzera-UE su numerose questioni. Per sbloccare la situazione, il neoministro degli esteri Didier Burkhalter ha inviato a Bruxelles una lettera, concordata con i colleghi di governo, per affermare la disponibilità e l’interesse della Confederazione ad aprire e concludere in tempi ragionevoli i negoziati riguardanti tutti i problemi aperti (accordo sull’energia, libera circolazione, ripresa del diritto europeo, fiscalità, salute, agricoltura e altri temi). In quella lettera Burkhalter ha proposto anche un «approccio coordinato» dei vari problemi, cioè la conduzione dei vari negoziati in parallelo.
Per quanto riguarda in particolare il tema «caldo» della fiscalità, sia l’imposizione delle imprese e sia la tassazione sul risparmio, il Consiglio federale ha fatto chiaramente intendere che non è disposto ad affrontare nuovi negoziati in materia se la Commissione europea non assumerà «una posizione costruttiva», rinunciando dapprima alle sue obiezioni contro l'entrata in vigore degli accordi fiscali che la Svizzera ha concluso nel 2011 con la Germania e la Gran Bretagna, entrambi basati sul modello Rubik (che prevede essenzialmente un’imposta liberatoria degli averi detenuti in Svizzera di cittadini residenti nei due Paesi e l’anonimato).

Buone prospettive di successo
Si sa che in questo momento nell’UE ci sono ancora alcuni Stati che sono tenacemente contrari a convalidare gli accordi già conclusi, ma ce ne sono altri che sono molto favorevoli. Specialmente la presidenza danese dell’UE ritiene opportuno un rapido rinegoziato con la Svizzera in modo che tutti i Ventisette beneficino della «generosità» elvetica, tanto più che Berna è ormai ben disposta ad uno scambio di informazioni per la domanda di assistenza tra le amministrazioni fiscali, autorizzando, a determinate condizioni, le domande collettive di informazioni. E’ evidente a questo punto che se non incontreranno altri ostacoli gli accordi già conclusi, ben difficilmente dovrebbe incontrarne quello ancora da negoziare tra la Svizzera e l’Italia.
Se a Mario Monti riuscisse di portare a casa anche un buon accordo italo-svizzero sulla fiscalità (e personalmente non dubito che gli riuscirà), sarebbe indubbiamente un gran successo per il suo governo più che tecnico. Non va infatti dimenticato che ad esso sono legati non solo i temi strettamente connessi alla tassazione dei capitali depositati in passato (legalmente o illegalmente) in Svizzera, ma anche la futura tassazione alla fonte dei redditi futuri, la problematica attuale della fuga dei capitali (che non avrebbe più ragion d’essere), la questione del ristorno integrale della trattenuta sui redditi dei frontalieri e soprattutto la serenità riconquistata dei tradizionali rapporti eccellenti tra i due Paesi in tutti i campi.

Giovanni Longu
Berna 8.2.2012

La «pax germanica» e i compiti a casa

In tutti i tempi sono state combattute guerre allo scopo di imporre la pace, ovviamente alle condizioni del vincitore o dei vincitori. Si parla, ad esempio, della «pax romana» per indicare quella imposta al vasto impero romano ai tempi di Augusto, della «pax americana» per indicare il lungo periodo di pace in occidente dopo la seconda guerra mondiale, della «pax britannica», dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte. Nella letteratura si trova anche l’espressione «pax germanica», per indicare l’unificazione degli stati tedeschi sotto l’imperatore Guglielmo I dopo la vittoria nella guerra franco-prussiana (1871). La «pax germanica» fu anche l’aspirazione della Germania imperiale in caso di vittoria nella prima guerra mondiale e l’ambizione nazista in caso di vittoria del Terzo Reich nella seconda guerra mondiale.

