23 novembre 2011

Per l’italiano occorre agire sui Cantoni

Dopo San Gallo e Obvaldo c’è da ritenere che l’attacco all’italiano continuerà ancora in altre scuole e in altri Cantoni. E la domanda mi viene spontanea: come finirà? Altrettanto spontanea mi viene la risposta: purtroppo male!, anche se la tendenza alla marginalizzazione dell’italiano fuori del Ticino (e del Grigioni italiano) sarà lenta. Le statistiche, indispensabili per conoscere la realtà, danno l’italiano in forte calo dovunque ad eccezione del Ticino.
Nel frattempo c’è chi disquisisce, legittimamente (ma quanto utilmente?), se l’italiano è lingua nazionale o solo regionale (senza per altro chiedersi e spiegare quali sono o sarebbero le conseguenze giuridiche e pratiche nel primo e nel secondo caso), chi denuncia «indignato» le inadempienze della politica (quella federale come quella cantonale soprattutto del Ticino), chi si cimenta nel dare consigli e suggerimenti «utili» su ciò che bisognerebbe fare o non fare, chi lancia grida di allarme all’attenzione del governo italiano per la deriva a cui sembrano condannati i corsi di lingua e cultura soprattutto nella Svizzera tedesca e francese e chi, impotente, sta a guardare.
Sono poi in molti che fondano le loro argomentazioni in difesa dell’italiano sul fatto che la lingua italiana in Svizzera è lingua «nazionale» e lingua «ufficiale», ma senza chiedersi la reale portata di queste espressioni. La Costituzione federale non va al di là delle affermazioni di principio né quando proclama la «libertà di lingua» (art. 18), né quando elenca le lingue «nazionali» (art. 4: «Le lingue nazionali sono il tedesco, il francese, l’italiano e il romancio») e nemmeno quando tratta più diffusamente delle lingue ufficiali (art. 70).

L’articolo costituzionale sulle lingue
Credo che per una discussione pacata sui problemi dell’italiano e soprattutto sull’impostazione di qualsiasi seria azione di salvaguardia dell’italiano soprattutto nella Svizzera tedesca e francese non si possa prescindere dall’art. 70 della Costituzione federale e dalla recente normativa sulle lingue. Per capirne la portata è tuttavia indispensabile ricordare che la Svizzera è un Paese federale, per cui le norme che concernono la Confederazione valgono in primo luogo per la Confederazione e non necessariamente vincolano anche i singoli Cantoni.
Nell’articolo 70, per esempio, al primo capoverso si afferma che «le lingue ufficiali della Confederazione sono il tedesco, il francese e l’italiano. Il romancio è lingua ufficiale nei rapporti con le persone di lingua romancia», ma nel secondo capoverso si dice esplicitamente che «i Cantoni designano le loro lingue ufficiali» con l’unica avvertenza che «per garantire la pace linguistica rispettano la composizione linguistica tradizionale delle regioni e considerano le minoranze linguistiche autoctone». Da notare con quanta accuratezza la Costituzione parli di «minoranze linguistiche autoctone» e non semplicemente di «minoranze linguistiche».
Nei successivi capoversi 3, 4 e 5 si parla della Confederazione come promotrice e sostenitrice di quanto i Cantoni fanno in ambito linguistico, menzionando in particolare «i provvedimenti dei Cantoni dei Grigioni e del Ticino volti a conservare e promuovere le lingue romancia e italiana». Ma non è precisato, per esempio, se il Cantone Ticino può sostenere l’italiano anche fuori del Ticino. Se così fosse, il Cantone dovrebbe spendere fuori del proprio territorio una parte del contributo finanziario che riceve nell’ambito della promozione linguistica. E’ sintomatico che questo problema non venga mai sollevato né dalle autorità cantonali né dalla Deputazione ticinese alle Camere federali. Meglio accontentarsi di prese di posizione ufficiali, che non costano niente.

Agire sui Cantoni
Va ancora aggiunto che, per quel che attiene alla sua competenza diretta, la Confederazione sembra seriamente impegnata a promuovere la terza lingua nell’Amministrazione federale e segno ne è il moltiplicarsi di corsi di lingua italiana anche tra i quadri medi e superiori dei vari dipartimenti e uffici. Per quel che concerne invece la sua competenza indiretta, per esempio il sostegno finanziario ai Cantoni nel campo della «promozione delle lingue nazionali nell’insegnamento» (art. 10 dell’ordinanza sulle lingue) o in quello della «promozione della conoscenza della loro prima lingua da parte degli alloglotti» (art. 11 della stessa ordinanza), la Confederazione sembra in posizione di attesa, perché i Cantoni non fanno e non chiedono generalmente niente.
Credo che la grossa partita sull’italiano la si giochi ormai soprattutto a livello cantonale. Solo le iniziative dei Cantoni, soprattutto quelli dove esiste ancora una discreta percentuale di italofoni, possono evitare il crollo dell’italiano su scala nazionale. E’ sui Cantoni che bisogna intervenire (com’è stato fatto nei confronti di San Gallo e Obvaldo), ma è anche sulla popolazione italofona che le associazioni e le organizzazioni dei genitori devono intervenire per motivare la frequenza dei corsi d’italiano, l’utilità dell’apprendimento dell’italiano, la difesa sul territorio dell’italianità.
Infine, perché non pensare, come suggerivo oltre un anno e mezzo fa, alla «cantonalizzazione» dei corsi di lingua e cultura italiane in una forma di cogestione e cofinanziamento tra lo Stato italiano e i Cantoni?

Giovanni Longu
Berna 23.11.2011

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