14 marzo 2012

L’Italianità s’è desta

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Chi pensasse che per l’italianità in Svizzera gli spazi si restringono sempre più deve forse ricredersi. E’ vero che il numero degli italofoni diminuisce vistosamente, ma per l’italianità sembrano invece aprirsi nuove prospettive. In questo senso fa ben sperare il neocostituito intergruppo parlamentare denominato «Italianità». E’ stato tenuto a battesimo il 7 marzo scorso in un celebre ristorante italiano di Berna dai copresidenti Silva Semadeni e Ignazio Cassis, entrambi consiglieri nazionali, con la partecipazione di una nutrita rappresentanza dei parlamentari italofoni o italofili già iscritti.

I due copresidenti, nella presentazione del gruppo, non hanno esitato a sottolinearne le ambizioni, in particolare quella di sollecitare la componente culturale italiana in Svizzera per riportare il dibattito sul piano nazionale e quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle esigenze dell’italianità soprattutto a livello federale. Per evidenziarne la portata, all’incontro erano presenti, oltre ad una trentina di parlamentari, il presidente del Gran Consiglio ticinese Gianni Giudicelli, la presidente del Consiglio di Stato grigionese Barbara Janom Steiner, l’ambasciatore d’Italia in Svizzera Giuseppe Deodato e diversi giornalisti.

La svolta nella difesa dell’italianità
La difesa istituzionale dell’italianità a livello federale era affidata finora alla sola Deputazione ticinese alle Camere federali. Ora però, come ha sottolineato il presidente della Deputazione Fulvio Pelli, «occorre uscire da una concezione regionale dell’italianità per entrare in una dimensione nazionale e persino internazionale», con riferimento esplicito all’Italia, che resta «il nostro interlocutore principale».
Nell’accogliere l’auspicio di Pelli, l’ambasciatore Giuseppe Deodato non ha mancato di evocare le attese della collettività italiana presente in Svizzera, che potrebbe esprimere ulteriormente le sue enormi potenzialità, se la Confederazione si impegnasse maggiormente nella promozione della lingua e della cultura italiana. Purtroppo l’ambasciatore ha dovuto ammettere che dall’Italia non giungono buone notizie proprio sul fronte della conduzione dei corsi di lingua e cultura per il taglio dei fondi deciso dal governo Monti. Egli ha fatto anche cenno alle recenti difficoltà tra i due Paesi, ma ha anche detto che occorre superare gli aspetti politici e privilegiare il contesto più generale, che vede i due Paesi schierati l’uno accanto all’altro, vicini anche umanamente e amici.
Nei giorni scorsi anche l’ambasciatore svizzero a Roma Bernardino Regazzoni ha sottolineato che, nonostante le divergenze soprattutto in materia fiscale, i due Paesi sono «più uniti di quanto sembri» oltre che ottimi partner commerciali (nel 2011 l’interscambio tra l’Italia e la Svizzera ha superato i 35 miliardi di franchi).

Valorizzare il carattere nazionale dell’italianità
Tornando al tema dell’italianità, vorrei aggiungere che l’intergruppo parlamentare è uno strumento importantissimo per tenere vivi il tema e le rivendicazioni dell’italianità a livello parlamentare (anche ai fini di favorire una sua rappresentanza in Consiglio federale), ma non può fermarsi entro le mura del Palazzo. E’ certamente un buon segnale che a farne parte siano parlamentari di ogni partito e di ogni provenienza geografica, perché saranno in grado di valorizzare l’italianità fuori dei territori della Svizzera italiana. Non basta cioè scrivere e rivendicare i diritti dell’italianità in Ticino e sui giornali ticinesi, ma anche a Zurigo, a Berna, a Basilea, a Ginevra, ovunque in Svizzera.
Ma l’italofonia non potrà essere difesa validamente solo dai parlamentari federali. Occorre, a mio parere, che l’intergruppo promuova la valorizzazione della lingua e della cultura italiana tramite ogni altra istituzione e organizzazione che comprenda tra i suoi scopi anche questo. I gruppi di sostegno già esistenti vanno riconosciuti e sostenuti. Altri che intendono costituirsi vanno incoraggiati. E’ quanto mai auspicabile che tutte le componenti ispirate dalla e all’italianità si mettano in rete in modo che l’informazione circoli e le forze si uniscano. Sarebbe anche auspicabile che l’enorme ricchezza creatasi in questi ultimi decenni con l’esperienza dei corsi di lingua e cultura, sostenuti finora esclusivamente dallo Stato italiano, trovi una riqualificazione e collocazione all’interno di un grande progetto di difesa e valorizzazione di questa componente fondamentale della Svizzera, appunto l’italianità.

Giovanni Longu
Berna, 14.3.2012

Cittadinanza agevolata per la terza generazione

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Da anni la parlamentare italo-svizzera Ada Marra sta conducendo una battaglia in favore della naturalizzazione agevolata per gli stranieri di terza generazione. Purtroppo la sua iniziativa («La Svizzera deve riconoscere i propri figli»), presentata al Consiglio nazionale nel 2008, sta incontrando ostacoli non previsti dalla stessa deputata, pur sapendo fin dall’inizio che le maggiori difficoltà sarebbero derivate dall’atteggiamento decisamente negativo dell’Unione democratica di centro (UDC).

