27 gennaio 2010

Il sorpasso: in Svizzera i tedeschi nuovamente primi

Siamo talmente abituati a leggere e scrivere che gli italiani in Svizzera (considerando tali quelli col solo passaporto italiano) sono sempre il gruppo nazionale straniero più numeroso, che potrà apparire sorprendente leggere d’ora in poi che questo primato gli italiani l’hanno perso, almeno in parte. «In parte», conviene subito precisare, perché la collettività italiana continua ad essere saldamente al primo posto tra la popolazione residente straniera, ossia considerando tutte le persone residenti da zero anni in su. Se invece si considera la cosiddetta «popolazione attiva», ossia quella in età lavorativa (occupata e disoccupata), al primo posto sono ormai balzati i tedeschi.
Già negli anni scorsi il tasso di immigrazione in Svizzera dei tedeschi lasciava intuire che si sarebbero assai presto ripreso il tradizionale primato che avevano detenuto ininterrottamente per oltre un secolo, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Gli italiani, che fino all’ultima decade dell’Ottocento occupavano il terzo posto, dopo i francesi, dal 1900 erano balzati al secondo, per salire incontrastati al primo posto allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Quando negli anni Settanta del secolo scorso l’Italia ha cominciato a trasformarsi da tradizionale terra d’emigrazione in Paese d’immigrazione e il saldo migratorio con la Svizzera (espatriati meno rimpatriati) è divenuto negativo, sembrava evidente che prima o poi gli immigrati italiani di prima generazione sarebbero andati esaurendosi. Non solo, in quegli anni caratterizzati, oltre che da un forte rientro in Italia di pensionati non compensato da nuovi arrivi, anche dall’acquisizione della nazionalità svizzera da parte di un numero crescente di giovani di seconda e terza generazione, sembrava che l’intera collettività italiana in Svizzera fosse condannata a ridursi considerevolmente.
In realtà il numero di italiani residenti nella Confederazione è rimasto abbastanza stabile sia perché il flusso dei rientri ha rallentato la sua corsa negli ultimi decenni e molti anziani preferiscono invecchiare in Svizzera e sia perché dal 1992 gli italiani naturalizzati svizzeri possono conservare la nazionalità italiana.
Popolazione residente e popolazione attiva
Per la statistica svizzera sugli stranieri, tuttavia, i doppi cittadini sono considerati unicamente come svizzeri, per cui quando si raffrontano nazionalità diverse sono presi in considerazione unicamente i cittadini con la sola cittadinanza originaria. Se dalla popolazione complessiva italiana si escludono i doppi cittadini, il numero dei residenti italiani si aggira ormai attorno a 295.000 persone (non sono ancora noti i dati precisi per la fine del 2009) con tendenza alla diminuzione. Essa risulta ancora la comunità straniera nazionale più numerosa.
Fino all’anno scorso gli italiani detenevano in Svizzera anche il primato della popolazione attiva, ossia della popolazione in età lavorativa. Oggi questo primato spetta ai tedeschi.
Stando ai dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), sottraendo dalla popolazione residente italiana i bambini e i giovani in formazione, gli anziani e quanti altri per diverse ragioni sono fuori del mercato del lavoro, la popolazione attiva italiana si riduce a poco più 164.000 persone. Facendo la stessa operazione con la popolazione complessiva tedesca, che si aggira ormai attorno alle 260.000 persone, si raggiunge e si supera sia pure di poco la cifra degli italiani. Il sorpasso sul filo di lana, per usare un’espressione sportiva, è avvenuto nel corso della prima metà dell’anno scorso ed è destinato con ogni probabilità a confermarsi in questo e nei prossimi anni.
A far diminuire la popolazione complessiva italiana contribuisce non solo il saldo migratorio costantemente negativo (anche se nel 2007 e 2008 è stato positivo, rispettivamente +2213 e +4493), ma anche l’alto numero dei naturalizzati svizzeri (9550 nel biennio 2007-2008). Esattamente l’inverso avviene da alcuni decenni per la popolazione tedesca che cresce ogni anno grazie al saldo migratorio positivo (+30.495 nel 2007 e +34.153 nel 2008), all’incremento naturale (più nascite che decessi) e al modesto numero di naturalizzazioni (4383 nel biennio 2007-2008). Il risultato è stato dapprima il rapido avvicinamento degli «attivi» tedeschi a quelli italiani e poi, l’anno scorso, il loro superamento. E’ interessante notare che un percorso simile, ma a parti inverse, era stato registrato in Svizzera tra le due popolazioni esattamente un secolo fa.
