26 maggio 2010

La nuova legge sulle lingue salverà l’italiano in Svizzera?

Fra poco più di un mese entrerà in vigore l’ordinanza d’applicazione della legge federale sulle lingue (LLing). E’ ovvio che se ne parli e se ne scriva sui quotidiani svizzeri, perché il plurilinguismo è una caratteristica fondamentale della Svizzera, a prescindere dall’interpretazione che ne è stata data soprattutto negli ultimi cinquant’anni.

Tradizionalmente la lingua è stata considerata soprattutto in occidente come un elemento identitario dell’appartenenza a un popolo e a una nazione. Luigi Settembrini, scrittore risorgimentale, coetaneo alla costituzione della Confederazione (1848) e dell’Unità d’Italia (1861), annotò nelle «Ricordanze della mia vita» (pubblicate postume) che «quando un popolo ha perduto patria e libertà e va disperso pel mondo, la lingua gli tiene luogo di patria e di tutto». Questo era anche il pensiero prevalente allora e, in generale, anche oggi.
L’equazione lingua uguale patria ha tuttavia molte eccezioni e qualche complicazione. La Svizzera è un tipico esempio in cui l’identità nazionale non è rappresentata da una sola lingua. Non esiste infatti una lingua «svizzera», ma esistono ben quattro lingue nazionali, ossia il tedesco, il francese, l’italiano e il romancio. L’equazione lingua uguale patria vale in Svizzera a livello cantonale (con alcune eccezioni) e regionale, ma non a livello svizzero.
Eppure anche a livello federale la lingua ha la sua importanza per l’identità nazionale. Infatti uno degli elementi identificatori della Svizzera è il plurilinguismo sia istituzionale, riconosciuto dalla Costituzione svizzera, che reale, limitatamente alle quattro lingue menzionate. Con questa caratteristica è nata la Confederazione svizzera nel 1848 e questa caratteristica è stata rilevata ininterrottamente da 150 anni nei censimenti federali della popolazione.
E’ ancora attuale il plurilinguismo svizzero?
La domanda se la pongono in molti e le risposte non sono univoche. La risposta più semplice sarebbe: evidentemente sì perché è ancora iscritto nella Costituzione, di recente (2000) vi è stato aggiunto un apposito articolo costituzionale sulle lingue (art. 70) e dal 1° gennaio di quest’anno è in vigore la legge applicativa. Ma il fatto stesso che la domanda sia molto frequente negli ultimi vent’anni lascia intendere che qualche dubbio c’è.
Il dubbio ovviamente non concerne il contenuto della Costituzione, ma il modo in cui il plurilinguismo è inteso ed è vissuto oggi. E’ facile ripetere (da oltre 150 anni) che la Confederazione è plurilingue, resta invece impossibile affermare che gli svizzeri sono tutti plurilingui nel senso che conoscono (e praticano) le lingue nazionali riconosciute dalla Costituzione federale. E’ vero che molti svizzeri sono plurilingui, ma generalmente gli svizzeri sono monolingui, nel senso che in una regione linguistica determinata la lingua praticata dalla stragrande maggioranza degli abitanti è una sola. In realtà le quattro comunità linguistiche sono ben distinte fra loro, convivono una accanto all’altra e in parte s’ignorano. Lo notava già nel 1967 Friedrich Dürrenmatt: «Il rapporto [tra i gruppi linguistici] non è buono, anzi di per sé non esiste alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma non insieme. Quel che manca è il dialogo, il colloquio, la curiosità reciproca, l’informazione».
Se ne ha un’eco molto significativa anche nella legge sulle lingue che finalmente, dopo lunghi anni di gestazione, è entrata in vigore proprio quest’anno, anche se in parte ancora inattuata per mancanza della relativa ordinanza d’applicazione.
L’articolo 2 della nuova legge precisa gli scopi: «La presente legge intende: a. rafforzare il quadrilinguismo quale elemento essenziale della Svizzera; b. consolidare la coesione interna del Paese; c. promuovere il plurilinguismo individuale e istituzionale nell’uso delle lingue nazionali; d. salvaguardare e promuovere il romancio e l’italiano in quanto lingue nazionali».
A ben vedere si tratta di buone intenzioni che difficilmente potranno essere realizzate, a meno che nell’ordinanza di applicazione (ancora in consultazione) non si dica chiaramente cosa la Confederazione intende fare e quanto è disposta a spendere per «rafforzare… consolidare ... promuovere … salvaguardare». Solo un intervento convinto, finanziato sufficientemente, durevole e controllato potrà davvero dare un segnale di speranza soprattutto all’italiano praticato fuori del suo territorio naturale. In Ticino, infatti, l’italiano non corre alcun pericolo di estinzione, mentre nel resto della Svizzera s’indebolisce sempre di più, per non parlare del romancio.
Qualche dubbio sulla realizzabilità delle intenzioni espresse all’articolo 2 a dire il vero lo lascia trasparire già l’articolo 1 che recita: «La presente legge disciplina: a. l’uso delle lingue ufficiali da parte e nei confronti delle autorità federali; b. la promozione della comprensione e degli scambi tra le comunità linguistiche; c. il sostegno dei Cantoni plurilingui nell’adempimento dei loro compiti speciali; d. il sostegno ai Cantoni dei Grigioni e Ticino per le misure a favore del romancio e dell’italiano». Questo articolo contiene infatti ben poco d’innovativo e soprattutto di efficace circa l’uso delle lingue ufficiali in generale (e non solo nei confronti delle autorità federali) o la promozione della comprensione e degli scambi tra le comunità linguistiche.