Riprendo l’argomento già affrontato in precedenti articoli perché mi appare inspiegabile la lentezza della procedura a livello di commissione responsabile del Consiglio nazionale, che ha già esaminato l’iniziativa ed elaborato un progetto di legge e di modifica della Costituzione federale. Secondo Ada Marra, tale progetto è stato persino sottoposto per un parere ai Cantoni e sulla base delle risposte ottenute sono stati riformulati i due testi, pronti per essere trasmessi al Consiglio nazionale per la decisione di sottoporre o meno l’iniziativa al voto popolare. Infatti questo potrà aver luogo unicamente se il Consiglio approverà l’iniziativa, diversamente l’iniziativa decadrebbe. Spetta però alla commissione trasmettere il testo al Consiglio con una raccomandazione di voto.

Naturalizzazione a richiesta
Ben consapevole dell’opposizione che avrebbe suscitato in Parlamento e nell’opinione pubblica svizzera una proposta di «naturalizzazione automatica» già respinta più volte in votazione popolare, Ada Marra si era ben guardata dal presentare la sua iniziativa in questi termini. La proposta definitiva esclude pertanto qualsiasi automatismo e precisa che la persona interessata alla naturalizzazione agevolata (o i suoi genitori) debba farne richiesta. Persino Oskar Freysinger, uno dei massimi esponenti dell’UDC, mi aveva confermato in un’intervista (v. L’ECO del 29.6.2011) che sarebbe stato d’accordo a quanto sostenuto da Ada Marra, ossia «che si debba concedere molto facilmente il passaporto svizzero agli stranieri della terza generazione», purché non comportasse alcun automatismo, «ma solo dopo averne fatto domanda».
Insomma, tutto sembrava andare per il verso giusto fino al 23 febbraio scorso, quando la commissione ha deciso di sospendere per la terza volta (la prima nel 2010, la seconda nel 2011) i suoi lavori perché intende trattare il tema della naturalizzazione agevolata per gli stranieri della terza generazione nel contesto più ampio della revisione totale della legge sulla cittadinanza attualmente allo studio. Questa è a quanto sembra la motivazione ufficiale.

Cinismo o incomprensione?
Secondo Ada Marra, invece, l’iniziativa è ferma da oltre un anno in commissione per il boicottaggio dei membri dell’UCD, nonostante incontri il favore di tutti gli altri partiti, che la considerano un «progetto sensato ed equilibrato». La deputata socialista, figlia d’immigrati pugliesi, dotata di spirito battagliero e di grande passione civile, accusa gli oppositori all’iniziativa di «cinismo». La decisione di non trasmettere subito l’iniziativa al Consiglio nazionale non sarebbe altro che un pretesto per far pressione sui socialisti che vedono nella nuova legge sulla cittadinanza un peggioramento dell’accesso alla naturalizzazione per le persone più deboli socialmente ed economicamente.
A prescindere dalle questioni di diritto e procedurali che riguardano i meccanismi della preparazione dei testi di legge e delle modifiche costituzionali, appare chiaro che una parte consistente dei rappresentanti del popolo svizzero fa ancora fatica a comprendere non solo le ragioni del cuore dei giovani della terza generazione che aspirano alla naturalizzazione, ma anche quella che è divenuta ormai una questione di civiltà giuridica.
I giovani stranieri di cui si tratta sono infatti pienamente integrati e non si distinguono dagli svizzeri, salvo per il passaporto e per l’esercizio dei diritti politici, che vengono loro negati in base a concezioni giuridiche in via di superamento ovunque in Europa. Si tratta soprattutto di nipoti di immigrati venuti in Svizzera per lavorare, per svolgere molto spesso lavori necessari all’economia, che gli svizzeri non volevano più svolgere. Molti di questi all’età della pensione sono più rientrati al loro Paese, ma i loro figli (seconda generazione) molto spesso non li hanno seguiti, perché hanno trovato nella Svizzera la loro vera patria, anche senza averne il passaporto. Che cosa si deve dire a questo punto dei loro figli (terza generazione), che praticamente non conoscono altra patria se non quella in cui sono nati e cresciuti?

Un atto di civiltà
Piaccia o no la denominazione dell’iniziativa Marra, questi giovani sono figli di questo Paese e il loro riconoscimento come tali è non solo un atto di civiltà, ma anche di responsabilità. In altri tempi - perché la questione è sul tappeto della discussione politica da oltre un secolo – si sarebbe argomentato che è anche nell’interesse prevalente della Svizzera agevolare la loro naturalizzazione. Oggi tale argomento è meno invocato, perché nei fatti e nella vita sociale, economica e professionale (quasi) tutte le discriminazioni sono saltate (per fortuna!) e il contributo degli stranieri non è diverso da quello degli svizzeri. Proprio per questo ci si deve chiedere a chi giova continuare a considerare «stranieri» persone che sono integrate pienamente e considerano di fatto questo Paese la loro unica vera patria, pur senza rinnegare le loro origini e conservare magari legami affettivi con la patria dei loro nonni.

Giovanni Longu
Berna, 14.3.2012