Nella storia della collettività italiana in Svizzera dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, l’associazionismo costituisce senz'altro un capitolo essenziale. In esso le Colonie Libere Italiane (CLI) meritano un’attenzione particolare per l’influenza esercitata non solo sul fenomeno associazionistico ma anche sull'evoluzione dell’intera collettività italiana.
In questo articolo si cercherà di mettere
in evidenza alcuni punti di forza e di debolezza della FCLIS nel corso della
sua lunga attività, con riferimento particolare ai primi decenni dalla sua costituzione.
I successi delle CLI
Nel dopoguerra le CLI si sono battute per
migliorare la situazione dei lavoratori italiani, sfruttando, soprattutto nei
confronti della politica italiana, il proprio prestigio derivante dalla loro
origine antifascista e dalla loro diffusa presenza tra la popolazione immigrata.
Esse hanno contribuito in maniera
determinante alla presa di coscienza dei lavoratori italiani riguardo alle loro
condizioni, ai loro diritti come pure alle loro responsabilità. Hanno saputo infondere
in molti di essi uno spirito combattivo e responsabile, stimolando anche notevoli
energie per supplire almeno in parte alle molte deficienze dell’apparato pubblico
sia italiano che svizzero, ad esempio nei settori della scuola, della
formazione professionale, della cultura in generale.
Di fatto, la collettività italiana
immigrata, inizialmente penalizzata da molte carenze linguistiche, scolastiche,
professionali, ma anche da discriminazioni, ostilità, atteggiamenti xenofobi
diffusi nella popolazione, ha superato innumerevoli ostacoli e ha finito per
affermarsi come una delle comunità meglio integrate in Svizzera. Il contributo
delle CLI in questo percorso è stato notevole. Quali sono stati i principali punti
di forza delle CLI?
A. Punti di forza:
Libera Stampa del 3.1.1948 |
In particolare sulle problematiche della
scuola e dell’elevazione culturale degli immigrati l’influsso del prof. Fernando
Schiavetti è stato fondamentale. Altrettanto si deve dire di Egidio
Reale, soprattutto dopo la sua nomina a rappresentante d’Italia in
Svizzera, nella lotta alle discriminazioni e nel consolidamento delle assicurazioni
sociali.
2. La vicinanza ai problemi reali degli immigrati. Nessuna associazione ha saputo cogliere con la stessa intensità la molteplicità e complessità dei problemi e delle richieste degli immigrati italiani riguardanti le condizioni di lavoro, le assicurazioni sociali anche per i familiari rimasti in Italia, la disponibilità di alloggi a pigioni accessibili, i ricongiungimenti familiari, la formazione scolastica e professionale, ecc. E nessuna associazione ha saputo fare proprie queste esigenze adoperandosi in svariati modi per trovare soluzioni soddisfacenti, riuscendo talvolta a mobilitare migliaia di persone.
2. La vicinanza ai problemi reali degli immigrati. Nessuna associazione ha saputo cogliere con la stessa intensità la molteplicità e complessità dei problemi e delle richieste degli immigrati italiani riguardanti le condizioni di lavoro, le assicurazioni sociali anche per i familiari rimasti in Italia, la disponibilità di alloggi a pigioni accessibili, i ricongiungimenti familiari, la formazione scolastica e professionale, ecc. E nessuna associazione ha saputo fare proprie queste esigenze adoperandosi in svariati modi per trovare soluzioni soddisfacenti, riuscendo talvolta a mobilitare migliaia di persone.
3. L’attività rivendicativa
irrinunciabile della FCLIS ha saputo stimolare la classe
politica italiana (o almeno una parte di essa), solitamente poco
interessata alla questione migratoria, a farsi carico anche dei
problemi dei
lavoratori emigrati. Non sempre, anzi quasi mai, alle richieste seguivano
risposte concrete e adeguate, ma è facile costatare negli atti parlamentari
italiani quanto fossero frequenti, soprattutto negli anni ’50 e ’60 gli
interventi riguardanti la situazione degli emigrati in Svizzera, provocando
talvolta accesi dibattiti.
