11 giugno 2009

Se le parole hanno ancora un senso…!

Passando in rassegna alcune agenzie di stampa sul dibattito alla Camera dei deputati in relazione al disegno di legge sulle intercettazioni, mi ha colpito l’intervento dell’on. Laura Garavini, deputata del Pd eletta nella circoscrizione Estero, soprattutto per il tono del suo linguaggio (in linea del resto con molti suoi interventi contro il governo per la sua politica nei confronti degli italiani all’estero, che lei considera nient’altro che «operazioni punitive a danno dei connazionali»).
Capisco che in Parlamento chi è all’opposizione debba fare l’opposizione, ma non capisco che si limiti solo a dire no, senza motivarlo con argomenti convincenti. Quelli espressi dalla Garavini nel suo intervento alla Camera sulle intercettazioni sono addirittura contradditori. Da una parte riconosce che «formalmente i reati di mafia sono esclusi dalle restrizioni che il Governo vuole introdurre» e dall’altra afferma che «di fatto la riforma impedisce intercettazioni per tutta una serie di reati cosiddetti satelliti - come, ad esempio, l’usura, il traffico di droga, il traffico di rifiuti - che servono alle mafie per rafforzare il loro potere sul territorio». Eppure sembrerebbe evidente che se le intercettazioni sono ammesse per mafia e terrorismo lo saranno anche per tutti quei reati direttamente connessi.
Mi sorprende, inoltre, la Garavini quando sembra scandalizzata che il ddl preveda per l’autorizzazione delle intercettazioni per altri reati, «evidenti indizi di colpevolezza» per poi asserire, giocando sulle parole (ma le parole non si lasciano manipolare a piacere!), che in realtà «il provvedimento in esame obbliga gli inquirenti ad intercettare solo dopo aver acquisito le prove della colpevolezza di una persona». Davvero sorprendente: il ddl parla di «indizi di colpevolezza» e la Garavini legge «prove della colpevolezza», come se non conoscesse la differenza tra «indizio» e «prova». E’ dunque ragionevole autorizzare le intercettazioni in presenza di «evidenti indizi», mentre sarebbe inutile se esistesse già la prova provata.
Per quanto riguarda la tutela della privacy, ritengo fuori posto l’ironia (ma si tratta di ironia o di malafede?) della Garavini quando afferma che «con questa legge sulle intercettazioni il Governo non tutela la privacy dei cittadini, ma quella dei criminali, impedendo, di fatto, ai magistrati di intercettare e ai giornalisti di pubblicare le intercettazioni, pena il carcere». Non credo che le intercettazioni siano l’unico mezzo a disposizione degli inquirenti per trovare i criminali e non credo che il diritto di cronaca valga più del diritto alla riservatezza.
Purtroppo in Italia l’uso delle intercettazioni è divenuto esorbitante e dev’essere limitato. Bisogna anche stare attenti a non rendere l’Italia un Paese d’inquisiti perché se è vero che lo Stato ha il dovere di reprimere ogni forma di criminalità, ha anche il dovere di tutelare i cittadini nelle loro libertà fondamentali che la Costituzione dichiara «inviolabili», tra le quali figurano «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione». Trattandosi di beni preziosi e «inviolabili», «la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» (art. 15 della Costituzione).
Detto ciò, a prescindere dall’oggetto in discussione su cui è lecito esprimere opinioni differenti, auspicherei che anche in politica ci fosse un uso più garbato e corretto delle parole, anche per non dare l’impressione, soprattutto all’estero, di un Paese in cui il diritto di opinione e di parola è usato e abusato senza alcun autocontrollo e alcun limite, nemmeno quello della logica e del buon senso.
Giovanni Longu
Berna, 11.6.2009

09 giugno 2009

A quando un cambiamento della politica italiana?

