21 settembre 2011

Stranieri benvenuti quando servono e basta?

Qualche giorno fa su un quotidiano ticinese si poteva leggere su quattro colonne questo titolo: «Patrimoni: Svizzeri primi al mondo». Una bella notizia, ovviamente soprattutto per chi ne ha, ma anche per tutti gli altri in generale. Sembra infatti che gli svizzeri posseggano in media un patrimonio calcolato nella moneta europea di oltre 207.000 euro a testa. I diretti inseguitori (ma a che distanza!) risultano americani e giapponesi con 112.000 euro. Gli italiani si devono accontentare di 61.000 euro, ma possono consolarsi sapendo di essere più ricchi dei tedeschi che dispongono di appena 60.000 euro a testa.
Certo, non va dimenticato che con le statistiche bisogna essere molto prudenti per non incorrere nell’errore denunciato da Trilussa nella celebre poesia sulla statistica, per cui se uno ha mangiato due polli e un altro è restato senza perché non poteva permetterselo, per la statistica è come se ognuno ne avesse mangiato uno. Errori del genere a parte, per chi vive in Svizzera fa senz’altro piacere appartenere al club più ricco del mondo, soprattutto se sa di aver contribuito magari in prima persona alla formazione di tanto patrimonio.

Quale politica di naturalizzazione?
Nello stesso giornale, poche pagine più avanti si poteva leggere una presa di posizione del deputato candidato della Lega dei Ticinesi al Consiglio nazionale Lorenzo Quadri sugli stranieri. Titolo: «Il passaporto svizzero non si svende con i saldi». Conoscendo l’ideologia del leghista, non mi sono affatto meravigliato né del tono né del contenuto. In fondo è dai tempi di Schwarzenbach che la destra nazionalista va ripetendo che il passaporto svizzero è un premio per i più assimilati e non si svende.
Mi sorprende invece che il Quadri e quanti condividono le sue opinioni sugli stranieri non si rendano conto che una parte del problema degli stranieri nasce proprio dalla politica troppo restrittiva delle naturalizzazioni praticata fin dalla prima metà del secolo scorso. Forse è utile ricordare che le restrizioni introdotte con la legge sugli stranieri del 1931 non miravano a ridurre il numero dei lavoratori stranieri in Svizzera, ma a ridurre il numero dei «residenti» stranieri soprattutto come «domiciliati» e di conseguenza anche il numero dei naturalizzati. Tanto è vero che le naturalizzazioni sono rimaste per decenni ridotte a poche migliaia l’anno.
Allora e anche oggi - a quanto sembra dalla periodica campagna antistranieri dei partiti della destra nazionalista – si volevano non cittadini da integrare, ma lavoratori da utilizzare secondo la congiuntura. Il modello dello straniero era lo «stagionale», al quale rinnovare eventualmente il permesso di lavoro e di soggiorno in Svizzera di stagione in stagione. In base a questa politica per molti decenni sono entrati e usciti dalla Svizzera milioni di lavoratori, soprattutto italiani, lasciando sul posto un’infrastruttura ferroviaria e stradale estremamente ramificata, un’industria efficientissima, un’urbanistica moderna, un’economia d’esportazione fiorente, un patrimonio che guida le classifiche mondiali della ricchezza.

Per una nuova politica degli stranieri
Da alcuni decenni, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, soprattutto a livello europeo, la circolazione delle persone è cresciuta rispetto al passato. Oggi sono stati aboliti termini come stagionale, Gastarbeiter o Fremdarbeiter e si parla sempre più di cittadini, di libera circolazione, d’integrazione, di naturalizzazione facilitata o da facilitare per gli stranieri di seconda e terza generazione, di partecipazione.
E’ mai possibile che ci siano ancora persone con grandi responsabilità che non si rendono conto che l’immigrazione è soprattutto una ricchezza, che in un ipotetico bilancio ciò che i lavoratori stranieri danno è ben più di quanto ricevono? Lo diceva già nel 1972 il presidente della Confederazione Nello Celio.
E’ mai possibile che a certuni quando si parla di stranieri vengano in mente solo problemi, costi, casi di criminalità e una voglia matta di selezionare ancora gli stranieri separando quelli utili da quelli meno utili? Eppure anche i politici dell’estrema destra dovrebbero sapere che senza gli stranieri il benessere acquisito finora non potrebbe essere mantenuto a lungo e il futuro delle prestazioni sociali sarebbe meno certo.
Perché non introdurre anche nel vocabolari di certi politici termini come rispetto, comprensione, solidarietà, umanità?

Giovanni Longu
Berna, 21.09.2011

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