09 novembre 2011

Elezioni in vista… per fare cosa?*

Stando ai media nazionali e stranieri che osservano la politica italiana, il governo Berlusconi sarebbe ormai giunto al capolinea, logorato da un’acerrima opposizione, unita da un viscerale antiberlusconismo, e da una fronda interna al centro-destra, che si appresta a saltare sul carro del vincitore. Già si respira un’aria da basso impero, quando intrighi e congiure di palazzo erano all’ordine del giorno.
Se Berlusconi dovrà, forse presto, rimettere il mandato nel capo dello Stato è anche dovuto alla sua incapacità di gestire un governo e una maggioranza eterogenea e litigiosa. Un governo che non sa governare è giusto che vada a casa. Ma c’è poco da stare allegri, perché dietro l’angolo non c’è affatto un altro governo in grado di garantire quanto l’attuale non è stato capace di realizzare e con ricette miracolose per uscire subito dalla crisi. Purtroppo il macigno del debito pubblico e il dovere di mantenere gli impegni presi con l’Europa continuerà a gravare pesantemente su qualunque governo verrà dopo quello di Berlusconi. Come continuerà a pesare sul mancato sviluppo del prodotto interno lordo (PIL) il dissesto idrogeologico, che ogni anno fa centinaia di vittime e miliardi di danni, il forte ritardo nella realizzazione delle infrastrutture ferroviarie e autostradali, il crescente distacco sempre più accentuato tra nord e sud in termini di produzione e consumo di ricchezza, occupazione e disoccupazione, impiego e spreco di risorse, ecc.
Di fronte alla mole di problemi che dovrebbe unire le migliori forze del Paese per evitare disastri peggiori, è sconcertante assistere da alcune settimane al peggiorare dello scontro politico, in barba agli appelli del Capo dello Stato (a quando il presidenzialismo?) che invita a una maggiore moderazione e coesione. Per il governo, che dovrebbe decidersi finalmente a indicare le soluzioni alla crisi sfidando tutte le opposizioni, sembra invece prioritario avere in Parlamento i numeri per sopravvivere. Per le opposizioni, incapaci di rendersi conto che basterebbe un loro sostegno per fare approvare misure non certo risolutorie ma comunque utili al Paese, come quelle richieste all’Italia dall’Unione Europea e in particolare dalla Banca centrale europea, la priorità è diventata ormai solo mandare a casa Berlusconi. L’Europa può aspettare e anche il Fondo monetario internazionale, che dovrebbe certificare trimestralmente le realizzazioni fatte dal governo italiano per uscire dalla crisi.

Rischi di ribaltoni e di ritorno alla Prima Repubblica
Chi si fosse illuso, in questi ultimi anni, che la frammentazione politica che caratterizzava la Prima Repubblica fosse stata archiviata dal bipolarismo introdotto da Berlusconi e Prodi, deve ricredersi. Nell’Italia del Duemila, si diceva, non c’è più spazio per i ribaltoni. Evidentemente la storia in Italia corre a rilento. In questi ultimi mesi si assiste a un via vai di parlamentari che passano da un gruppo all’altro, da un partito all’altro e quel che è peggio da una coalizione all’altra. Se con l’affermarsi del bipolarismo sembrava evidente che le coalizioni dovessero avere un solo leader, oggi questo principio è messo in discussione.
Nel centro-destra il leader ufficiale è Berlusconi, ma in realtà è sotto tutela non solo di Bossi, ma anche di Tremonti, di Scajola e chi sa di quanti altri ancora. Nel centro-sinistra manca del tutto un leader e, se mai si profilasse come tale quello del maggior partito Bersani, difficilmente potrebbe evitare un condizionamento interno da parte dei vari D’Alema, Bindi, Renzi, Veltroni e soprattutto il condizionamento esterno dei leader dei numerosi altri partiti e movimenti d’opposizione da Di Pietro a Vendola, da Casini a Fini, a Rutelli.
Come in certi film dell’horror si ha l’impressione che gran parte di questi pretendenti leader passino il tempo di giorno a elaborare ricette per salvare l’Italia malata e di notte ad affilar coltelli. Basta sentirli parlare per rendersi conto delle ambizioni sfrenate che nascondono. Del resto, com’è possibile credere a un Fini che pur di riemergere dal fondo (di credibilità) in cui è precipitato non solo ha voltato le spalle al suo sdoganatore dall’infamia fascista, ma è passato tranquillamente armi e bagagli dalla parte degli avversari politici dati per prossimi vincitori, tradendo (per cui «traditore» è il termine giusto) il patto con gli elettori che lo elessero deputato in alleanza con Berlusconi e in opposizione con Bersani e con Casini?
E com’è possibile credere allo stesso Casini, che mentre si propone come salvatore della patria e affossatore del tiranno Berlusconi altro non fa che prepararsi il terreno per divenire una sorta di «deus ex machina», senza il quale nessun governo è possibile? In questo gioco di sfrenate ambizioni rientra anche la prova di forza dei prossimi giorni: il governo Berlusconi non deve durare fino alla sua scadenza naturale, ma deve cadere prima, con la complicità dei cospiratori, in modo da confermare in piena regola il ritorno alla pessima usanza della Prima Repubblica di far durare i governi da pochi mesi a pochi anni.

In democrazia, solo gli elettori decidono le maggioranze
Credo che tutte le idee vadano rispettate, purché oneste e democratiche. Nelle proposte di chi sarebbe disposto a votare le indicazioni del governo a condizione che prima cada la testa di Berlusconi, e nelle richieste di un governo di larghe intese senza il benestare dei partiti vincitori delle elezioni non c’è niente di onesto e di democratico. Se il governo, per la sua debolezza e incapacità non è più sostenibile, è giusto che cada il più presto possibile; ma è altrettanto giusto che a decidere da quale maggioranza debba essere sostenuto il prossimo governo debba essere unicamente il popolo degli elettori.
Giovanni Longu
Berna, 9.11.2011

* Questo articolo è stato scritto il 6.11.2011, quando Berlusconi non aveva ancora annunciato le prossimi dimissioni.

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