Anche nei confronti delle istituzioni
politiche e sindacali svizzere la FCLIS ha rappresentato uno stimolo a
conoscere meglio le problematiche lavorative e sociali degli immigrati. Ai
congressi delle Colonie intervenivano, come osservatori, personalità italiane e
svizzere di primo piano, che ritenevano evidentemente utili quegli incontri. Da
parte sua, la FCLIS è stata anche sempre presente, quando ne ha avuto la
possibilità, nei gruppi in cui maggiormente si discuteva e si proponevano
soluzioni ai principali problemi concernenti gli stranieri, dalla «Commissione
federale degli stranieri» al «Forum degli stranieri».
4. La convinzione che la collettività
immigrata fosse una risorsa è stata forse il
principale punto di forza nel tentativo, purtroppo solo in parte riuscito, di
diffondere tra i lavoratori immigrati, non solo italiani, una coscienza positiva
e ottimistica. Occorreva che gli immigrati si rendessero conto di avere la
possibilità non solo di criticare e di rivendicare diritti, ma anche di promuovere
responsabilmente iniziative appropriate per la soluzione di alcuni problemi, ad
esempio nel campo dell’assistenza scolastica, nel settore della formazione e
del perfezionamento professionale, a lungo trascurato dai governi, nell’apprendimento
delle lingue, nell'assistenza sociale, nella gestione del tempo libero, ecc. L’assenza
o il disinteresse delle istituzioni pubbliche, italiane e svizzere, non doveva
essere solo motivo di biasimo, ma anche stimolo a una supplenza efficace.
B. Punti di debolezza
La storia dell’immigrazione italiana in
Svizzera dal dopoguerra ad oggi non è fatta tuttavia solo di successi, totali o
parziali, ma anche d’insuccessi, errori e soprattutto ritardi nel
raggiungimento degli obiettivi della parità dei diritti e dell’integrazione.
Anche sotto questo aspetto ritengo che la parte di responsabilità delle CLI sia
notevole. Quali sono (stati) i principali punti di debolezza?
1. La pretesa della FCLIS di essere l’unica
rappresentante dell’emigrazione italiana in Svizzera, forse giustificata durante
la guerra, è stata sicuramente un errore in seguito. Era infatti prevedibile,
ad esempio, che le MCI e altre associazioni vicine non avrebbero visto di buon
occhio il tentativo della FCLIS di marginalizzarle in questo ruolo di
rappresentanza.
La reazione fu che già nella metà degli
anni ’60 si costituirono, soprattutto nel Cantone di Berna, nuove associazioni
e federazioni di associazioni al di fuori della FCLIS, probabilmente su
iniziativa o comunque col sostegno dell’allora Console Mancini. Alcuni
dirigenti locali delle Colonie parlarono allora di «manovre» per dividere
l’emigrazione. Più tardi, agli inizi degli anni ’70, altri gruppi vicini alle
Missioni decisero di creare la «Federazione delle associazioni degli italiani
emigrati in Svizzera» (FAIES) come «gruppo apolitico e interconfessionale» in
aperta opposizione alla FCLIS e ad altre organizzazioni orientate politicamente,
che aspiravano ad una posizione egemonica (Tarcisio Tassello).
Le conseguenze furono un ritardo enorme
nell’approdo a forme di collaborazione e d’intesa tra le principali forze
dell’emigrazione organizzata, che verranno raggiunte faticosamente solo negli
anni ’70 e ’80 con i vari Comitati d’intesa nazionale, cantonali e regionali.
