11 gennaio 2012

2012: anno decisivo per l’Italia e per l’Europa

Ci sono nella storia di tanto in tanto anni memorabili perché segnano per una nazione o più nazioni o addirittura per il mondo intero una svolta importante e addirittura decisiva. Il 2012 potrebbe esserlo per l’Italia e forse per l’Unione Europea.
Da diversi decenni, in Italia, si naviga ormai a vista, senza una meta precisa perché i poteri istituzionali (parlamento e governo) non sembrano in grado di indicarla e tanto meno di raggiungerla. Non va meglio in Europa perché l’Unione Europea non è una federazione e non dispone di poteri «reali» per elaborare e realizzare una politica generale, economica, finanziaria e fiscale veramente «comunitaria». Inoltre l’Unione è fortemente sbilanciata tra i vari Paesi membri in base al prodotto interno lordo (PIL), all’indebitamento pubblico, al tasso di occupazione/disoccupazione, al tasso d’inflazione, alla soglia di povertà, ecc.
In questa situazione di grande disparità e incertezza, il fatto di avere una moneta comune, l’euro, non aiuta molto, anzi può essere un ostacolo. Per alcuni Paesi, il rischio di essere schiacciati da quelli più forti e marginalizzati in un’Europa a velocità di crescita diverse è reale.

Cresce l’urgenza di una svolta
Uno dei Paesi maggiormente a rischio è l’Italia. Per allontanare lo spettro della bancarotta (evocato all’inizio del suo mandato dal capo del governo Monti) non sono bastate le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia e la retorica dei celebranti tendente a rafforzare il senso di una patria coesa «una e indivisibile». Non sono bastate, finora, nemmeno le prime misure del governo Monti in aggiunta alle manovre del precedente governo. La situazione, infatti, non solo non è migliorata ma rischia di peggiorare. L’Italia sarà pure «una e indivisibile», ma il senso dell’unità è della solidarietà è fortemente carente, le disparità sociali restano enormi, la distanza tra Nord e Sud (in termini economici, culturali, sociali) aumenta invece di diminuire. Diventa perciò sempre più urgente invertire la tendenza e far sì che al Sud si produca altrettanto PIL (prodotto interno lordo, ossia ricchezza) che al Nord, che venga abbattuta la disoccupazione giovanile e generale, che i servizi pubblici funzionino come al Nord (sanità, trasporti, istruzione, burocrazia), che i cittadini del Sud si sentano finalmente responsabili del proprio destino.
Poiché è cresciuta la consapevolezza che se il fossato tra Nord e Sud si allarga rischia di venir meno non solo la coesione nazionale ma anche l’aggancio ai Paesi trainanti dell’Unione Europea, quest’anno potrebbe essere l’anno della svolta. Sarà così? Dipenderà sicuramente da molti fattori sia a Sud che a Nord, ma è indubbio che le attese principali sono poste nella capacità del governo Monti di avviare un autentico «federalismo» responsabile e solidale e una effettiva politica di sviluppo. E’ necessario e urgente che la politica per il Mezzogiorno fornisca sì risorse sufficienti e incentivi mirati alla crescita, ma faccia anche capire che la risorsa principale è la volontà di riscatto degli stessi meridionali, che il tempo dell’assistenzialismo è finito e il diritto al lavoro deve accompagnarsi sempre col dovere di cercare e creare da sé stessi le opportunità di lavoro sul territorio.

Responsabilità politiche enormi
Se questa politica non verrà avviata in tempi brevi il governo Monti perderà la sua sfida più importante. Il riaggancio al resto dell’Europa, soprattutto ai principali Paesi con cui l’Italia deve confrontarsi, Germania, Francia e Gran Bretagna, non dipenderà tanto dall’allungamento dell’età pensionabile e dal recupero dell’evasione fiscale (entrambi necessari) quanto piuttosto dalla capacità del Sud di produrre altrettanta ricchezza della media europea. Se le guardie di finanza vanno a Cortina o a Portofino per scovare gli evasori fiscali fanno bene, ma se il governo Monti non riuscirà a neutralizzare la criminalità organizzata del Sud e a imporre la legalità, a ridurre gli sprechi delle amministrazioni pubbliche, a sconfiggere la diffusa rassegnazione e il pessimismo dei meridionali, a ridare fiducia agli investitori e a sconfiggere anche lì la flagrante evasione fiscale, non ci sarà alcuna svolta significativa per l’Italia.
Non mi sembra che il nuovo governo si sia mosso finora con decisione in questa direzione e purtroppo né il Presidente della Repubblica, uomo del Sud e deus ex machina del governo Monti, né i grandi partiti che siedono (utilmente?) in Parlamento sono stati capaci di modificare in questo senso la cosiddetta manovra «salva-Italia», ritenuta da molti osservatori addirittura recessiva. Eppure è abbastanza evidente che senza crescita nel Mezzogiorno (il Nord cresce a sufficienza) non c’è crescita in Italia, non c’è possibilità di ridurre l’enorme debito pubblico e non c’è alcuna possibilità di competere con i Paesi europei più forti trainati dalla Germania. E’ dunque auspicabile che arrivino presto le giuste manovre: taglio degli sprechi e del superfluo, cominciando dalla politica, e incentivi per l’occupazione (con annessi e connessi come l’introduzione senza tentennamenti della flessibilità del lavoro) soprattutto giovanile e nel Mezzogiorno.

Giovanni Longu
Berna, 11.01.2012

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