20 gennaio 2009

Non è triste essere italiani in Svizzera

Prendo in prestito, con una leggera modifica, il titolo di un articolo che scrisse molti anni fa un amico giornalista. Riferendosi alla situazione migratoria italiana nel mondo scriveva: «non è triste essere un italiano che vive all’estero», presupponendo che la condizione di immigrato fosse vissuta come lo stato d’animo di chi si sente «cittadino del mondo».
Limitandoci alla sola Svizzera, dove risiede oltre mezzo milione d’italiani, e dando per scontato quel presupposto, l’affermazione di quel mio amico mi pare ampiamente condivisibile.
In questo Paese, infatti, la grande maggioranza degli italiani immigrati e la quasi totalità delle seconde e soprattutto delle terze generazioni hanno trovato il loro domicilio stabile e il luogo dei loro principali interessi, anche affettivi. Ormai, per la collettività italiana immigrata o con origini migratorie, la condizione legata direttamente o indirettamente all’immigrazione non è più vissuta in maniera traumatica o di forte disagio psicologico a causa della lontananza e della nostalgia.
L’emigrazione e la vita in Svizzera non sono più, come spesso lo è stato in passato, una sorta di esilio in Babilonia – per usare un’immagine biblica – dove non si smetteva di piangere al ricordo di Sion. No, la Svizzera non è (più) un luogo di pena, ma è per la stragrande maggioranza degli italiani qui residenti un Paese accogliente, che offre anche all’emigrato molte opportunità di riuscita.
E’ evidente che anche tra gli italiani ci sono le eccezioni. Ma con tutto il rispetto che si deve a chi soffre e a chi non ha ancora superato le difficoltà dell’integrazione sostanziale e di un sereno equilibrio, non v’è dubbio che, in generale, gli italiani in Svizzera non hanno motivo per essere tristi a causa della loro condizione migratoria.
Da alcuni decenni, ormai, la decisione di emigrare o di restare in questo Paese, anche dopo il pensionamento, è una scelta personale. Il regime di libera circolazione introdotto da anni, ha eliminato se non tutte almeno le principali ragioni che facevano ritenere la migrazione una specie di condanna o di maledizione o comunque una condizione molto penosa. Oggi, in generale, chi resta in Svizzera non è triste a causa della sua origine.
Eppure, durante l’anno appena trascorso, alcuni personaggi di spicco non hanno fatto altro che preannunciare disagi e disgrazie, come se la mannaia dei tagli governativi e il disinteresse della politica italiana fossero davvero in grado di travolgere tutto e tutti. L’idea di una Roma-dipendenza degli italiani in Svizzera è una sottovalutazione delle potenzialità di questa collettività che in buona parte si è fatta da sé e trova nello Stato italiano solo un sostegno sussidiario al proprio sviluppo, non la spinta vitale. Non hanno dunque motivo, i predicatori più pessimisti, di essere tristi e indurre tristezza.
Certo, in una realtà come quella svizzera, anche timori e preoccupazioni hanno la loro ragion d’essere. Ma nella valutazione complessiva di ombre e luci, queste prevalgono nettamente sulle prime. E poi, gli italiani hanno sempre dimostrato di sapersela cavare anche nelle peggiori situazioni. Se lo vorranno, potranno conservare e magari rafforzare la loro italianità, nonostante la crisi e i sussidi romani.