Mentre scrivo sono noti solo i dati definitivi delle elezioni europee, ma non quelli delle amministrative italiane. A prescindere dai risultati credo che si possa sostenere che la campagna elettorale è stata – per quanto è possibile giudicare da chi osserva sommariamente le cose italiane dall’estero – di pessima qualità. Mi auguro che il popolo italiano provi un senso di ribellione alla maniera con cui è stato trattato.
E’ stato ricordato qualche settimana fa quanto aspra sia stata la contrapposizione tra monarchici e repubblicani per il referendum del 2 giugno 1946 e sono state evocate altre importanti votazioni, da cui sembrava dipendere il futuro dell’Italia. Ebbene, in tutte queste contese a dominare era sempre la passione politica per un ideale di buon governo, benché inteso in maniera diversa dai vari contendenti.
Questa campagna elettorale è stata invece combattuta all’insegna dell’antipolitica. La passione dei combattenti era solo viscerale e personale più simile a una voglia distruttrice (degli avversari) che al desiderio di mettere in campo soluzioni efficaci alle varie crisi che stanno mortificando l’Europa e l’Italia. E’ stata una campagna elettorale frustrante e disorientante.
Frustrante perché gli elettori si aspettavano indicazioni su un progetto politico per l’Europa dei prossimi anni e indicazioni su un progetto di amministrazione orientata alla soluzione dei problemi reali a livello comunale e provinciale. Invece è stata per gli uni (maggioranza governativa) una sorta di autocelebrazione e per gli altri (opposizioni) un vano tentativo a tutto campo di sgretolare il vasto sostegno popolare di cui godeva il principale avversario dopo le prove di efficienza dimostrate con la rimozione forzata della spazzatura in Campania, la gestione dell’emergenza terremoto in Abruzzo, il deciso contrasto alla malavita organizzata, il respingimento dei clandestini.
La campagna elettorale è stata anche fuorviante perché invece di focalizzarsi sui temi veri della politica, soprattutto in un momento di profonda crisi come quello attuale, si è incentrata sul pettegolezzo, su presunte storie di amori proibiti, di amanti, di festini disinvolti e persino su presunte corruzioni, detrazione di fondi pubblici, macchinazioni sovversive ecc.
Invece di dire agli italiani quale progetto di Europa dovrebbero contribuire a realizzare gli eletti, i big della politica non hanno fatto altro che attaccarsi come iene affamate, dando l’impressione, in sostanza, di credere ben poco in un’Europa in grado di dare regole comuni ai cittadini europei e impartire direttive precise per combattere la crisi, affrontare nella stessa maniera il problema degli immigrati, stabilire politiche comuni in campo energetico, militare, culturale, assistenziale, ecc.
Se la partecipazione al voto è stata così bassa (non solo in Italia) non dev’essere addebitata tanto al popolo italiano disinteressato alle questioni europee, ma alla meschinità dei politici italiani che hanno consumato le loro energie a denigrarsi a vicenda e rivendicare solo per sé il «voto utile». Ma quelli che hanno votato, stando ai risultati delle elezioni europee, hanno dato un chiaro segnale soprattutto ai partiti maggiori, privandoli di quel consenso a cui aspiravano. Il loro modo di fare politica deve considerarsi insoddisfacente.
I pochi accenni alla crisi imperante in Italia (come altrove) sono stati assolutamente contradditori: per gli uni c’è e si vede con chiusure di aziende, disoccupati in aumento, precari abbandonati a sé stessi, gente che muore di fame, milioni di italiani che stentano ad arrivare alla fine del mese; per gli altri, invece, la crisi c’è, ma il peggio è passato, per i disoccupati ci sono gli ammortizzatori sociali, nessun precario è lasciato solo, nessuno muore di fame e tutti possono arrivare alla fine del mese grazie agli aiuti sociali. A chi credere? Probabilmente a nessuno.
La campagna elettorale ha pure dimostrato che in Italia c’è, oltre a una grave crisi occupazione e sociale, anche una grave crisi di credibilità nelle istituzioni e soprattutto nella «casta» dei politici. Lo ha dimostrato proprio nell’affrontare la crisi, anzi nel non affrontarla con interventi e strumenti adeguati. Non che in altri Paesi sia stata affrontata meglio e risolta: gli Stati Uniti, da dove si è propagata al mondo interno, sono ancora in mezzo al guado; i Paesi europei, Svizzera compresa, non stanno certo meglio dell’Italia e anch’essi si dibattono contro una disoccupazione in aumento, la produzione in calo, la diminuzione delle esportazioni, il costo della vita che aumenta.
L’Italia, tuttavia, avrebbe potuto far meglio se solo avesse voluto attingere all’enorme risparmio privato, una montagna di denaro affidato alle banche e che avrebbe potuto essere immesso nell’economia per evitare il rallentamento della produzione, incentivare i consumi, mantenere a livelli accettabili la disoccupazione. L’Italia avrebbe fatto certamente meglio se le principali forze politiche di centrodestra e di centrosinistra si fossero coalizzate, anche solo temporaneamente, per individuare e adottare le soluzioni più idonee non solo per uscire dalla crisi, ma per trasformarla in una grande opportunità.
I politici italiani hanno invece preferito logorarsi a vicenda. Per questo sono colpevoli, perché avrebbero potuto stimolare la produzione e i consumi, avrebbero potuto avviare le grandi opere, avrebbero potuto mantenere alta l’occupazione, magari lavorando meno, e tutelare meglio chi perde il lavoro, avrebbero potuto prelevare un supplemento d’imposta, magari per una durata limitata, dagli alti redditi per favorire quelli più bassi.
Il fatto che in Italia, a livello politico, si stia combattendo una guerra di logoramento continuo dovrebbe far aprire gli occhi a quanti ancora si ostinano a non vedere che occorre davvero metter mano a importanti riforme costituzionali, lasciando intatto l’equilibrio dei poteri, ma ammodernando decisamente la struttura dello Stato, a cominciare dal Parlamento e dal Governo, e precisando meglio i ruoli della maggioranza e dell’opposizione.
A lungo andare, se il cambiamento non interverrà già in questa legislatura, ne risentiranno non solo la politica, ma anche l’economia, la qualità della vita degli italiani, il prestigio dell’Italia nel mondo. Per dare una spintarella è auspicabile un’ampia presa di coscienza da parte degli italiani, compresi quelli che stanno all’estero, superando almeno al riguardo, quell’eccesso di partigianeria legata a ideologie tramontate.
Giovanni Longu
Berna, 8.6.2009

