28 dicembre 2011

ITALIA: discontinuità con qualche perplessità


Sta per concludersi uno degli anni più difficili per l’Italia. Dodici mesi fa osservavo che «la situazione non fa che peggiorare», soprattutto dopo la fuoruscita dei dissidenti finiani dal Popolo della Libertà e dalla maggioranza. Da allora la politica italiana è stata, per usare una metafora del Sommo Poeta «nave sanza nocchiere in gran tempesta», praticamente senza meta se non quella di sopravvivere.
Nonostante si celebrasse quest’anno il 150° anniversario dell’unità d’Italia, che avrebbe dovuto suggerire un maggiore senso dello Stato e del bene comune tra le forze politiche di governo e d’opposizione, la situazione è degenerata al punto da far dire a un attento osservatore come Piero Ostellino che «l’Italia è in guerra civile …. destinata ad avere conseguenze rovinose».
E’ dovuta intervenire l’Unione Europea (UE) per mettere in guardia l’Italia sui pericoli (fallimento) a cui andava incontro se non avesse adottato urgentemente riforme strutturali adeguate. Ma appariva sempre più evidente che il governo Berlusconi non sarebbe stato in grado di realizzarle, sia per la debolezza della sua maggioranza e sia per la pervicacia delle opposizioni che cercavano con ogni mezzo e in ogni occasione la sua caduta, nell’illusoria convinzione che essa bastasse da sola a salvare l’Italia dal presunto pericolo imminente.

L’intervento risolutivo di Re Giorgio
L’aggravarsi della crisi finanziaria internazionale, che sembrava trascinare nel baratro i Paesi più deboli della zona euro, Italia compresa, e l’insistenza delle opposizioni a una discontinuità col governo in carica hanno indotto il Capo dello Stato a sollecitare le dimissioni di Berlusconi e a dare l’incarico di formare un nuovo governo a un tecnocrate, Mario Monti, senza passare per la strada maestra delle elezioni.
Saggezza, precipitazione, illusione in questo susseguirsi di eventi che hanno poi segnato sicuramente una discontinuità col governo precedente? Solo il tempo darà una risposta conclusiva a questa domanda, anche se già a poche settimane dal suo insediamento si deve registrare un significativo calo di consensi alle misure approvate nel frattempo dal governo Monti, basate principalmente su nuove tasse, ritenute fra l’altro da molti poco eque.
Anche l’attivismo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha suscitato solo entusiasmi nell’opinione pubblica che l’ha definito Presidentissimo e addirittura «Re Giorgio» (New York Times), ma anche qualche perplessità nei palazzi della politica. Il fatto che, come ha scritto il quotidiano americano, Giorgio Napolitano abbia «orchestrato uno dei più complessi trasferimenti politici dell’Italia del dopoguerra» e che «ora gli italiani guardano a Napolitano perché guidi la nave dello Stato con la sua tranquilla abilità» ripropone in effetti il problema dell’architettura dello Stato italiano. In un mondo allo stesso tempo globalizzato e fortemente integrato (come dimostra anche l’attuale crisi internazionale) sembra ormai improcrastinabile che si affronti senza tabu il problema dei ruoli del Presidente della Repubblica, del capo del Governo e del Parlamento.

Nel segno della discontinuità
L’espressione più evidente della discontinuità col governo Berlusconi è senza dubbio la natura stessa del governo Monti, definito «tecnico» perché non è emanazione dei partiti politici e non ha la legittimazione democratica tipica dei governi che scaturiscono da un preciso esito elettorale, ma solo parlamentare, e perché chiamato a risolvere i problemi che per la loro gravità e urgenza il governo precedente e forse nessun altro governo «politico» sarebbe stato in grado di affrontare.
Un ulteriore elemento della discontinuità col Governo Berlusconi è dato anche dalla trasversalità delle forze politiche che sostengono l’attuale governo. Sono infatti saltate le coalizioni della situazione precedente tanto è vero che a sostenerlo sono oggi soprattutto i due principali partiti antagonisti di prima.
La discontinuità tra Monti e Berlusconi risulta evidente anche nel programma di governo, non tanto nelle finalità generali (molto simili) quanto nei tempi e nella misura del loro raggiungimento. Monti ha voluto imprimere un’accelerazione rispetto ai tempi lunghi della «politica», intervenendo in poche settimane su alcune riforme importanti e impopolari (ad es. imposta sulla casa, pensioni, patrimoniale) rinviandone altre ad una seconda e terza fase.
Purtroppo questa impostazione temporale ha scontentato gli ambienti maggiormente colpiti dalle nuove tasse suscitando qualche perplessità sulla medicina Monti negli ambienti sindacali e negli stessi partiti che sostengono il governo. Dopo l’approvazione del prima decreto «salva-Italia» l’ottimismo generale iniziale risulta fortemente ridimensionato. Secondo molti analisti, si sarebbe potuto e dovuto iniziare dai tagli agli sprechi (ponendo finalmente mano a un dimagrimento del costosissimo apparato statale), dalla riduzione dei costi della politica, dalle liberalizzazioni, dalla vendita del patrimonio dello Stato inutilizzato, dagli incentivi mirati e intelligenti agli investimenti soprattutto nel Mezzogiorno, ecc.
Ma bisognava pur cominciare da qualche parte. Il governo Monti non ha molto tempo per riuscire totalmente nella difficile impresa, ma potrebbe preparare il terreno perché altri dopo di lui raccolgano maggiori frutti.

Giovanni Longu
Berna, 28.12.2011


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