Dovrebbero prenderne atto anche gli onorevoli eletti in Svizzera e i membri del CGIE. Battersi per una causa giusta anche se concerne un numero limitato di persone è sacrosanto, generalizzare e amplificare situazioni particolari è irresponsabile e demagogico. Se poi, invece di cavalcare il disagio e la protesta, fossero più presenti tra i loro elettori e più produttivi di idee e stimolatori di iniziative, anche a carattere volontaristico, si renderebbero conto che le loro energie sarebbero mille volte meglio investite. E proprio in questo lavoro utile e fruttuoso troverebbero anch’essi buone ragioni per non essere tristi.
Certo, molte notizie che giungono ogni giorno dall’Italia non sono di quelle che sollevano il morale. Ferisce nel profondo gli italiani dell’estero sentir parlare ancora di mafia, corruzione, evasione, conflitti d’interesse, mala sanità, politica scalmanata e inconcludente, povertà in aumento, delinquenza diffusa e chi più ne ha più ne metta. Ma è proprio nei momenti di crisi che bisogna dar prova di ottimismo, non di abbattimento.
Tanto più che i motivi di speranza, pensando all’Italia, sono ben più consistenti delle ragioni del dubbio e dello scoramento. Basterebbe la considerazione che il popolo italiano è pieno di risorse, intraprendente, fondamentalmente ottimista, solare come il cielo che lo ricopre e aperto come il bel mare che lo avvolge, per rincuorarsi ed eliminare la tristezza.
Non ha ragione di essere triste, posto che lo sia, l’Ambasciatore d’Italia a Berna perché può senz’altro andar fiero di essere il primo cittadino di una comunità che tutto sommato fa onore all’Italia per la sua laboriosità, per la sua capacità di riuscita, per i traguardi raggiunti. E anche se all’orizzonte fa capolino di tanto in tanto qualche nube oscura, portatrice di qualche rivendicazione o contestazione indesiderata, potrebbe al massimo preoccuparsi ma non dovrebbe certo essere triste. Non basta una nube per turbare la tradizione consolidata dei buoni rapporti italo-svizzeri.
Non hanno ragione di essere tristi nemmeno quanti si erano a suo tempo mobilitati contro la chiusura del Consolato d’Italia a Berna, situato alla Belpstrasse 11. E’ vero, è stato trasformato in Cancelleria consolare, ma a parte il cambiamento del nome, i servizi consolari continuano ad essere erogati come prima e nella stessa sede. E chi ha ancora bisogno di rinnovare il passaporto o farsi fare una procura e quant’altro si faceva al Consolato fino al 30 novembre scorso, può continuare a recarsi negli stessi uffici, allo stesso indirizzo, per avere gli stessi servizi.
Questa sostanziale continuità dei servizi consolari di Berna potrebbe essere un buon motivo per essere un po’ più ottimisti anche riguardo ad altri campi, come quello della scuola e della cultura, su cui sembrano addensarsi nuvole minacciose. Perché non dar prova, anche in questi campi, di consolidate virtù italiche quali la speranza, la tenacia, la ricerca di alternative, la solidarietà, l’intraprendenza personale e collettiva?
Tutti dunque felici e contenti? Non esageriamo. Nessuno sa che sorprese ci riserva il 2009. Ma proprio per questo, guai abbandonarsi alla tristezza. E’ sempre meglio la speranza!
Giovanni Longu
Berna 20.1.2009

