24 novembre 2010

Collaborazione da costruire tra ticinesi e italiani a Berna

Il 15 novembre scorso si è svolto a Berna il previsto incontro sui «rapporti fra ticinesi e italiani fuori del Ticino tra conflittualità e collaborazione» (v,. L’ECO del 10.11.2010). E’ stato vivace, molto interessante e illuminante. Lo scopo era quello di appurare se esiste la possibilità di costituire a Berna una forza comune (sotto forma di associazione, comunità di lavoro o altro) in difesa e per lo sviluppo dell’italianità (lingua, rappresentanza, visibilità). Si trattava anche di verificare se esistono le condizioni per continuare ad organizzare le «serate italofone a Berna», iniziate nel settembre scorso.
La presentazione dei vari temi ha spaziato dai rapporti tra ticinesi e italiani della seconda metà dell’Ottocento fino ai giorni nostri. Il dibattito che ne è seguito tra il pubblico e i relatori (l’operatore sociale Dario Marioli e il ricercatore Giovanni Longu) è stato molto interessante e illuminante. Esso ha messo in luce fra l’altro che sul finire dell’Ottocento e inizio Novecento, nella Svizzera tedesca (e francese), italiani e ticinesi (anch’essi «migranti» nella Svizzera interna) erano generalmente uniti quando si trattava di rivendicare vantaggi per gli uni e per gli altri, erano invece in disaccordo quando i vantaggi o gli svantaggi riguardavano una sola parte. Così è stato, per esempio, durante gli scontri del famoso Käfigturmkrawall di Berna nel 1893, quando un gruppo di 50-60 manovali edili bernesi senza lavoro aggredirono in un cantiere operai italiani al lavoro, accusati di accettare paghe troppo basse e di portar via il lavoro agli svizzeri. I muratori e i manovali ticinesi erano schierati con i bernesi.

Rapporti tra ticinesi e italiani nel passato …
Quando nella Svizzera tedesca degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso (prima e dopo l’iniziativa di Schwarzenbach) anche i ticinesi si sentivano offesi (perché spesso considerati anch’essi dei Tschingg) e minacciati (perché a rischio di perdere il posto di lavoro in caso di chiusura forzata di fabbriche e cantieri) al pari degli italiani dai movimenti xenofobi, si schierarono apertamente contro questi movimenti. In realtà, anche in questa occasione essi difendevano insieme ai diritti degli italiani anche i loro. Nella vita di relazione, molti ticinesi soffrivano tuttavia di essere spesso confusi con gli italiani (col rischio di essere discriminati) e facevano di tutto per marcare la distinzione (ad esempio parlando tra loro il dialetto piuttosto che l’italiano, costituendo e frequentando gruppi e ritrovi diversi da quelli degli italiani, ecc.).
E’ stato anche osservato che ormai da molti anni praticamente sono scomparse le ragioni di una possibile conflittualità tra ticinesi e italiani, soprattutto di seconda generazione. Il fatto che non esistano più motivi di contrasti non significa tuttavia che tra i due gruppi ci sia vicinanza e collaborazione. Alcuni indizi farebbero anzi pensare che essi convivano sì pacificamente e persino con la porta spalancata al contributo di altri, ma stando attenti a salvaguardare la propria identità e autonomia.

…e oggi!
E’ emerso in particolare che i due gruppi sembrano non avvertire l’urgenza e la necessità di una difesa comune della lingua e della cultura italiana, soprattutto nella Svizzera tedesca e francese, dove l’italofonia e più in generale l’italianità o l’italicità sono alquanto minacciate. E non è apparso di buon auspicio il fatto che nella sala della Casa d’Italia di Berna a quell’incontro non abbia partecipato alcun rappresentante né della maggiore associazione ticinese, la Pro Ticino, né della maggiore associazione italiana, il Comitato cittadino d’intesa.
E’ vero che qualche segnale incoraggiante è stato dato dalla partecipazione di alcuni giovani, italiani e ticinesi, molto interessati alla problematica, ma forse non basta per avviare un processo virtuoso in favore dell’italiano e dell’italianità, che richiederebbe una convinta adesione sia delle principali istituzioni italofone della capitale e sia delle istituzioni ufficiali dell’italianità. Fino a quando questa consapevolezza sarà assente o carente in entrambi i gruppi principali dell’italofonia sarà difficile riuscire a muoversi in sintonia, elaborando progetti comuni e impegnandosi a realizzarli.

E domani?
Per una presa di coscienza forte e un avvio deciso della collaborazione tra ticinesi e italofoni non ticinesi fuori del Ticino è probabilmente necessario un intervento chiaro e determinato dell’unico Cantone italofono. L’arroccamento delle autorità politiche ticinesi entro i confini cantonali in nome della territorialità della lingua dev’essere superato. Questo concetto della territorialità da tempo non è più sostenibile, perché la lingua e la cultura italiana in Svizzera non sono cantonali ma nazionali. Questa apertura nazionale è stata recepita anche dalla recente legge sulle lingue e dalla relativa ordinanza applicativa. E’ auspicabile che venga recepita anche dalla politica cantonale ticinese. Diversamente sarà sempre più problematico rivendicare una rappresentanza dell’italianità della Svizzera, tale da non apparire puramente cantonale, ad esempio nel caso di una elezione per il Consiglio federale o nella ripartizione di fondi destinati alla difesa e alla promozione delle lingue minoritarie.
Non resta che augurarsi che soprattutto i giovani, molti dei quali con la doppia nazionalità, avvertano i rischi che la terza componente linguistico-culturale del Paese e la stessa coesione nazionale stanno correndo soprattutto nella Svizzera tedesca e reagiscano. Auspicando al tempo stesso che le istituzioni ufficiali ticinesi, ma anche quelle italiane, non si sottraggano al loro impegno di favorire la conservazione e lo sviluppo dell’italianità in Svizzera.

