22 ottobre 2014

Accordo di emigrazione del 1964: 5. Ratifica dell’accordo tra aspre polemiche


L’Accordo tra l’Italia e la Svizzera firmato il 10 agosto 1964 avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi parlamenti «il più presto possibile» e, nell'attesa, entrare in vigore «provvisoriamente» il 1° novembre 1964 (art. 23, cpv. 1 dell’Accordo). Nel frattempo, come convenuto tra le parti, sarebbe entrata in vigore la Convenzione sulle assicurazioni sociali (di fatto il 1° settembre 1964).

Pressioni del governo italiano
A premere sull'entrata in vigore «il più presto possibile» dell’Accordo era soprattutto il governo italiano, che non voleva subire gli attacchi dell’opposizione comunista e dell’influente sindacato filocomunista CGIL. A sostegno della richiesta del governo di centrosinistra erano intervenuti anche i sindacati filogovernativi CISL e UIL che avevano sollecitato l’Unione Sindacale Svizzera (USS) ad adoperarsi per una conclusione urgente dell’Accordo e per una sua entrata in vigore «il più presto possibile», in modo da consentire la ratifica e l’entrata in vigore della Convenzione sulle assicurazioni sociali. Ogni giorno di ritardo, si riteneva, avrebbe fatto il gioco dei comunisti che accusavano il governo italiano di non difendere sufficientemente i lavoratori italiani emigrati in Svizzera e di aver concluso una convenzione che non veniva applicata.
Ferdinando Storchi
Quando si seppe che il parlamento svizzero avrebbe discusso l’Accordo solo nella primavera del 1965 il governo italiano incaricò l’ambasciatore d’Italia in Svizzera di esprimere il proprio rammarico per tale rinvio. Il Consiglio federale fece sapere che sarebbe stato controproducente fare pressione sul Parlamento e restò irremovibile al riguardo. Il governo italiano dovette accettare il rinvio, ma anche le reazioni dell’opposizione comunista che accusò il governo di arrendevolezza e di «colpevole silenzio». D’altra parte, non era disposto a mettere a repentaglio il soddisfacente compromesso raggiunto.
Che si trattasse di un buon accordo lo dimostrò, nel febbraio 1965, anche la breve discussione alla Camera dei deputati e soprattutto la sua approvazione quasi unanime: 314 sì e solo 9 astensioni. In aula era stato difeso con energia e passione dal sottosegretario Ferdinando Storchi, rispondendo punto su punto alle obiezioni dell’opposizione comunista.

Interessi del Consiglio federale
Anche il Consiglio federale aveva interesse a far entrare in vigore quanto prima l’Accordo, ritenuto tutto sommato soddisfacente, e far entrare in vigore immediatamente la Convenzione per evitare che il clima sociale potesse degenerare. Da Roma l’Ambasciata svizzera informava il Dipartimento politico dei numerosi articoli critici sulla Svizzera, accusata di facili espulsioni, di maltrattamenti di cittadini italiani, di sfruttare la manodopera italiana senza prendersi carico degli inconvenienti connessi, di non far nulla per garantire ai lavoratori sposati una vita familiare e di altro ancora. Del resto anche in Svizzera da tempo la stampa andava evidenziando una situazione della manodopera straniera insoddisfacente.
D’altra parte, fin dalla pubblicazione del comunicato stampa sulla firma dell’Accordo del 10 agosto, che aveva suscitato non poche reazioni negative, il Consiglio federale si rendeva conto che occorreva agire presto e bene, per stemperare il clima conflittuale che si stava creando tra italiani e svizzeri, dare garanzie sufficienti agli ambienti economici che temevano difficoltà nel reclutamento, tranquillizzare gli ambienti sindacali e privare la destra nazionalista di argomenti validi contro la politica immigratoria del governo.

Reazioni talvolta ostili all’Accordo
E’ probabile che il Consiglio federale sottovalutasse i problemi dell’immigrazione e soprattutto le reazioni all'Accordo da parte non solo della destra nazionalista xenofoba ma anche di alcuni ambienti della sinistra e dei sindacati, ma non si aspettava certo che il testo dell’Accordo divenisse di dominio pubblico prima del previsto e, soprattutto, che sollevasse tanta ostilità in un’ampia cerchia dell’opinione pubblica.
Il Consiglio federale aveva previsto, prudenzialmente, di non pubblicare subito il testo dell’Accordo, ma di allegarlo al Messaggio che avrebbe indirizzato alle Camere federali per la sua ratifica nel mese di novembre. Invece il testo venne reso pubblico da un periodico dell’emigrazione italiana, il 25 settembre 1964, scatenando una discussione enorme su tutta la stampa svizzera e negli ambienti maggiormente interessati della politica, dei sindacati e dell’economia, con prese di posizione talvolta ostili.
Reazioni molto negative si ebbero soprattutto negli ambienti operai svizzeri, per la paura di un massiccio afflusso di lavoratori italiani e delle loro famiglie, con conseguenze gravi soprattutto in materia di abitazioni. Di riflesso si mostrarono molto preoccupati anche i sindacati e i loro leader in parlamento, che chiesero ed ottennero dal Consiglio federale che l’Accordo non entrasse in vigore, nemmeno provvisoriamente, prima di un ampio dibattito parlamentare.
Il Consiglio federale si venne a trovare completamente spiazzato sia per la tempistica e sia per l’ampiezza del fronte se non delle opposizioni quantomeno delle posizioni critiche nei confronti della sua politica immigratoria. Per far ratificare l’Accordo, raggiunto dopo non poche difficoltà e ritenuto in definitiva «pienamente giustificato», doveva agire tempestivamente informando l’opinione pubblica sulla reale portata dell’Accordo, prima di affrontare le inevitabili contestazioni in Parlamento.