19 gennaio 2009

La Svizzera riconosca i propri figli «stranieri»!

I tempi della politica sono generalmente lunghi, in Svizzera forse ancora più che altrove, ma prima o poi i risultati arrivano. Sarà così anche per la naturalizzazione «automatica» della terza generazione? Speriamo, ma intanto si può già registrare il successo ottenuto nelle scorse settimane da una iniziativa parlamentare che, pur non chiedendo l’attribuzione automatica della cittadinanza svizzera agli stranieri di terza generazione, intende facilitarne l’acquisizione a semplice richiesta.
Nel giugno 2008, la consigliera nazionale italo-svizzera Ada Marra depositò al Consiglio nazionale una iniziativa, sottoscritta da altri 49 consiglieri, di questo tenore: «La terza generazione di stranieri stabilitisi in Svizzera deve poter ottenere la cittadinanza su richiesta dei genitori o dei diretti interessati».
A prima vista l’obiettivo potrebbe sembrare ben poca cosa. Infatti già ora le persone straniere di terza generazione possono richiedere la naturalizzazione tramite i loro genitori (nel caso di figli minorenni) o direttamente (se maggiorenni), ma senza garanzia di successo e attraverso una complessa procedura. L’iniziativa, invece, mira a superare questa semplice «possibilità», introducendo il «diritto» alla naturalizzazione a semplice richiesta dei genitori o degli stessi interessati.
Per capire meglio la portata dell’iniziativa, basta leggere la motivazione della combattiva consigliera nazionale Ada Marra a giustificazione della sua richiesta:
«La Svizzera deve riconoscere i propri figli e smettere di chiamare "straniere" persone che non lo sono. Infatti, le persone nate in Svizzera da genitori nati in Svizzera da genitori che hanno soggiornato per oltre 20 anni in Svizzera non sono più straniere: la maggior parte di loro conosce solo vagamente la lingua degli avi e non superebbe mai un esame linguistico teso a determinare se sono integrati nel Paese di cui hanno la cittadinanza. Le persone della terza generazione hanno solo legami di carattere turistico e simbolico con il Paese mitico degli avi e hanno invece le radici in Svizzera, indipendentemente dalla realtà in cui vivono e dal loro livello socioeconomico. Sono il prodotto della realtà elvetica. (…) La Svizzera è un Paese di immigrazione. Ma non si può certo parlare di immigrati quando siamo alla terza generazione che sta per mettere al mondo la quarta».
Prima di gridare «hurrà» è ovviamente indispensabile attendere che il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati si pronuncino definitivamente sull’iniziativa e soprattutto aspettare di conoscere come si tradurrà nella relativa legge. Dovrà dunque passare ancora parecchio tempo, purtroppo, prima che l’iniziativa Marra diventi legge dello Stato. E’ tuttavia importante che essa abbia già superato brillantemente gli scogli sia della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale che della corrispondente commissione del Consiglio degli Stati.
Queste approvazioni intermedie (fra l’altro a larga maggioranza) sono beneauguranti perché stanno ad indicare l’interesse del Parlamento a trovare una soluzione praticabile ad un problema che si trascina praticamente da oltre cent’anni.
Già verso la fine dell’Ottocento, infatti, quando in Svizzera la proporzione degli stranieri superava di poco il 10 per cento, molti politici, amministratori e intellettuali ritenevano che fosse un errore e una grave perdita considerare «straniere» persone nate e cresciute in questo Paese da genitori che vi si erano stabiliti definitivamente. Finirono per convincersene anche i deputati e senatori di Berna, tanto è vero che nel 1903 il parlamento federale approvò una legge che lasciava ai Cantoni la libertà di concedere automaticamente la nazionalità agli stranieri nati in Svizzera da genitori domiciliati.
Purtroppo nessun Cantone intese avvalersi di questa possibilità e quella legge finì per decadere. Ma il problema è rimasto ed è stato affrontato in più occasioni dal parlamento e dal popolo svizzero, ma senza mai concluderlo con una buona soluzione. Purtroppo, con motivazioni che sarebbe troppo lungo riprendere in questa sede, la maggioranza degli elettori ha sempre preferito mantenere una proporzione elevata di stranieri piuttosto che introdurre il diritto alla naturalizzazione, sia pure a condizioni minime indispensabili e valide per tutti e ovunque. In tal modo, non solo si sarebbe eliminata l’anomalia di cui parla la consigliera Marra, ma si sarebbe dato un decisivo contributo alla soluzione del «problema degli stranieri» e dell’«inforestierimento», che da oltre cent’anni pervade con pochi intervalli la politica svizzera in materia di stranieri.
Può darsi che l’iniziativa Marra, situandosi a metà strada tra la prassi attuale e la naturalizzazione automatica (bocciata l’ultima volta nel 2004 dal popolo svizzero), abbia successo non solo nel Parlamento ma anche, eventualmente, nell’elettorato.
A giustificare un certo ottimismo c’è anche il fatto che sono ormai in molti, probabilmente la maggioranza del popolo svizzero, a ritenere anacronistico che uno Stato democratico ed evoluto come la Svizzera, sempre più integrato in un’Europa della «libera circolazione delle persone», continui a considerare «straniere» persone che sono ormai tali solo sulla carta, mentre nella vita quotidiana, nei rapporti sociali e professionali, sono profondamente «svizzere». Diventa sempre più incomprensibile che non si trovi la maniera di considerare questi «stranieri di carta» (come li ha definiti qualche anno fa il Consigliere federale Moritz Leuenberger, «Papier-Ausländerinnen und –Ausländer») cittadini svizzeri a tutti gli effetti, dotati anche dei diritti politici.
Giovanni Longu
Berna 19.01.2009