16 aprile 2010

Italianità in Svizzera: dibattito aperto

Mentre i rapporti italo-svizzeri ufficiali stentano a rimettersi al sereno, non si può dire che stia venendo meno l’interesse svizzero per l’Italia (probabilmente più che l’inverso) e tutto ciò che ha riferimento diretto o indiretto con l’italianità o italicità che dir si voglia.
Prendo come spunto per questa riflessione il recente saggio di Renato Martinoni, professore di letteratura italiana all’università di San Gallo, «L’Italia in Svizzera: lingua, cultura, letteratura, viaggi». Esso si riferisce soprattutto ai rapporti linguistici e culturali (in senso ampio) tra l’Italia e la Svizzera, ma è emblematico dell’interesse che c’è ancora per le cose italiane nonostante le note vicende di scarsa diplomazia tra i due Paesi.
In effetti l’interesse per l’Italia e per gli italiani, nel bene e nel male, compresi i pregiudizi da entrambe le parti non è mai venuto meno. Basta osservare il risalto che i media danno alle «notizie dall’Italia», accompagnato dalla meraviglia che suscita un Paese che continua a «tenere» nonostante la perenne conflittualità politica, il rischio di sgretolarsi da un momento all’altro a causa delle dinamiche opposte tra nord e sud, la presunta tendenza irreversibile al declino (soprattutto secondo certa stampa anglosassone).
L’interesse per l’Italia è grande in questo Paese. C’è la moda italiana che tira ancora. Ci sono i mille prodotti italiani che quotidianamente arrivano dall’Italia e sono consumati tanto dagli italiani quanto dagli svizzeri. C’è la Ferrari, c’è il Prosecco, c’è il made in Italy. C’è soprattutto l’Italia che già in questo periodo comincia ad attirare fortemente gli svizzeri per il suo mare, le sue spiagge, il suo sole, le innumerevoli città d’arte sempre belle da visitare.
A rafforzare l’interesse svizzero per l’Italia e il meglio dell’italianità c’è poi la presenza costante di mezzo milione di italiani che vivono in Svizzera. Non sono più i «Cincali» di una volta, muratori, lavapiatti e lavoratori e lavoratrici tuttofare, ma sono i più ben visti tra gli stranieri, anzi nell’opinione pubblica non vengano nemmeno più considerati stranieri, tanto sono ben integrati e li s’incontra praticamente ovunque e a tutti gradini della scala sociale e professionale.
A guardarli in faccia, a parlarci (in quale lingua? visto che ormai ne conoscono più d’una), non si direbbe nemmeno che sono italiani. In effetti, se non fosse per il passaporto, il cognome che portano e talvolta una particolare impronta somatica che ne attesta l’origine, potrebbero benissimo non essere italiani ma svizzeri. Invece sono italo-svizzeri, di fatto anche se non sempre di diritto, ossia un’entità sociologica nuova che va affermandosi sempre più e che meriterebbe di essere seguita più da vicino nella sua evoluzione.
E’ su questa nuova realtà che bisognerebbe focalizzare l’attenzione e la riflessione di coloro a cui sta a cuore l’avvenire dell’italiano e dell’italianità in questo Paese, invece di perdersi in tante chiacchiere inutili su questioni politiche italiane di scarso impatto pratico. E’ grazie a questo novum che il discorso in atto sul futuro dell’italiano e della cultura italiana in Svizzera assume una potenzialità quasi sconosciuta fino a una decina di anni fa. Per questo è importante che l’italofonia partecipi compatta a mettere in evidenza questa potenzialità e a progettarne e dirigerne il suo manifestarsi nei decenni a venire.
Giovanni Longu
Berna, 16.04.2010 [Internet]