Giovanni Longu
Berna 24.11.2010

L’Ufficio federale di statistica compie 150 anni

Quest’anno l’Ufficio federale di statistica (UST) festeggia 150 anni! Un bel traguardo, soprattutto quando il festeggiato è non solo in piena salute, ma ancora in fase di sviluppo. Non poteva certo immaginarselo così il suo iniziatore Stefano Franscini, quando mise mano nel lontano 1851 alle prime statistiche sulla popolazione, e nemmeno i suoi successori almeno fino a una trentina di anni fa.
Entrato a far parte del primo Consiglio federale nel 1848, il ticinese Stefano Franscini ritenne da subito indispensabile un servizio statistico nazionale per conoscere e far conoscere la realtà svizzera a tutti i cittadini confederati, di cui non si conosceva ancora nemmeno il numero esatto. Fu lui ad avviare il primo censimento federale nel 1850 e fu lui stesso insieme al suo segretario a preparare le prime tabelle dei dati del censimento. Per questi lavori disponeva di 3000 franchi l’anno, saliti a 2.600 dal 1855.
Il «padre della statistica svizzera», morto nel 1857, non poté assistere alla nascita di un vero «ufficio statistico federale» da lui fortemente voluto. Esso venne infatti istituito con la legge federale del 21 gennaio 1860. Non fu un grande evento, ma l’importante era cominciare. Il primo nucleo statistico era costituito dal direttore Gustav Vogt, da un segretario e da un copista, sistemati provvisoriamente in un ufficio nella biblioteca del Parlamento nel Palazzo del Consiglio federale. Oggi, come noto, ha sede in due moderni edifici a Neuchâtel, che ospitano oltre 500 collaboratori e collaboratrici.
Nel corso di questi 150 anni, l’UST si è sviluppato in modo straordinario. La rilevazione statistica è stata rivoluzionata dall’avvento dell’informatica e i numerosi cambiamenti nella realtà economica e politica svizzera ed internazionale hanno dato nuovi impulsi alla produzione dell’informazione statistica, sempre più necessaria per qualunque decisione importante di politica economica, ambientale, culturale.
In questi 150 anni, l’UST, insieme ad altre fonti storiche raccolte nell’Archivio federale svizzero, ha contribuito in maniera determinante alla formazione della memoria storica della Svizzera e allo sviluppo di una coscienza democratica basata sulla conoscenza oggettiva della realtà nazionale e internazionale.

Immigrazione e statistica

Dal punto di vista della ricerca storica, l’UST continua anche a fornire un contributo essenziale alla comprensione del complesso fenomeno migratorio svizzero degli ultimi 150 anni. Non è pertanto possibile ricostruire, per esempio, la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera senza far ricorso ai dati dell’UST.
I primi dati sugli italiani a livello federale risalgono al 1850, quando ne vennero registrati 6123 italiani (+ 14377 sardi o savoiardi), saliti nel censimento del 1860 a 13828 (+ 16.931 savoiardi). Con i censimenti decennali successivi i dati raccolti sono stati sempre più dettagliati e precisi su una serie ampia di caratteristiche quali il sesso, l’istruzione, la lingua, la religione, il luogo di nascita, l’attività economica, il permesso di soggiorno, ecc.
Incrociando i vari dati è possibile oggi osservare come in un filmato l’evoluzione dell’immigrazione italiana in Svizzera, interessantissima soprattutto se associata alle analisi socio-politiche che se ne sono date nelle varie epoche. Ad esempio, è proprio sulla base dei dati statistici degli ultimi censimenti dell’Ottocento e d’inizio Novecento che lo studioso Carl Alfred Schmid comincia a parlare di Überfremdung (inforestierimento) e il commissario Giuseppe De Michelis invia le sue minuziose relazioni sull’emigrazione italiana a Roma. Ed è grazie alle rilevazioni dell’UST che si può conoscere quali attività economiche svolgevano e svolgono gli italiani, le loro condizioni d’abitazione, il loro stato di salute, il loro grado d’istruzione, il loro grado d’integrazione.
Il censimento del 2000 è stato una fonte straordinariamente ricca d’informazioni ed è auspicabile che almeno a intervalli decennali siano aggiornate non solo in generale, attraverso le pubblicazioni annuali sugli stranieri, ma anche nei particolari (doppia cittadinanza, distribuzione demografica, partecipazione alla vita artistica e culturale, reddito, ecc.). Anche per questo auguriamo all’UST lunga vita al servizio dell’intera collettività.

Giovanni Longu
Berna, 24.11.2010