Tedeschi e italiani a confronto
Confrontando la popolazione residente complessiva degli italiani e dei tedeschi, salta facilmente agli occhi la differente piramide dell’età. Mentre quella italiana somiglia ormai a quella svizzera con una ripartizione omogenea tra le differenti classi d’età, quella tedesca è piuttosto tipica di una popolazione di migranti, con un ingrossamento nella fascia centrale dai 25 ai 54 anni e due restringimenti nella classe d’età da 0 a 14 anni e in quella degli ultrasessantacinquenni.
Se invece della popolazione residente si considera la popolazione attiva le differenze che saltano agli occhi tra italiani e tedeschi sono, oltre alla struttura dell’età, il grado di formazione, il settore d’occupazione, la posizione professionale e il tasso di inoccupazione.
I tedeschi che esercitano un’attività lucrativa in Svizzera hanno per il 62,0% una formazione di grado terziario (con titolo universitario o equivalente), mentre tra gli italiani questa percentuale scende al 19,3%. Per gli svizzeri essa si situa al 33,7%. Hanno invece un titolo di scuola media superiore o formazione professionale completa il 35,1% dei tedeschi, il 51,2% degli italiani e il 53,7% degli svizzeri. Sotto questo aspetto, gli italiani rassomigliano ancora una volta più agli svizzeri che ai tedeschi.
Quanto al settore d’occupazione, tanto gli italiani quanto i tedeschi sono più attivi nel terziario che nel secondario, ma con una proporzione differente: per gli italiani è di poco più di due a uno, mentre per i tedeschi di poco più di tre a uno. Per gli svizzeri la proporzione è di quasi quattro a uno.
E’ interessante osservare la posizione che occupano nella professione i tre gruppi di popolazione esaminata. In base alla rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera effettuata dall’UST nel secondo trimestre del 2009, sono dipendenti senza alcuna funzione dirigente circa la metà dei lavoratori tedeschi e italiani e il 46,8% degli svizzeri. Le maggiori differenze si notano nelle posizioni di «indipendenti, familiari coadiuvanti» (svizzeri 17,1%, italiani 12,9%, tedeschi 9,6%), «dipendenti membri della direzione» (rispettivamente: 13,7%, 14,9%, 16,6%) e «dipendenti con funzione dirigente» (16,7%, 25,0% e 14,0%). In questo ambito spiccano soprattutto l’alta percentuale dei quadri tedeschi (25%), ma anche l’elevata percentuale degli italiani nella posizione di membri di direzione (16,6%).
Sono invece nettamente sfavorevoli agli italiani i dati sull’inoccupazione: per loro il tasso era nel 2° trimestre dell’anno scorso del 4,6%, contro il 3,2% degli svizzeri e il 2,9% dei tedeschi.
Sviluppi prevedibili
Sempre più spesso la stampa quotidiana e periodica si occupa della presenza tedesca in Svizzera e sono in molti a interrogarsi se stia tornando la paura dei tedeschi. Le risposte sono quasi tutte tranquillizzanti, ma tra le righe si nota qua e là qualche perplessità. Già il fatto che gli arrivi di germanici siano ogni anno diverse migliaia e che si tratti generalmente di persone con una formazione spesso molto elevata e una qualifica professionale superiore pone qualche interrogativo. Se poi si osserva che tra i nuovi arrivati vi sono molti imprenditori, manager, professori universitari, medici, direttori di banche, ingegneri, ecc., attratti soprattutto dai più elevati salari svizzeri, è facile far ricordare a chi conosce bene la storia patria i tempi in cui le università, la letteratura, la stampa erano impregnate di cultura tedesca.