2. L’orientamento strettamente «italiano», che ha caratterizzato fortemente gli inizi della FCLIS ha forse impedito
di osservare, dalla fine degli anni ’50, la trasformazione della collettività
italiana immigrata da «colonia» di cittadini italiani espatriati
temporaneamente in una «componente» sempre più stabile di cittadini solo per il
passaporto ancora italiani, ma tendenti sempre più all'integrazione.
Uno dei risultati fu che, molto presto, i
giovani, sempre meno propensi a un prossimo rientro in Italia, non si sentirono
coinvolti nelle problematiche e nelle attività delle Colonie e in genere delle
associazioni tradizionali. Nel 1985 scriveva al riguardo una militante: «Ed i
giovani, la seconda generazione, perché nelle nostre file non c’è stato quel
ricambio che ci aspettavamo?». Se lo chiedevano ormai in molti, ma forse era
troppo tardi.
In seguito le CLI cercheranno di recuperare
il tempo perduto dedicando molte energie alle problematiche dell’integrazione,
del voto degli stranieri a livello amministrativo, delle naturalizzazioni. In
parte vi riusciranno.
3. La contiguità col Partito comunista italiano
(PCI) è stata probabilmente l’aspetto che ha
maggiormente indebolito l’efficacia dell’azione delle CLI. E’ vero che la FCLIS
si è sempre proclamata apartitica, ma in vasti settori dell’opinione pubblica
essa appariva non solo di sinistra e filocomunista, ma addirittura dominata dal
PCI.
Evidentemente non si faceva abbastanza in
questa direzione. Tra le persone espulse dalla Svizzera negli anni ’50 e ’60
per «attività comunista», molte erano infatti esponenti delle CLI. Molti
dirigenti delle Colonie erano spiati e schedati dalla Polizia federale. Fino
agli anni ’70 non era solo Schwarzenbach a ritenere che le Colonie Libere avessero
perso da tempo la qualifica di «libere» per il loro assoggettamento al PCI.
Erano in molti a pensarlo. Anche in alcuni sindacati svizzeri si esitava a dar
credito alle CLI a causa di una presunta relazione privilegiata col PCI e con la
CGIL piuttosto che con l’USS.
4. La linea fortemente contestataria e
spesso intransigente è stata un’altra fonte di
difficoltà della FCLIS soprattutto sul fronte delle rivendicazioni nei
confronti della Svizzera. Una diversa strategia, più dialogante e più
disponibile al compromesso (quella vincente in Svizzera) avrebbe forse portato
più velocemente alla partecipazione degli stranieri a livello locale (magari a titolo
solo consultivo), all’abolizione non tanto dello statuto dello stagionale ma
delle forme di falsa stagionalità, al beneficio di alcuni miglioramenti della
condizione migratoria già previsti nel disegno di legge federale sugli
stranieri del 1976 e che invece entreranno in vigore solo nel 2008 (!).
Conclusione
Il discorso sulle CLI è evidentemente
ancora aperto perché la FCLIS ha appena celebrato il suo 70° anniversario e non
intende certo interrompere la sua lunga tradizione di lotte e di partecipazione
alle vicende degli italiani in Svizzera. Non è dunque possibile, almeno a chi
scrive, tirare un bilancio di una storia così complessa e ancora in corso.
Starà semmai al lettore farsene un’idea, ricordando magari che è già molto
difficile definire l’emigrazione o l’immigrazione, capirne i problemi,
abbozzarne le soluzioni, figurarsi riuscire a inquadrare un’organizzazione così
particolare come la FCLIS nella complessità dell’emigrazione/immigrazione,
delle politiche emigratorie/immigratorie, delle relazioni italo-svizzere, dei
condizionamenti internazionali. A chi scrive non resta che augurare alla FCLIS
lunga vita, conservando lo spirito dei fondatori e modulando le attività in
funzione dei sempre nuovi bisogni. (Fine. Gli altri articoli sono apparsi il 16.10, 23.10 e 6.11.2013)
Giovanni Longu
Berna, 13.11.2013
Berna, 13.11.2013
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