08 giugno 2009

Se Berlusconi piange, Franceschini non ride!

Comunque si vogliano leggere i risultati delle elezioni europee in Italia, non c’è dubbio che si tratta di un cartellino giallo dato dagli elettori ai due principali antagonisti, Berlusconi e Franceschini. Se il primo piange, perché rimane lontano dagli obiettivi che si era posto, il secondo non ride perché è solo riuscito a evitare il crollo del suo partito.
Per far capire meglio la volontà popolare ai due partiti maggiori, che restano comunque gli unici veri candidati a determinare la politica italiana ancora per molti anni, gli elettori hanno dato un significativo premio ai partiti minori dei due schieramenti. Della Lega Nord, con oltre il 10% di consensi, sono stati premiati soprattutto l’attaccamento al territorio e la vicinanza ai problemi della gente; dell’Italia dei Valori è stata premiata, a mio parere, non tanto l’aggressività nei confronti del leader del Popolo della Libertà e della maggioranza, quanto piuttosto il forte richiamo ai «valori» morali e civici che dovrebbero caratterizzare anche la politica; dell’Unione democratica di centro, infine, è stato premiato l’equilibrio tra i due principali schieramenti e la moderazione dei toni nel dibattito politico, anche se la pochezza dei consensi non la legittimano a proporsi come terza forza.
In questa analisi parto dal presupposto che gli italiani diano per scontato che i principali attori politici alternativi devono essere due, con uno o due comprimari in ciascuno schieramento. I voti dati agli attuali comprimari in occasione di queste elezioni denotano a mio parere non un ripensamento del bipolarismo e bipartitismo, quanto la sottolineatura delle vistose lacune che caratterizzano i maggiori partiti. I cittadini italiani vogliono una politica più vicina ai problemi reali e meno legata all’ideologia, più concentrata sulle soluzioni efficaci che sulle grandi analisi, più collaborativa e meno litigiosa.
Non c’è dubbio che molti cittadini vorrebbero anche una maggiore attenzione dei partiti e dei politici ai valori morali, non tanto a quelli che concernono la sfera privata di ciascuno, quanto quelli che dovrebbero caratterizzare la vita pubblica, cominciando dai massimi livelli istituzionali. Nella politica non ci dovrebbe essere alcuno spazio per la corruzione, il clientelismo, i favoritismi, le raccomandazioni, le conversioni repentine vistosamente interessate, l’illegalità.
Ad essere brutali si potrebbe concludere che per raggiungere tali obiettivi bisognerebbe spazzar via un’intera classe politica o quanto meno decapitare la «casta». Ma oggi come oggi si correrebbe il rischio di veder presto risorgere dalle proprie ceneri non una nuova classe politica rigenerata, ma una classe politica trasformata solo superficialmente. Una vera rigenerazione comporta inesorabilmente nuove regole e dubito che l'attuale Parlamento sia intenzionato a volerle.
Volendo essere realisti ci si potrebbe accontentare di una presa di coscienza dei principali leader politici a lasciar fuori dal dibattito politico tutto ciò che è strettamente personale e cercare la massima convergenza possibile per dare immediatamente soluzione ai numerosi problemi economici e sociali posti dalla crisi e avviare le riforme istituzionali. Per queste ultime occorrerà più tempo, anche perché il popolo sovrano dovrà approvarle. Ma bisogna almeno impostarle, avviando anche nell’opinione pubblica un ampio dibattito.
Se l’intera classe politica dimostrerà nel breve e medio termine di non aver imparato nulla dalla lezione delle europee, sarebbe bene che il popolo italiano s’incaricasse di trovare soluzioni radicali alla prossima tornata elettorale.
Giovanni Longu
Berna 7.6.2009