Un partito di destra, la solita Unione democratica di centro (UDC, il partito di Blocher, tanto per intenderci), l’anno scorso aveva lanciato l’allarme su un grande quotidiano zurighese contro «l’arroganza straniera», perché «i tedeschi preferiscono dare lavoro ad altri tedeschi, nelle università come negli ospedali». Sembrava di leggere uno scritto di quei critici dell’inizio del secolo scorso che sollevarono per primi i problemi dell’inforestierimento (Überfremdung). Senza tener per nulla conto che da allora era passato ormai più di un secolo! Senza tener conto soprattutto che le università sono più aperte di una volta, il lavoro si è internazionalizzato, le economie sono interdipendenti, la libera circolazione delle persone è almeno in Europa un fatto acquisito. Giustamente l’atteggiamento dell’UDC venne stigmatizzato da 200 professori universitari di Zurigo. Non è più il tempo delle paure, ma delle aperture.
Certo, la storia dovrebbe insegnare anche ai tedeschi che in Svizzera, come in ogni Paese con forti tradizioni e un profondo senso di appartenenza, per essere accettati pienamente bisogna integrarsi, rispettare la cultura specifica locale, accettare anche certe regole non scritte ma importanti, com’è per gli svizzeri ad esempio l’uso quotidiano dello «schwyzerdütsch», quando non è necessario il buon tedesco.
I tedeschi, da parte loro, si dichiarano ben disposti verso l’integrazione e non c’è ragione per dubitarne. A garantirne il risultato credo tuttavia che occorra non solo una certa vigilanza, ma anche la presenza costante e forte delle altre culture che hanno fatto la Svizzera. La presenza «latina» in particolare, attiva e riconosciuta, potrà garantire meglio la coesione nazionale e la sopravvivenza della Confederazione nel suo attuale equilibrio. E poiché un po’ di ottimismo non guasta, anche la prospettiva di una maggiore integrazione europea, dovrebbe sgomberare il campo e la fantasia da qualsiasi paura del passato, ormai remoto e definitivamente sepolto.
Giovanni Longu
Il sorpasso: in Svizzera i tedeschi nuovamente primi
Siamo talmente abituati a leggere e scrivere che gli italiani in Svizzera (considerando tali quelli col solo passaporto italiano) sono sempre il gruppo nazionale straniero più numeroso, che potrà apparire sorprendente leggere d’ora in poi che questo primato gli italiani l’hanno perso, almeno in parte. «In parte», conviene subito precisare, perché la collettività italiana continua ad essere saldamente al primo posto tra la popolazione residente straniera, ossia considerando tutte le persone residenti da zero anni in su. Se invece si considera la cosiddetta «popolazione attiva», ossia quella in età lavorativa (occupata e disoccupata), al primo posto sono ormai balzati i tedeschi.
Già negli anni scorsi il tasso di immigrazione in Svizzera dei tedeschi lasciava intuire che si sarebbero assai presto ripreso il tradizionale primato che avevano detenuto ininterrottamente per oltre un secolo, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Gli italiani, che fino all’ultima decade dell’Ottocento occupavano il terzo posto, dopo i francesi, dal 1900 erano balzati al secondo, per salire incontrastati al primo posto allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Quando negli anni Settanta del secolo scorso l’Italia ha cominciato a trasformarsi da tradizionale terra d’emigrazione in Paese d’immigrazione e il saldo migratorio con la Svizzera (espatriati meno rimpatriati) è divenuto negativo, sembrava evidente che prima o poi gli immigrati italiani di prima generazione sarebbero andati esaurendosi. Non solo, in quegli anni caratterizzati, oltre che da un forte rientro in Italia di pensionati non compensato da nuovi arrivi, anche dall’acquisizione della nazionalità svizzera da parte di un numero crescente di giovani di seconda e terza generazione, sembrava che l’intera collettività italiana in Svizzera fosse condannata a ridursi considerevolmente.
In realtà il numero di italiani residenti nella Confederazione è rimasto abbastanza stabile sia perché il flusso dei rientri ha rallentato la sua corsa negli ultimi decenni e molti anziani preferiscono invecchiare in Svizzera e sia perché dal 1992 gli italiani naturalizzati svizzeri possono conservare la nazionalità italiana.
