24 ottobre 2018

4 novembre: ricordo di un eccidio

Nel 2018 ricorre il centesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale. Sarà celebrato da alcuni Stati per il trionfo finale e ricordato sommessamente da altri per la sconfitta. Gli uni e gli altri, probabilmente, avvolgeranno nel manto di un’insulsa retorica l’immane carneficina con almeno 20 milioni di morti, che da entrambe le parti saranno considerati «eroi», perché «morti per la Patria». Nessuno oserà mai metterlo in dubbio, perché la patria, anche con la «P» maiuscola, soprattutto a quei tempi era considerata una religione, la «Religione della Patria», che richiedeva dai propri membri l’incondizionata disponibilità al sacrificio e persino al martirio. Ne giunge un’eco fino a noi attraverso i testi ancora attuali di alcuni inni nazionali!


Celebrazioni e ritorno alla storia vera
Roma, "Altare della Patria"
Gli Stati vincitori celebrano in questo periodo la vittoria con l’orgoglio di chi ritiene di aver schiacciato i nemici; quelli perdenti hanno già rimosso in gran parte l’«inutile strage». L’Italia, potenza vincitrice, fece affiggere in tutti i Comuni d’Italia una targa col testo del Bollettino della Vittoria inviato il 4 novembre 1918 al Re d’Italia dal generale Armando Diaz con questo inizio solenne: «La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta».
Nel Bollettino non si parlava dei costi umani e materiali della vittoria, eccetto di quelli subiti dal nemico: «L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi». Nessun cenno veniva fatto agli oltre 650.000 militari italiani morti. Per esaltare l’orgoglio nazionale, più che per pietà, furono eretti in molte piazze d’Italia monumenti ai «gloriosi caduti». Per decenni la propaganda (fascista) ha cercato di sfruttarli in tutti i modi.
Sarebbe tempo di rimuovere tutte le ideologie sulla guerra e riportare la storia ai fatti nella loro durezza e crudezza, ma non credo che lo si farà, perché i fatti delle guerre sono atroci, vergognosi e umanamente inaccettabili. La guerra è follia e morte (papa Francesco).
Della prima guerra mondiale si sa ormai tutto o quasi, ma i giudizi sono ancora molto divisi. Gli storici non riescono a stabilire, per esempio, il numero esatto o verosimile dei morti, tra militari e civili, morti in battaglia o sotto i bombardamenti o in seguito a epidemie e disagi di ogni tipo, ma si sa che oscilla tra 20 e 40 milioni. Una pazzia planetaria! Non sono d’accordo sulle cause della guerra e in ogni caso non ammetterebbero mai all’unanimità l’irrazionalità della guerra per risolvere questioni di territori, di supremazia, di mercati e qualsiasi altra cosa del genere. La stampa mondiale non si trovò d’accordo nemmeno nel 1917 sulle parole del papa Benedetto XV quando denunciò l’«inutile strage» e indicò la via della pace per la soluzione dei problemi. La verità talvolta fa male, ma sempre meno della guerra!

La religione della Patria e l’odio del nemico
Forse è addirittura impossibile ritornare semplicemente ai fatti, ripulendoli da tutte le incrostazioni ideologiche che ne hanno modificato per così dire la natura violenta e ripugnante. Come si fa, per esempio, a separare i fatti da quel concetto di «patria» che si è sviluppato tra gli italiani (anche quelli residenti all’estero, per esempio in Svizzera) già prima della guerra, durante il Risorgimento? Impresa difficile perché fu costruito abilmente per suscitare da una parte l’«amor di patria» e dall’altra l’odio verso i nemici dell’Italia. Per rafforzare quel concetto, fu addirittura creato e diffuso il binomio «Dio e Patria» in modo da dare un senso «sacro» all’amor patrio. Su quel binomio si sviluppò persino una sorta di «Religione della Patria», ma anche di «religione dell’odio», che dovevano suscitare nei cittadini l’«ardore di patria» e l’«odio del nemico» e trasformare i «credenti» in «Dio e Patria» in «combattenti» orgogliosi di «soffrire per la patria» fino al sacrificio totale. Nel 1885 fu posta a Roma la prima pietra dell’«Altare della Patria», inaugurato nel 1911.
Ispirandosi a questa ideologia, Mussolini fece incidere su una lapide dedicata a un «eroe» della prima guerra mondiale e medaglia d’oro al valore militare, Fulcieri Paulucci de Calboli, queste semplici parole: « diè tutto sé stesso alla Patria». Quella lapide è leggibile su una parete esterna dell’Ambasciata d’Italia a Berna. Si sa che sotto il fascismo la fede diventò anche un dovere, per volontà del Duce: «Dio e Patria. Ogni altro affetto, ogni altro dovere vien dopo». Il binomio sarà sfruttato ampiamente dalla propaganda fascista, che vi aggiungerà spesso quale terzo elemento la «Famiglia». per farne una specie di «Trinità fascista».
Questa religione combinata con un cieco nazionalismo si diffuse non solo in Italia, ma in tutti i Paesi d’Europa e anche in Svizzera. Un concetto di patria totalizzante e sacro lo si trova anche inciso su un monumento dedicato «agli eroi del Morgarten 1315», inaugurato nel 1908 a ricordo di una delle battaglie più importanti per la liberazione della Svizzera centrale dal dominio degli Asburgo, quella di Morgarten nel 1315, vinta dai confederati. Il monumento porta questa scritta significativa (traduzione dal tedesco): «Il 15 novembre 1315 hanno combattuto al Morgarten per Dio e per la Patria la prima battaglia per la libertà».
Durante la prima guerra mondiale, un quotidiano svizzero-tedesco filogermanico definì la Francia e la Gran Bretagna «traditrici dell’Europa… traditrici della razza bianca… profanatrici del Cristianesimo». Naturalmente la stampa antitedesca non risparmiava critiche velenose alla Germania e considerava la guerra contro di essa «la lotta stessa della civiltà contro la barbarie».

