29 dicembre 2009

Legge sulle lingue senza illusioni

(Corriere del Ticino, 29.12.2009)
Il 1° gennaio 2010 entrerà in vigore la legge sulle lingue. Nel darne l’annuncio, qualche settimana fa, il Consiglio federale non ha suscitato alcun entusiasmo nemmeno tra coloro che l’attendevano da anni (la legge era già stata approvata il 5 ottobre 2007).
Per quel che concerne l’italiano, la legge non apporterà alcunché di significativo, anche perché è sotto gli occhi di tutti la debolezza della lingua di Dante sul piano nazionale e in particolare nell’amministrazione federale. Che rimedi può produrre una legge voluta da pochi e accettata (a malincuore) dalla maggioranza, oltretutto nata troppo tardi? Potrà davvero migliorare lo stato di salute dell’italiano in Svizzera?
A dubitarne sono in tanti, a cominciare dai politici: dall’on. Simoneschi Cortesi che si chiedeva qualche giorno se esiste ancora la Svizzera plurilingue, all’on. Cassis, per il quale l’italiano rimane in serie B o all’on. Marina Carobbio (ma non è l’unica) che per essere più convincente tra i colleghi del Palazzo deve sacrificare l’italiano a vantaggio del tedesco. Ancor più espliciti sono il programma nazionale di ricerca 56 che non ha trovato l’italiano nell’amministrazione federale e una delle tante testimonianze provenienti dal suo interno, secondo cui «a Palazzo l’italiano è una zavorra».
Affermare che l’italiano nell’amministrazione federale non esiste, mi pare eccessivo, ma bisogna intendersi. Non esiste (e non potrebbe esistere) come lingua di lavoro e nemmeno come lingua parlata, anche se nei contatti col pubblico molti servizi d’informazione sono dotati di persone che parlano anche l’italiano. Nell’amministrazione federale l’italiano è soprattutto una lingua di traduzione, anche se con molti limiti.
Quanto alla rappresentanza degli italofoni non giova farsi troppe illusioni. Saranno sempre pochi e anche per loro la lingua di lavoro non potrà essere l’italiano. All’incirca in questo periodo di cinque anni fa il consigliere federale Hans Rudolf Merz dichiarava senza mezzi termini che i funzionari italofoni erano sovrarappresentati in generale e solo nelle funzioni superiori erano «lievemente sottorappresentati». Da allora la situazione è peggiorata e dubito fortemente che migliorerà dopo l’entrata in vigore della legge sulle lingue. Soprattutto per due ragioni.
La prima: si continua a prendere come riferimento per la rappresentanza delle comunità linguistiche i soli cittadini svizzeri e non l’intera popolazione residente. Errore gravissimo sul quale ho richiamato più volte e inutilmente l’attenzione anche della Deputazione ticinese alle Camere federali. Se non vi si pone rimedio, con una rappresentanza di italofoni del 4,3% (dato dell’ultimo censimento del 2000) c’è ben poco da rivendicare. Si provi ad immaginare, in un ufficio federale di dimensioni medie, il 4,3% di un gruppo composto da una ventina o trentina di alti funzionari: il risultato non andrà oltre l’unità.
La seconda ragione per cui non bisogna farsi troppe illusioni è che manca un’autorità di controllo sul rispetto del plurilinguismo nell’Amministrazione federale. Quando questo controllo sarebbe stato utile, fine anni ’90 o inizio di questo decennio, non si è fatto nulla. Allora si doveva monitorare l’andamento delle rappresentanze linguistiche in base alle direttive federali (sono infatti del 1997 le prime istruzioni del Consiglio federale sul plurilinguismo). Un’autorità di controllo indipendente è mancata allora e non viene rivendicata nemmeno ora. Dalla Deputazione ticinese si chiede infatti solo un ombudsman, un mediatore e non un garante, e intanto ci si deve accontentare di un semplice «consulente per la politica delle lingue nell’amministrazione», il pur bravo Verio Pini.
Eppure un’autorità di controllo indipendente, un delegato al plurilinguismo a livello federale, sarebbe auspicabile. E’ strano che nessun parlamentare ticinese si sia accorto finora dell’anomalia di avere in (quasi) tutti gli uffici federali e in (quasi) tutti i dipartimenti un delegato al plurilinguismo (sia pure senza veri poteri di controllo) come previsto dalle Istruzioni del 1997 e 2003, mentre manca la persona delegata per l’insieme della Confederazione.
Mi rendo conto che non è facile chiedere e soprattutto ottenere una figura del genere, perché creerebbe non poche difficoltà a più di un Consigliere federale e a numerosi quadri dirigenti degli uffici (dove è soprattutto carente la presenza italofona). Ma è forse più facile accettare l’ipocrisia di avere sotto gli occhi una realtà che non corrisponde alle norme stabilite sul plurilinguismo? Esiste forse un ufficio dove la lingua italiana è lingua di lavoro, all’infuori dei gruppi di traduttori italofoni (che per altro devono comunicare con i vari committenti quasi esclusivamente in tedesco o francese)? E quanti sono i direttori e i quadri superiori che hanno sufficienti conoscenze attive o anche solo passive di italiano, come invece dovrebbero? Quanto potrà fare Verio Pini a cui faccio i migliori auguri? Non resta che sperare, ma senza illusioni!
Giovanni Longu
Berna 29.12.2009

Nessun commento:

Posta un commento