La nuova ordinanza sulle lingue salverà i corsi d’italiano?
Prima di conoscere l’ordinanza d’applicazione della nuova legge non dovrebbe essere consentito il pessimismo. Ma è difficile scacciarlo alla luce di quanto è dato di osservare nella realtà sociolinguistica svizzera. Basti osservare la penetrazione decisa dello «Schwytzerdütsch», la diminuzione costante degli italofoni nella Svizzera tedesca e francese, l’utilizzo sempre più diffuso dell’inglese non solo nei grandi consigli di amministrazione, l’insignificante produzione letteraria in italiano, la scarsa lettura di opere e di giornali italiani fuori del Ticino, e mi fermo qui ma la lista potrebbe continuare.
E’ vero che qualche giorno fa il Corriere del Ticino titolava su cinque colonne «Ossigeno per l’italiano a Berna» per annunciare una certa disponibilità della Confederazione ad allentare i cordoni della borsa, ma non è chiaro dove i soldi in più (si tratterebbe di 2,5 milioni per le lingue minoritarie) verrebbero impiegati. Per aumentare il numero dei traduttori, magari verso il tedesco e il francese? Per finanziare qualche traduzione in più in italiano per sporadici lettori e arricchire qualche biblioteca? Per finanziare corsi d’italiano (e di francese) agli alti funzionari che non hanno alcuna nozione della terza lingua ufficiale? Si vedrà.
A proposito di «corsi d’italiano», già in marzo il Corriere del Ticino aveva suscitato un po’ di ottimismo intitolando un servizio da Berna «Sostegno ai corsi di italiano». Vi si poteva leggere, fra l’altro, che «il Governo intende finanziare la formazione dei docenti che assicurano i corsi di lingua e cultura italiana». In effetti il Consiglio federale si era dichiarato disposto a favorire la formazione dei docenti, senza specificare quali, ma già il 24 febbraio scorso, rispondendo ad una interpellanza della consigliera nazionale Kathy Riklin, aveva escluso interventi diretti della Confederazione per finanziare corsi di lingua, pur essendo disposta a «concedere ai Cantoni aiuti finanziari per creare i presupposti per l'insegnamento di una seconda e di una terza lingua nazionale».
In altre parole, i corsi di lingua e cultura italiana organizzati e finanziati attualmente dallo Stato italiano potranno essere presi in considerazione ai fini dei benefici finanziari previsti dalla legge sulle lingue solo se rientreranno in qualche modo nella competenza dei Cantoni interessati. All’on. Riklin che aveva chiesto espressamente «se l'articolo 16 della legge sulle lingue (LLing) non potrebbe costituire la base legale adeguata per garantire ai parlanti italiani e romanci la possibilità di un insegnamento nella loro prima lingua anche al di fuori della sua area di diffusione tradizionale» il Consiglio federale ha risposto che «la Confederazione potrà sostenere in tutti gli ambiti di promozione relativi all'articolo 16 LLing solo le misure richieste dai cantoni. La Confederazione non finanzierà corsi di lingua».
A questo punto, mi sembra legittima una domanda da rivolgere alle competenti autorità italiane: è pensabile una «cantonalizzazione» dei corsi di lingua e cultura italiane in una forma che preveda una sorta di cogestione e cofinanziamento? Diversamente, quale sarebbe l’alternativa all’attuale situazione dei corsi che non soddisfa più nessuno?
Chi potrà salvare l’italiano?
Guai tuttavia, ritenere che la salvaguardia della lingua e della cultura italiane dipendano unicamente dalle decisioni delle autorità scolastiche o dall’utilizzo di quei pochi spiragli che offre la recente legge sulle lingue e la prossima ordinanza d’applicazione. Credo che la responsabilità maggiore ricada sugli stessi italofoni. Sono loro che devono dimostrare che l’italiano è una lingua viva e utile e la cultura italiana meritevole di attenzione e diffusione.
In questo spirito si sta costituendo a Berna un gruppo di lavoro finalizzato alla creazione di sinergie tra italiani, ticinesi e svizzeri italofoni soprattutto di seconda e terza generazione. Vi fanno parte soprattutto rappresentanti del Comitato cittadino d’intesa e della Pro Ticino. Insieme, coinvolgendo evidentemente altre associazioni e istituzioni, già il prossimo autunno si metteranno in cantiere eventi all’insegna dell’italianità. Si vorrebbe dare un segnale forte, partendo da Berna capitale federale, che l’italianità è un valore nazionale svizzero da salvaguardare e sviluppare.
La buona volontà tuttavia non basta. Bisognerà che le istituzioni non vengano meno proprio ora ai loro compiti. Mi riferisco soprattutto al Cantone Ticino e allo Stato italiano: solo con il loro sostegno sarà possibile salvaguardare l’italianità in tutte le regioni del Paese. Adesso, grazie alla nuova legge sulle lingue, il Ticino potrà intervenire anche fuori del proprio territorio. Quanto allo Stato italiano, sarebbe un peccato che non continuasse più a fare la sua parte. In fondo in questo Paese continua a vivere mezzo milione di italiani.
Giovanni Longu
Berna, 26.05.2010

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