Inni nazionali d’altri tempi
Di queste visioni e di questi sentimenti contrapposti ci giunge ancor oggi l’eco attraverso gli inni nazionali di alcuni dei Paesi belligeranti. Per esempio quello francese «La Marsigliese», risalente al periodo della Rivoluzione francese, che contiene queste parole: «Avanti, figli della Patria / Il giorno della gloria è arrivato!... Vengono fin nelle nostre (vostre) braccia / A sgozzare i nostri (vostri) figli, le nostre (vostre) compagne!».
Quello italiano, Fratelli d’Italia, confezionato in pieno Risorgimento, sembra un inno ispirato dalla «Religione della Patria» ottocentesca con una straordinaria commistione di sacro e profano: «Stringiamoci a coorte, / Siam pronti alla morte. / Siam pronti alla morte, / l'Italia chiamò… Uniamoci, amiamoci / L'unione e l'amore / Rivelano ai Popoli / Le vie del Signore / Giuriamo far Libero / Il suolo natio / Uniti, per Dio, / Chi vincer ci può!?».
L’inno tedesco, Deutschland über Alles, risalente anch’esso al periodo risorgimentale, quando la Germania unita non esisteva ancora, è il meno bellicoso, anche se il nazismo ha interpretato quell’aspirazione originaria all’unità nazionale in volontà di supremazia della Germania sugli altri popoli conquistati dal Terzo Reich: « Germania, Germania, al di sopra di tutto, / al di sopra di tutto nel mondo, / purché per protezione e difesa / si riunisca fraternamente».

La verità sulla guerra
Ritornare ai fatti non è semplice anche perché potrebbero farci ancora male. Per questo li abbiamo in gran parte rimossi o anestetizzati. Per questo, noi occidentali, ormai abituati alla pace, non sappiamo nemmeno più cosa sia una guerra, non abbiamo la percezione del terreno di guerra, delle micidiali armi moderne e soprattutto della morte atroce provocata dai missili, dai bombardamenti, dalle artiglierie, dalle mine, dagli ordigni nucleari. Non ci giunge il fragore delle bombe e dei colpi d’artiglieria, le urla di disperazione delle persone colpite a morte o gravemente ferite o miracolosamente sopravvissute.
Raramente si pensa alle indicibili sofferenze dei feriti, dei mutilati, delle loro famiglie. In una società del benessere come la nostra non si riesce nemmeno a immaginare la fame o anche solo la scarsità e il razionamento dei generi alimentari durante e in parte anche dopo la guerra. Quanti giovani dei Paesi industrializzati possono dire di aver sofferto anche solo per brevi periodi la fame? Molti non sanno che una delle conseguenze indirette della guerra è proprio la fame, quella vera, quella che morde, che fa impazzire, che uccide.
Di fronte a questi eccidi e a queste sofferenze la reazione dovrebbe essere solo una: ripudiare la guerra in tutte le sue forme e favorire la pace. Non ha senso continuare a discutere se la guerra può essere giusta o ingiusta, perché la guerra è comunque sempre atroce, disumana. Non ha senso continuare a produrre e a vendere armi, perché provocano solo morte e rappresentano una sottrazione ingiustificabile di risorse al progresso sociale.

«L’Italia ripudia la guerra»
"L'Italia ripudia la guerra" (art. 11 Costituzione)
Tutti i Paesi e non solo l’Italia dovrebbero sottoscrivere l’articolo 11 della Costituzione italiana: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Invece si assiste (impotenti o indifferenti?) al proliferare delle guerre, all’aumento delle spese militari, al commercio delle armi, a migrazioni bibliche, a distruzioni di intere città, ecc.
Ricordare la «grande guerra», vedere qualche filmato d’epoca, leggere qualche pagina di vita vissuta di protagonisti potrebbe essere utile per rendersi conto che la guerra reale al fronte e lontano dal fronte è ben altra cosa dalle scene di un film girate in tutta sicurezza. Può essere utile anche per convincerci, se già non lo fossimo, dell’insensatezza della guerra, della sua mostruosità e per farci decidere incondizionatamente per la pace. La verità non dovrebbe far male, nemmeno ai bambini. Credo anzi che sia utile farli crescere associando la guerra al male e la pace al bene.
Giovanni Longu
Berna 24.10.2018