14 aprile 2010

Diritto di voto agli stranieri

Il tema è sempre di attualità non tanto a livello federale, quanto a livello cantonale e comunale. A livello federale la Costituzione è chiara: hanno diritto di voto solo i cittadini svizzeri. A livello cantonale, invece, i singoli Cantoni possono decidere di concedere il diritto di voto e di eleggibilità anche ai non cittadini svizzeri, soprattutto a livello comunale.
Il diritto di voto e di eleggibilità è tornato di attualità nei mesi scorsi perché a marzo si sono tenute numerose elezioni comunali e cantonali e tra i candidati alcuni erano binazionali, ad esempio italo-svizzeri. Non so quanti di essi siano stati eletti, ma alcuni certamente. Il fatto che cittadini di origine migratoria abbiano potuto candidarsi ed essere eletti è stato per molti l’ulteriore conferma che per qualunque straniero che voglia fare politica attiva la via maestra è quella della naturalizzazione.
Un altro elemento che rende il tema attuale è che sono in corso di revisione alcune costituzioni cantonali, ad esempio a Ginevra, Vaud, Basilea Città. La domanda è semplice: prevederanno le nuove costituzioni l’estensione del diritto di voto attivo (diritto di votare e di eleggere) ed eventualmente anche passivo (diritto di essere eletti) agli stranieri a livello cantonale oppure lasceranno i singoli Comuni liberi d’introdurre il diritto di voto attivo ed eventualmente anche passivo solo a livello comunale? Non resta che aspettare l’esito delle revisioni in corso e successivamente il risultato delle votazioni popolari.
E’ lecito tuttavia azzardare dei pronostici. Alla luce di quanto è avvenuto in Svizzera negli ultimi anni non sembra realistico aspettarsi che qualche Cantone estenda agli stranieri il diritto di eleggibilità a livello cantonale ed è improbabile che aumenti il numero dei Cantoni che riconoscono il diritto di voto attivo. Ci sono invece buone prospettive che le nuove costituzioni cantonali lascino i Comuni liberi di introdurre il diritto di voto sia attivo che passivo a livello comunale.
Le resistenze a generalizzare il diritto di voto agli stranieri sono dovute essenzialmente a due considerazioni. La prima: tradizionalmente il diritto di voto è legato alla cittadinanza e poiché oggi la naturalizzazione, soprattutto per i giovani stranieri, è assai facilitata rispetto ad alcuni anni fa, molti svizzeri ritengono che se uno straniero desidera votare non ha che chiedere la cittadinanza svizzera. La seconda: da parte straniera la richiesta del diritto di voto negli ultimi anni si è notevolmente affievolita. Diceva recentemente un esponente del partito radicale ginevrino, Murat Julian Alder, al riguardo: «gli stessi stranieri non rivendicano il diritto di voto, essi comprendono bene la situazione».
Sembra difficile contestare tale affermazione. Basti pensare alla collettività italiana. Chi rivendica davvero il diritto di voto? Quali associazioni (tra quelle poche che ancora hanno un programma di attività) prevedono incontri, dibattiti su questo tema? Sembrerebbe anzi, purtroppo, che tutta l’attenzione sia rivolta alla salvaguardia dell’«italianità», nel senso di un’appartenenza più sentimentale che reale a un’Italia distante, esattamente come avveniva tra le grandi associazioni dell’epoca negli anni Sessanta e Settanta. Se l’informazione fornita dalla stampa destinata alla collettività italiana in Svizzera fosse un buon indicatore si direbbe che l’interesse al diritto di voto svizzero è pressoché nullo rispetto ad esempio all’interesse che sembrerebbe esserci per il diritto di voto degli italiani all’estero per l’elezione di parlamentari, rappresentanti del CGIE, Comites e quant’altro.
Eppure credo che il diritto di voto e di eleggibilità a livello comunale, dove cioè anche lo straniero ha i più forti interessi, sia un diritto che vada ancora rivendicato e possa, anzi debba, essere sganciato dal diritto di cittadinanza. Per molti stranieri di prima generazione, ma anche per una parte di quelli di seconda, il desiderio di poter contribuire col voto e con la partecipazione politica a risolvere i problemi locali è più forte del desiderio di cambiare nazionalità o di aggiungerne una seconda a quella che hanno.
Non va infine dimenticato che in questa direzione di grande apertura si sta muovendo l’Unione europea e di questa tendenza anche la Svizzera prima o poi dovrà tener conto. Tanto più che, soprattutto a livello comunale e di quartiere, il contributo che possono dare gli stranieri è estremamente importante e arricchente. Mentre appare sempre più ingiustificato che in certi Comuni, dove gli stranieri sono forse un quarto o un terzo della cittadinanza, non possano contribuire alla presa di decisioni che li riguardano. Per ottenere i risultati auspicati occorre che la tendenza in corso in Europa si rafforzi anche qui in Svizzera. Gli italiani, che furono tra i primi a rivendicare una partecipazione politica in questo Paese, non dovrebbero ridurre il loro impegno proprio ora.
Giovanni Longu
Berna, 14.04.2010