01 giugno 2009

1° giugno, festa del beato Scalabrini «Padre dei migranti»

Il 1° giugno i missionari Scalabriniani ricordano ogni anno il loro fondatore, il Beato Giovanni Battista Scalabrini, «Padre dei migranti», morto a Piacenza il 1° giugno 1905. Se viene ricordato anche qui è per rendere omaggio a una figura carismatica che ha contribuito molto, col suo impegno personale e attraverso la sua Congregazione, a dare dignità agli emigranti italiani dalla seconda metà dell’Ottocento in poi.
Nelle ricostruzioni storiche dell’emigrazione italiana, si mette giustamente in rilievo il contributo dato all’elevazione sociale ed economica delle collettività italiane emigrate dalle società di mutuo soccorso, da alcuni movimenti politici e sindacali, dall’associazionismo. Spesso tuttavia si dimentica di sottolineare il fondamentale contributo dei missionari, che hanno accompagnato i grandi flussi migratori nelle Americhe e in Europa.
Figure come quelle di monsignor Geremia Bonomelli (fondatore dell’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa), del beato Giovanni Battista Scalabrini (fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo, conosciuti come Scalabriniani) o di santa Francesca Saverio Cabrini (fondatrice dell’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù) meriterebbero maggiore attenzione. E’ vero, essi si occupavano principalmente della cura delle anime, ma sono stati per decenni anche in prima linea nella lotta contro il sottosviluppo, l’analfabetismo, l’emarginazione, l’umiliazione, la povertà degli emigrati.
Del beato Scalabrini vorrei ricordare qui non tanto il suo contributo indiretto nel campo dell’assistenza - attraverso la sua Congregazione, attiva per altro ancor oggi in molte Missioni, anche in Svizzera - quanto il suo contributo diretto per conferire al problema dell’emigrazione italiana un carattere politico e nazionale.
Prima però vorrei ricordare che la realtà migratoria a cui si riferiva il vescovo Scalabrini era ben peggiore di quella che nemmeno i più anziani immigrati in Svizzera hanno conosciuto. Per questa ragione avrebbe voluto porre un freno al flusso migratorio, benché ritenesse l’emigrazione un diritto. In uno scritto del 1887 osservava: «Le cause che determinano l’emigrazione e la fanno aumentare di anno in anno, altre sono di ordine morale, altre di ordine economico, generali e particolari, e riflettono il benessere fisico e quella smania tormentosa di subiti guadagni, che ha invasa la fibra italiana dalle classi più alte a quella che sta al piede della scala sociale, formata dalla immensa turba dei diseredati».
Per questo denunciava lo Stato di non fare abbastanza per trattenere in patria i migranti ed estirpare alla radice le cause generali dell’emigrazione, che erano secondo lui soprattutto: «le mutate condizioni dei tempi e del vivere civile, i bisogni aumentati non in rapporto alle ricchezze, il desiderio naturale di migliorare la propria posizione, la crisi agraria che pesa da anni sui nostri agricoltori come una cappa di piombo, il carico veramente enorme dei pubblici balzelli, che gravita sull’agricoltura e sulle piccole industrie e le schiaccia; a tutto questo si aggiunga il fuoco che le tre male faville [superbia, invidia ed avarizia], di cui parla Dante, hanno acceso nei cuori, e avremo appunto le cause della emigrazione…».
Rientrava nella strategia del vescovo di Piacenza anche il miglioramento della normativa sull’emigrazione. E quando nel 1887, sotto il primo governo Crispi, si pose mano a una legge organica per regolare l’intera materia, monsignor Scalabrini intervenne per denunciare l’effetto nocivo della figura dell’«agente di emigrazione» prevista nel disegno di legge. Egli riteneva infatti che gli intermediari, ritenuti veri e propri «lenocinî degli impresari di braccia umane»,«sensali di carne umana», interessati più al profitto personale e dei mandanti che dei poveri emigranti, fossero una causa ulteriore e legalizzata dell’emigrazione.
Per essere facilmente compreso, Scalabrini faceva un esempio. «Un agente ha incarico da una Società di imprenditori o da un governo di arruolare 2, 3, 4, 10 mila operai o contadini. L’agente compie la sua operazione e li spedisce nei modi e colle garanzie volute dalla legge. Ora, il Governo sa che il paese ove sono diretti quegli infelici è, per condizioni climatiche o per altra ragione qualunque, inabitabile; sa che quei poveri pionieri non sono condotti a far fortuna ma a quasi sicura morte. Eppure il Governo, dato che il nuovo disegno abbia sanzione di legge, non potrebbe né punire, né impedire tanta catastrofe. E si noti che l’agente può, nella miglior buona fede, mandare alla rovina tanta gente, non essendo egli obbligato ad avere cognizioni su questo punto, come vi sono obbligati p. es. gli agenti Svizzeri».
Consapevole di non poter impedire l’emigrazione, l’intenzione esplicita di monsignor Scalabrini era quella «di sorreggerla, di illuminarla, di dirigerla coll’opera e col consiglio». Uomo di chiesa, vescovo e pastore di anime, egli era preoccupato soprattutto di salvare la loro fede, spesso messa a dura prova in ambienti talvolta dichiaratamente ostili.
Passando dalla storia alla cronaca, soprattutto italiana, mi viene da osservare che i problemi migratori, lungi dall’essere scomparsi dal nostro mondo, sono sempre attuali e talvolta ancora in forma drammatica. Basti pensare alla situazione che ruota attorno ai cosiddetti «respingimenti» sia prima che dopo.
Quale sarebbe oggi l’atteggiamento di Giovanni Battista Scalabrini? Probabilmente lo stesso assunto oltre un secolo fa, soprattutto nel richiamare la responsabilità dei governi e delle organizzazioni internazionali a eliminare nei Paesi di provenienza le ragioni dell’emigrazione forzata, a regolarne i flussi, a condannare quelle losche figure d’intermediari che non esitano ad abbandonare in mare barconi strapieni di esseri umani. Ma soprattutto, sarebbe stato dalla parte dei migranti, in un autentico spirito evangelico di accoglienza, rispetto e solidarietà.
Giovanni Longu
1° giugno 2009

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