Predominio tedesco in Europa
Oggi, in Europa, la pace è una condizione consolidata senza particolari connotazioni. Ciononostante, ogni tanto si sente ancora parlare, soffusamente, di «pax germanica», «pax tedesca», alludendo evidentemente a una sorta di predominio della Germania nell’Unione europea, non solo in senso economico-finanziario (ordine nei conti pubblici, alta produttività, nel 2011 crescita del prodotto interno lordo del 3%, record ventennale del livello di occupazione), ma anche culturale (culto dell’efficienza, dell’ordine e della razionalità) e politico. Un indicatore significativo di questa situazione è l’ormai famoso «spread», ossia la differenza di rendimento tra i titoli di stato tedeschi e quelli di tutti gli altri Paesi dell’Eurozona. La Germania è ormai il modello di riferimento.
Grazie alla sua supremazia economico-finanziaria e alla sua influenza culturale, la Germania è anche il Paese che politicamente pesa maggiormente nell’Unione Europea. Lo sta dimostrando da mesi nella ricerca e nella prescrizione della cura per uscire dalle difficoltà in cui versa l’Eurozona, a causa soprattutto del debito pubblico di alcuni Stati, Grecia in primis, ma anche l’Italia.
Quando parlo di supremazia e di peso politico della Germania non intendo affatto suggerire l’idea che si tratti di una sorta di prevaricazione o d’ingiustificata pretesa di leadership della potenza tedesca, ma semplicemente costatare che la Germania della cancelliera Merkel ha in Europa un peso determinante, che gli altri Paesi di fatto le riconoscono. Oltretutto è anche il principale finanziatore dell'Europa comunitaria e chi più paga… più conta.
In effetti, senza il benestare della signora Merkel non vedranno la luce gli «Eurobond» di cui la Germania sarebbe il principale finanziatore e garante, mentre a beneficiarne sarebbero altri Paesi. Anche il cosiddetto «Fondo salva-Stati» dovrà accontentarsi per ora di 500 miliardi di euro invece dei mille miliardi auspicati da Monti. E la Banca centrale europea (BCE) non potrà acquistare in misura illimitata titoli del debito pubblico degli Stati in difficoltà perché la BCE non può diventare, secondo la Germania, prestatore di ultima istanza per gli Stati indebitati. Questi, sembra dire la Cancelliera, devono dar prova con una politica di rigore di poter risolvere (quasi) da soli le difficoltà in cui si sono cacciati.

Far bene i compiti
Per quanto la Germania possa apparire troppo dura (ad es. agli occhi del governo greco) o troppo restia ad aprire il borsello (agli occhi del governo italiano), tutti i Paesi dell’Eurozona sanno che senza di essa l’euro non potrà continuare ad essere una delle principali monete mondiali e la Grecia, e forse l’Italia e altri Paesi, non potranno restare a lungo nella zona euro. E tutti sanno che, se la locomotiva tedesca non continuasse a tirare, molti vagoni si staccherebbero dal treno europeo e andrebbero fatalmente incontro a un destino alquanto incerto o già segnato. Per questo non hanno altra scelta che fare i compiti loro assegnati. Anche l’Italia li ha dovuti fare.
La Germania naturalmente sa bene che solo imponendo la sua linea (fatta di rigore, disciplina, conti in ordine, riforme strutturali, liberalizzazioni, flessibilità del mercato del lavoro, impegno per la crescita) si riuscirà a salvare l’Eurozona, ma sa anche che solo in questo modo potrà salvaguardare i suoi interessi commerciali e finanziari legati a un euro solido e valido concorrente del dollaro americano. Nasce probabilmente da questi convincimenti non del tutto disinteressati quell’atteggiamento da maestrina esigente assunto talvolta dalla cancelliera Merkel, a quanto si dice, nell’assegnare i compiti da svolgere ai vari governi dell’Unione alle prese con un debito pubblico eccessivo e persino nel suggerire a qualche Capo di Stato come sostituire un governo ritenuto inadatto.
E’ difficile a questo punto fare pronostici seri per l’avvenire dell’Eurozona e della stessa Unione Europea e nemmeno la Merkel penso sia in grado di sapere se la «pax germanica» riuscirà a imporsi e quanto durerà. Ciò che mi pare invece evidente è che tutti i Paesi europei d’ora in poi i compiti dovranno farli seriamente e bene. Quanto all’Italia, il compito più importante mi sembra quello di una politica «sostenibile» che tenga conto delle future generazioni, ma francamente non so se l’attuale classe politica sia all’altezza di eseguirlo.

Giovanni Longu
Berna, 8 febbraio 2012