16 settembre 2009

Il paesaggio urbano di La Chaux-de-Fonds/Le Locle e il contributo italiano







All’inizio di quest’estate, due città dell’arco giurassiano, La Chaux-de-Fonds e Le Locle, hanno avuto per un giorno gli onori delle prime pagine della stampa nazionale (v. anche L’ECO del 1° luglio 2009). Il paesaggio urbano di queste due città, accomunate dalla medesima tradizione orologiera, è stato infatti riconosciuto patrimonio mondiale dell’UNESCO. Il 27 giugno 2009, a giusto titolo, i loro abitanti hanno festeggiato l’avvenimento con una grande kermesse popolare culminata con grandiosi fuochi d’artificio. La cerimonia ufficiale per l'iscrizione nella Lista dell'UNESCO avrà luogo nelle due città il 6 novembre prossimo.
Ero stato molte volte in queste due città situate nelle alture del Giura (La Chaux-de-Fonds è a 1000 metri d’altitudine) per ragioni professionali, ma non avevo mai avuto l’opportunità di fermarmi a contemplare dall’alto di una torre o di una collina la bellezza urbanistica di questi due centri dell’industria orologiera svizzera. Eppure, almeno La Chaux-de-Fonds avrebbe dovuto insospettirmi per lo speciale reticolato urbano, disegnato si direbbe a tavolino usando unicamente riga e squadra. Rivedendo la città qualche settimana fa ne sono rimasto affascinato.
Conoscevo invece la storia dell’immigrazione italiana in quella regione, molto interessante sotto il profilo culturale, ma anche professionale. Provenendo da Berna, da una regione tipicamente germanofona, mi colpiva, già negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, l’alto grado d’integrazione linguistica e sociale che gli italiani avevano raggiunto.
Quando il 27 giugno scorso gli italiani della regione hanno partecipato alla festa per l’iscrizione del loro paesaggio urbanistico nel patrimonio mondiale dell’UNESCO, non so se si sono resi conto che essi avevano almeno una ragione in più per festeggiare e gioire.
Il patrimonio urbanistico di La Chaux-de-Fonds e Le Locle risale infatti agli ultimi anni dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, un’epoca in cui gli immigrati italiani erano reclutati a centinaia e migliaia per contribuire alla forte espansione dell’industria orologiera. Ma gli italiani non venivano chiamati per fare gli orologiai. Essi erano richiesti per costruire le fabbriche e le case degli orologiai.
Allora le attività orologiere non venivano svolte solo in fabbrica, ma anche a domicilio. Per questo le case degli orologiai erano vicine alle fabbriche. E poiché queste attività di micromeccanica richiedevano ambienti molto luminosi, quelle case erano concepite non solo per l’abitazione ma anche per le esigenze lavorative. Per esempio, dovevano essere separate le une dalle altre da un certo spazio, dovevano disporre di grandi finestre, non dovevano superare una certa altezza per non ostacolare la luminosità delle abitazioni vicine. Insomma un paesaggio urbano-industriale concepito e realizzato per uno scopo ben preciso. Questo paesaggio urbano, armonioso e funzionale, è stato ritenuto a giusta ragione patrimonio dell’umanità e dunque un bene da salvaguardare e godibile sotto il profilo turistico.
E’ indubbio che una parte del merito per questo riconoscimento spetta agli italiani che fin dalla seconda metà del secolo hanno partecipato allo sviluppo soprattutto di La Chaux-de-Fonds. Nel 1850 erano ancora pochi, ma già ben organizzati, tant’è che avevano costituito una società di mutuo soccorso. Nel 1888 erano ormai più di 500. Erano soprattutto piemontesi, lombardi e veneti, ma dalla fine dell’Ottocento cominciarono ad arrivare anche dal Mezzogiorno.
L’attività edilizia cresceva in continuazione parallelamente all’incremento della popolazione e dell’attività orologiera. Tra il 1850 e il 1890, in quarant’anni, furono costruite solo a La Chaux-de-Fonds un migliaio di case; ma tra il 1891 e il 1914, dunque in metà tempo, ne furono costruite 300 in più. Gli anni in cui si costruì maggiormente sono stati l’ultimo decennio dell’800 e il primo decennio del Novecento. Per avere un’idea dell’attività edilizia di quel periodo, basti ricordare che nell’estate del 1904 erano aperti una trentina di cantieri in cui lavoravano circa 1600 tra muratori e aiutanti. Quell’anno, agli italiani erano stati rilasciati 1162 permessi di soggiorno.
Quanti fossero in realtà gli italiani e gli svizzeri di origine italiana in quel periodo a La Chaux-de-Fonds e a Le Locle è impossibile dirlo, ma superavano probabilmente le cifre ufficiali. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, molti italiani rientrarono in patria, altri restarono e numerosi presero la nazionalità svizzera.
Gli italiani, si sa, ritornarono in gran numero nel secondo dopoguerra. Nel 1970 ne furono censiti 5783 a La Chaux-de-Fonds e 2548 a Le Locle. Con la crisi orologiera degli anni Settanta la collettività italiana si ridusse velocemente in entrambe le città per attestarsi all’inizio dell’attuale decennio attorno alle 3500 persone. Oggi la comunità italiana è abbastanza stabile, vivace, operosa e ben integrata. Molti sono ormai gli svizzeri di origine italiana e le persone con la doppia cittadinanza.
Per chi volesse godere una splendida visione panoramica dell’armoniosa città di La Chaux-de-Fonds è sufficiente salire sulla torre panoramica al centro della città. Per godere una bella vista di Le Locle basta salire su una qualsiasi delle colline che l’attorniano. Entrambe le località meritano sicuramente una visita.
Giovanni Longu

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