07 maggio 2009

Sicurezza e integrazione per una nuova politica migratoria italiana

Molti lettori avranno sicuramente seguito sulla stampa e in televisione, ma anche in qualche rubrica di questa rivista, la discussione parlamentare dapprima sul cosiddetto decreto sicurezza e ora sul disegno di legge sulla sicurezza, ossia gli strumenti giuridici che devono permettere allo Stato di garantire una maggiore sicurezza a tutti i cittadini italiani. Sovente l’accento è stato posto sull’insicurezza degli italiani a causa della presunta diffusa criminalità dovuta a stranieri, soprattutto «clandestini».
In realtà l’Italia è uno dei Paesi più sicuri al mondo e la criminalità degli stranieri non è significativamente superiore a quella che si registra in altri Paesi d’immigrazione paragonabili al nostro. Perché dunque dai media l’accento è posto soprattutto sulla criminalità degli stranieri e soprattutto sui clandestini? E perché governo e parlamento rispondono con interventi legislativi nuovi e molto contestati?
Non è facile rispondere a queste domande, ma che l’influsso mediatico giochi un fattore importante e forse determinante è fuori dubbio. Se un telegiornale annuncia un delitto, anche grave, senza precisare la nazionalità del delinquente passa quasi inosservato. Se invece si dice che l’autore del delitto è uno straniero o, peggio ancora, un clandestino, la notizia acquista nell’immaginario collettivo un’altra rilevanza. Se questo tipo di notizia si ripete frequentemente è facile che nell’opinione pubblica si faciliti quel processo di generalizzazione che porta a concludere che i clandestini sono (quasi) tutti criminali e che gli stranieri sono (molto) spesso criminali. E’ facile che questa esigenza di sicurezza dei cittadini sia colta da questa o quella forza politica in particolare e ne faccia magari un punto programmatico.
In un Paese «normale» dovrebbe esistere un Codice penale «normale» e una Giustizia «ordinaria» che punisca allo stesso modo chi viola le leggi. In Italia è come se per certi crimini, commessi soprattutto da stranieri, debbano esistere leggi speciali. Di qui dapprima un «decreto-legge» sulla sicurezza come se l’Italia dovesse affrontare una specie di epidemia grave da insicurezza e ora un più ampio disegno di legge sulla sicurezza per introdurre nello strumentario misure anticrimine (straniero) non previste nel decreto-legge, ad es. le ronde.
Non senza ragione sono insorte in Italia contro questa voglia giustizialista i partiti della sinistra, ma anche ampi settori del mondo cattolico e in genere dell’associazionismo vicino al complesso mondo degli immigrati. Con la ragione dei numeri (quella che in una democrazia conta più di tutto) più che con argomenti forti la maggioranza governativa ha fatto approvare il decreto-legge e ora sta per approvare il disegno di legge sulla sicurezza.
Non entro nel merito dei provvedimenti in questione, anche perché la loro efficacia è ancora tutta da provare. Dirò invece qualcosa in merito ad alcune prese di posizione che ho avuto modo di leggere su questa materia e, indirettamente, alla debolezza delle argomentazioni dell’opposizione parlamentare.
Mi riferisco in particolare ad alcuni interventi dell’on. Narducci (deputato PD eletto all’estero), molto sensibile alla problematica degli stranieri, ma talvolta disattento all’uso del linguaggio, che anche in politica dovrebbe rispondere al senso di concretezza e di misura, senza forzature e soprattutto senza demagogia.
Intanto l’on. Narducci, in quanto residente in Svizzera, sa bene che i problemi non vanno confusi: un conto è parlare di sicurezza in generale, un altro parlare degli stranieri immigrati regolarmente e altro ancora affrontare il complesso e delicato problema dei clandestini. Pertanto non è accettabile, in un contesto in cui si parla legittimamente del reato di clandestinità, l’insinuazione che si tratti di un «accanimento contro gli immigrati».
Non giova a nessuno giuocare sulle parole. Confondere l’immigrazione «regolare» con l’immigrazione «clandestina» è un errore non solo di terminologia ma di sostanza. Mentre si sa in partenza chi sono gli immigrati «regolari», non è possibile sapere chi sono i «clandestini», che potrebbero rivelarsi poveri cristi in cerca di fortuna ma anche criminali patentati. E’ evidente che nessuno Stato di diritto può tollerare sul proprio territorio persone senza identità e senza riferimenti certi. Tanto più che in effetti certa criminalità è favorita dalla clandestinità.
Trovo pertanto un’esagerazione dell’on. Narducci ritenere che i «Centri di identificazione» diventino delle «carceri» per il solo fatto di poter trattenere più a lungo i clandestini. Senza dimenticare che in Italia persino i detenuti nei penitenziari devono essere trattati con «senso di umanità» (art. 27 Cost.), a maggior ragione nei centri d’identificazione. Ma se si tratta di clandestini, si dovrà ben identificarli o devono essere lasciati a piede libero?
Non capisco quindi l’indignazione di Narducci quando ritiene che con l'introduzione del reato di clandestinità si creeranno non poche difficoltà ai clandestini riguardo ai ricongiungimenti familiari, al contrarre matrimonio, alla registrazione dei figli degli immigrati irregolari immediatamente al momento della nascita, ecc. Mi pare che queste e simili difficoltà siano ovvie finché dura lo stato di «clandestinità».
Arrivare poi a ritenere, come fa Narducci, che «donne immigrate irregolari, incinte, abortiscano perché spinte a ciò da una legge che le perseguita» mi pare una illogicità e una forzatura che non rendono affatto giustizia né al buon senso dei parlamentari né alla tradizione giuridica dell’Italia.
Chi conosce la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera sa benissimo che la Confederazione non ha mai tollerato l’immigrazione clandestina, ma non si è limitata a stroncarla. L’on. Narducci e gli altri parlamentari eletti in Svizzera sanno infatti che una buona politica migratoria non si limita a disciplinare le modalità d’ingresso nel Paese, ma va oltre. Per gli immigrati italiani in Svizzera i miglioramenti delle condizioni di vita sono iniziati quando è mutato l’approccio nei confronti degli stranieri «regolari» e si è imparato a considerarli membri integrati o da integrare nella società locale.
Perché i nostri parlamentari «esteri», invece di giocare con nominalismi inutili e puntare su un’opposizione sterile, non si fanno promotori di una moderna legge sull’integrazione degli stranieri, ispirandosi anche alla recente legislazione svizzera in materia? Ponendo l’accento sull’integrazione, probabilmente l’intera problematica relativa agli stranieri acquisterebbe maggiore umanità e positività anche nell’opinione pubblica.
Giovanni Longu
Berna, 4.5.2009
(L'ECO, 6.5.2009)

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