Popolazione residente e popolazione attiva
Per la statistica svizzera sugli stranieri, tuttavia, i doppi cittadini sono considerati unicamente come svizzeri, per cui quando si raffrontano nazionalità diverse sono presi in considerazione unicamente i cittadini con la sola cittadinanza originaria. Se dalla popolazione complessiva italiana si escludono i doppi cittadini, il numero dei residenti italiani si aggira ormai attorno a 295.000 persone (non sono ancora noti i dati precisi per la fine del 2009) con tendenza alla diminuzione. Essa risulta ancora la comunità straniera nazionale più numerosa.
Fino all’anno scorso gli italiani detenevano in Svizzera anche il primato della popolazione attiva, ossia della popolazione in età lavorativa. Oggi questo primato spetta ai tedeschi.
Stando ai dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), sottraendo dalla popolazione residente italiana i bambini e i giovani in formazione, gli anziani e quanti altri per diverse ragioni sono fuori del mercato del lavoro, la popolazione attiva italiana si riduce a poco più 164.000 persone. Facendo la stessa operazione con la popolazione complessiva tedesca, che si aggira ormai attorno alle 260.000 persone, si raggiunge e si supera sia pure di poco la cifra degli italiani. Il sorpasso sul filo di lana, per usare un’espressione sportiva, è avvenuto nel corso della prima metà dell’anno scorso ed è destinato con ogni probabilità a confermarsi in questo e nei prossimi anni.
A far diminuire la popolazione complessiva italiana contribuisce non solo il saldo migratorio costantemente negativo (anche se nel 2007 e 2008 è stato positivo, rispettivamente +2213 e +4493), ma anche l’alto numero dei naturalizzati svizzeri (9550 nel biennio 2007-2008). Esattamente l’inverso avviene da alcuni decenni per la popolazione tedesca che cresce ogni anno grazie al saldo migratorio positivo (+30.495 nel 2007 e +34.153 nel 2008), all’incremento naturale (più nascite che decessi) e al modesto numero di naturalizzazioni (4383 nel biennio 2007-2008). Il risultato è stato dapprima il rapido avvicinamento degli «attivi» tedeschi a quelli italiani e poi, l’anno scorso, il loro superamento. E’ interessante notare che un percorso simile, ma a parti inverse, era stato registrato in Svizzera tra le due popolazioni esattamente un secolo fa.
Tedeschi e italiani a confronto
Confrontando la popolazione residente complessiva degli italiani e dei tedeschi, salta facilmente agli occhi la differente piramide dell’età. Mentre quella italiana somiglia ormai a quella svizzera con una ripartizione omogenea tra le differenti classi d’età, quella tedesca è piuttosto tipica di una popolazione di migranti, con un ingrossamento nella fascia centrale dai 25 ai 54 anni e due restringimenti nella classe d’età da 0 a 14 anni e in quella degli ultrasessantacinquenni.
Se invece della popolazione residente si considera la popolazione attiva le differenze che saltano agli occhi tra italiani e tedeschi sono, oltre alla struttura dell’età, il grado di formazione, il settore d’occupazione, la posizione professionale e il tasso di inoccupazione.
I tedeschi che esercitano un’attività lucrativa in Svizzera hanno per il 62,0% una formazione di grado terziario (con titolo universitario o equivalente), mentre tra gli italiani questa percentuale scende al 19,3%. Per gli svizzeri essa si situa al 33,7%. Hanno invece un titolo di scuola media superiore o formazione professionale completa il 35,1% dei tedeschi, il 51,2% degli italiani e il 53,7% degli svizzeri. Sotto questo aspetto, gli italiani rassomigliano ancora una volta più agli svizzeri che ai tedeschi.
Quanto al settore d’occupazione, tanto gli italiani quanto i tedeschi sono più attivi nel terziario che nel secondario, ma con una proporzione differente: per gli italiani è di poco più di due a uno, mentre per i tedeschi di poco più di tre a uno. Per gli svizzeri la proporzione è di quasi quattro a uno.
