21 luglio 2008

Rapporti italo-svizzeri: 140 anni di stretta collaborazione

Il 22 luglio 1868 veniva firmato il primo trattato di collaborazione in materia di emigrazione tra l’Italia e la Svizzera. Quell’accordo, denominato «Convenzione di stabilimento fra la Svizzera e il Regno d’Italia», oltre a dichiarare «amicizia perpetua e libertà reciproca di domicilio e commercio» tra la Svizzera e l’Italia, prevedeva che in ogni Cantone della Confederazione Svizzera, «gli Italiani saranno ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e nella medesima maniera come lo sono o potranno esserlo in avvenire gli attinenti degli altri Cantoni. E reciprocamente gli Svizzeri saranno in Italia ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e nella medesima maniera come i nazionali. Di conseguenza, i cittadini di ciascuno dei due stati, non meno che le loro famiglie, quando si uniformino alle leggi del paese, potranno liberamente entrare, viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte dei territorio, senza che pei passaporti e pei permessi di dimora e per l’esercizio di loro professione siano sottoposti a tassa alcuna, onere o condizione fuor di quelle cui sottostanno i nazionali».
I rapporti italo-svizzeri in materia di emigrazione non potevano avere inizio migliore. Da allora sono andati intensificandosi e rafforzandosi. Non hanno mai avuto periodi di crisi e rari sono stati i momenti di tensione. Stando alle dichiarazioni ufficiali, le relazioni tra i due Paesi sono sempre state intense e, in generale, «eccellenti». Non c’è stato incontro ufficiale tra i rappresentanti dei due Paesi in cui non si sia sottolineata l’amicizia e la collaborazione.
Non altrettanto si può dire per le relazioni tra il popolo svizzero e gli immigrati italiani in Svizzera. I loro rapporti sono stati spesso contrassegnati da diffidenza, malintesi e persino atti di ostilità.
Non era ancora finito il secolo XIX che in Svizzera si registrarono numerosi episodi di violenza reciproca che richiesero l’intervento della polizia e persino dell’esercito. Rimasero a lungo nella memoria degli italiani gli episodi Berna e Losanna (1893) e soprattutto Zurigo (1896) quando si scatenò una vera e propria caccia all’italiano con atti di violenza, distruzioni e saccheggi di negozi, caffè e ristoranti italiani.
All’inizio del Novecento si cominciò a parlare di una «questione degli italiani» (Italienerfrage) e nei loro confronti sembrava lecita ogni accusa. Spesso erano osteggiati perché sembrava che rifiutassero l’integrazione ed evitassero persino i matrimoni misti. Ma le accuse più frequenti erano che portavano via posti di lavoro agli svizzeri, si accontentavano di salari molto bassi e si lasciavano manovrare da sobillatori anarcoidi. Nel 1908 intervenne con una pubblicazione il signor De Michelis, direttore dell’ufficio regio dell'emigrazione italiana nella Svizzera per difendere gli operai italiani dall'accusa di accontentarsi d'un minimo salario.
Nel 1900 entra nel vocabolario politico e giornalistico il neologismo «Überfremdung», che verrà tradotto in seguito «inforestierimento» e che farà da filo conduttore per l’intera politica migratoria svizzera fino ai giorni nostri. Il termine assumerà nell’opinione pubblica una connotazione fortemente negativa e sarà riferito per decenni soprattutto agli immigrati italiani. Esponenti della destra nazionalista se ne serviranno per sobillare le masse contro la «invasione degli stranieri».
Dopo la calma subentrata in seguito alla chiusura delle frontiere durante la prima guerra mondiale e alle restrizioni del dopoguerra, gli italiani cominciarono a venire in massa fin dal 1946, in forma sia regolare che clandestina e ricominciarono i problemi di convivenza.
Nel 1970 il malessere della popolazione svizzera nei confronti degli stranieri raggiunse probabilmente il culmine. La questione fu sottoposta al giudizio degli elettori con una iniziativa riuscita dei movimenti antistranieri. Il tema era scottante e la decisione drammatica. In caso di accettazione decine di migliaia di immigrati (soprattutto italiani) avrebbero dovuto lasciare la Svizzera. Si recò alle urne il 74,7% degli elettori, una percentuale mai più superata. L’iniziativa fu respinta, ma ben il 46% votò a favore. Si disse che a vincere sia stata la paura delle imprevedibili conseguenze economiche, sociali e internazionali che avrebbe provocato la riduzione forzata degli stranieri. Non fu una votazione a favore degli stranieri, per migliorarne le condizioni.
In gran parte degli stranieri, soprattutto tra gli italiani, l’esito di quella votazione lasciò molto amaro in bocca. Di lì a qualche anno il saldo immigratorio italiano avrebbe cominciato ad essere negativo.
Negli stessi anni Settanta per gli italiani decisi a rimanere e soprattutto per i giovani di seconda e terza generazione incomincia un lungo cammino verso la piena integrazione. Le difficoltà furono tante, soprattutto in ambito scolastico e professionale, ma già negli anni Novanta la collettività italiana risultava la più integrata.
Oggi gli Accordi bilaterali CH-UE facilitano ulteriormente i buoni rapporti tra italiani e svizzeri. Di fatto gli italiani sono considerati dall’opinione pubblica svizzera il gruppo etnico meglio integrato e quando si tematizzano problemi tipici dell’immigrazione e degli stranieri si tende automaticamente ad escludere gli italiani, considerati dagli svizzeri ormai dei «nostri». Del resto, a parte la variabile dei diritti politici (che si tende a relativizzare sempre più), per tutte le altre caratteristiche (integrazione linguistica, scolastica, sociale, professionale, culturale, economica, ecc.) le differenze diventano sempre meno percettibili.
Oggi regna nuovamente l’amicizia. Nel corso della visita di stato in Svizzera dell’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 14.5.2003, il presidente della Confederazione Pascal Couchepin ebbe a dire che «l’amicizia tra i nostri due popoli non deriva semplicemente dalla prossimità geografica, ma è il risultato di una volontà comune fondata sulla condivisione degli stessi valori culturali e morali. Un legame forte si è creato grazie ai numerosi italiani che si sono stabiliti in Svizzera». Nella sua risposta anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi sottolineò «le solide relazioni tra i nostri Paesi, rafforzate dal contributo di una comunità italiana in Svizzera, attiva e stimata».
Oggi c’è un collante formidabile che lega ancora di più i rapporti italo-svizzeri. E’ dato dalle migliaia di doppi cittadini italiani e svizzeri. Essi non appartengono a quella generazione che venne definita negli anni Settanta e Ottanta «Weder-noch-Generation», la generazione senza appartenenza né svizzera né italiana. Essi si sentono sia italiani che svizzeri, talvolta più italiani che svizzeri o più svizzeri che italiani, ma rappresentano comunque e sempre un punto avanzato della moderna integrazione che tende a superare confini nazionali, barriere linguistiche e culturali, tradizioni bloccanti.
Giovanni Longu
Berna, 21.7.2008

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