Punti controversi
Tra i punti più controversi facevano discutere specialmente le presunte agevolazioni ai ricongiungimenti familiari degli stranieri residenti con un impiego stabile in Svizzera. In base all'Accordo (art. 13), infatti, «le autorità svizzere autorizzeranno la moglie e i figli minori di un lavoratore italiano a raggiungere il capo famiglia per risiedere assieme a lui in Svizzera dal momento in cui il soggiorno e l'impiego di tale lavoratore potranno essere considerati sufficientemente stabili e durevoli», purché il lavoratore disponga di un «alloggio adeguato». Nelle «Dichiarazioni comuni» relative all'Accordo veniva precisato che sarebbero stati considerati «sufficientemente stabili e durevoli il soggiorno e l'impiego dei lavoratori italiani dopo un periodo di diciotto mesi di presenza regolare e ininterrotta in Svizzera».
Il Consiglio federale aveva autorizzato questa riduzione del periodo di attesa per il ricongiungimento familiare da tre anni (prassi attuale) a 18 mesi (e persino meno in casi particolari) non solo per venire incontro alle richieste italiane (entrata immediata), ma anche per considerazioni di ordine morale, umano e non da ultimo economico.

La reazione del consigliere federale Schaffner
Non tutta l’opinione pubblica era tuttavia favorevole a questo compromesso, suscitando qualche irritazione nel capo del Dipartimento politico Hans Schaffner. Le infuocate reazioni seguite alla pubblicazione del comunicato stampa che menzionava i temi principali dell’Accordo erano dovute, secondo il consigliere federale Schaffner, soprattutto alla mancanza d’informazioni corrette. Occorreva pertanto reagire immediatamente con una conferenza stampa sulla reale portata dell’Accordo in particolare sul ricongiungimento familiare. Rivolgendosi in una lettera al direttore dell’UFIAML Max Holzer, scriveva fra l’altro:
«Credo che sia necessario organizzare una conferenza stampa […] preparata con cura e accompagnata da materiale informativo. Gli svizzeri si fanno delle illusioni enormi se credono che alla lunga possiamo richiamare dallo Stato nostro vicino solo la popolazione attiva, inserita nella vita professionale, lasciando invece famiglie, donne, bambini e anziani nel paese di origine della manodopera, che in sé è benvenuta. Abbiamo in ogni caso un’immagine completamente sbagliata della cosiddetta piramide della popolazione svizzera. La quota delle persone attive professionalmente, che pagano contributi e tasse è in ogni caso troppo favorevole in rapporto alla popolazione passiva o non più attiva, bambini, anziani, casalinghe. Anche in questo senso ci facciamo grandi illusioni.
L’accordo con l’Italia può essere ben difeso. Bisogna dire per una volta in modo chiaro che alla lunga non si può imporre il celibato ai lavoratori stranieri, che alla lunga la separazione dalla famiglia non è una soluzione, che per questo abbiamo sicuramente fatto venire troppi e non troppo pochi lavoratori stranieri e che anche in relazione alla forza lavoro straniera prima o poi arriva «l’heure de la vérité»
Oltretutto le concessioni fatte dalla Svizzera sono a mio avviso relativamente modeste. Rimangono in ogni caso al di sotto di tutti i postulati e i desideri italiani. Non stanno neppure in alcun rapporto con le opportunità che la concorrenza nella CEE, anch’essa alla ricerca di manodopera straniera, è in grado di offrire…»
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L’intervento dell’on. Schaffner non bastò a tranquillizzare l’opinione pubblica, alcuni ambienti politici (soprattutto di destra), ma anche dei sindacati. Occorsero interminabili discussioni parlamentari, soprattutto al Consiglio nazionale, con sedute anche notturne, prima che si giungesse all'approvazione dell’Accordo (17 marzo 1965).
Lungo dibattito parlamentare
Ben 64 deputati presero la parola, in un clima piuttosto teso, che risentiva fortemente dell’aria antistranieri e antitaliana che si respirava fuori dell’aula. Basti pensare che una delle parole maggiormente usate (per ben 160 volte) nel dibattito al Consiglio nazionale è stata Überfremdung, inforestierimento e per ben 22 volte si è evocato il pericolo dell’inforestierimento, Überfremdungsgefahr.
Kurt Furgler
Fra i tanti interventi che meriterebbero attenzione, accenno soltanto a due, positivi, che mi sembrano significativi. Il primo è quello del consigliere federale Hans Schaffner che invitava ad aver cura della tradizionale amicizia con l’Italia, tenendo conto che «anche nella nuova Europa avremo bisogno di amici!». Il secondo quello del relatore Kurt Furgler, favorevole all’Accordo, che prima di commentare i vari articoli rivolse un pensiero riconoscente «a quegli stranieri che hanno contribuito al benessere della Svizzera», invitando i colleghi a non drammatizzare la situazione e soprattutto a non cedere alla pericolosa xenofobia.
L’Accordo italo-svizzero fu approvato dal Consiglio nazionale con 117 voti a favore e 26 contrari. Il 22 aprile 1965 entrò finalmente in vigore. Per una sua valutazione complessiva si rimanda al prossimo articolo. (Continua)
Giovanni Longu
Berna 22.10.2014


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