E’ interessante osservare la posizione che occupano nella professione i tre gruppi di popolazione esaminata. In base alla rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera effettuata dall’UST nel secondo trimestre del 2009, sono dipendenti senza alcuna funzione dirigente circa la metà dei lavoratori tedeschi e italiani e il 46,8% degli svizzeri. Le maggiori differenze si notano nelle posizioni di «indipendenti, familiari coadiuvanti» (svizzeri 17,1%, italiani 12,9%, tedeschi 9,6%), «dipendenti membri della direzione» (rispettivamente: 13,7%, 14,9%, 16,6%) e «dipendenti con funzione dirigente» (16,7%, 25,0% e 14,0%). In questo ambito spiccano soprattutto l’alta percentuale dei quadri tedeschi (25%), ma anche l’elevata percentuale degli italiani nella posizione di membri di direzione (16,6%).
Sono invece nettamente sfavorevoli agli italiani i dati sull’inoccupazione: per loro il tasso era nel 2° trimestre dell’anno scorso del 4,6%, contro il 3,2% degli svizzeri e il 2,9% dei tedeschi.
Sviluppi prevedibili
Sempre più spesso la stampa quotidiana e periodica si occupa della presenza tedesca in Svizzera e sono in molti a interrogarsi se stia tornando la paura dei tedeschi. Le risposte sono quasi tutte tranquillizzanti, ma tra le righe si nota qua e là qualche perplessità. Già il fatto che gli arrivi di germanici siano ogni anno diverse migliaia e che si tratti generalmente di persone con una formazione spesso molto elevata e una qualifica professionale superiore pone qualche interrogativo. Se poi si osserva che tra i nuovi arrivati vi sono molti imprenditori, manager, professori universitari, medici, direttori di banche, ingegneri, ecc., attratti soprattutto dai più elevati salari svizzeri, è facile far ricordare a chi conosce bene la storia patria i tempi in cui le università, la letteratura, la stampa erano impregnate di cultura tedesca.
Un partito di destra, la solita Unione democratica di centro (UDC, il partito di Blocher, tanto per intenderci), l’anno scorso aveva lanciato l’allarme su un grande quotidiano zurighese contro «l’arroganza straniera», perché «i tedeschi preferiscono dare lavoro ad altri tedeschi, nelle università come negli ospedali». Sembrava di leggere uno scritto di quei critici dell’inizio del secolo scorso che sollevarono per primi i problemi dell’inforestierimento (Überfremdung). Senza tener per nulla conto che da allora era passato ormai più di un secolo! Senza tener conto soprattutto che le università sono più aperte di una volta, il lavoro si è internazionalizzato, le economie sono interdipendenti, la libera circolazione delle persone è almeno in Europa un fatto acquisito. Giustamente l’atteggiamento dell’UDC venne stigmatizzato da 200 professori universitari di Zurigo. Non è più il tempo delle paure, ma delle aperture.
Certo, la storia dovrebbe insegnare anche ai tedeschi che in Svizzera, come in ogni Paese con forti tradizioni e un profondo senso di appartenenza, per essere accettati pienamente bisogna integrarsi, rispettare la cultura specifica locale, accettare anche certe regole non scritte ma importanti, com’è per gli svizzeri ad esempio l’uso quotidiano dello «schwyzerdütsch», quando non è necessario il buon tedesco.
I tedeschi, da parte loro, si dichiarano ben disposti verso l’integrazione e non c’è ragione per dubitarne. A garantirne il risultato credo tuttavia che occorra non solo una certa vigilanza, ma anche la presenza costante e forte delle altre culture che hanno fatto la Svizzera. La presenza «latina» in particolare, attiva e riconosciuta, potrà garantire meglio la coesione nazionale e la sopravvivenza della Confederazione nel suo attuale equilibrio. E poiché un po’ di ottimismo non guasta, anche la prospettiva di una maggiore integrazione europea, dovrebbe sgomberare il campo e la fantasia da qualsiasi paura del passato, ormai remoto e definitivamente sepolto.
Giovanni Longu
Berna,24.01.2010 (L'ECO, 27.01.2010)

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