22 giugno 2011

Rapporti Svizzera-Italia: c’è ancora tensione e impazienza

Incontrando alcuni giorni fa alcuni politici e giornalisti ticinesi era palpabile il disagio nell’affrontare il tema dei rapporti con l’Italia. A quanto sembra, essi non danno ancora segni di miglioramento. Avevano suscitato una ventata d’ottimismo l’incontro tra la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey e il capo del governo italiano Silvio Berlusconi il 1° giugno a Roma e l’approvazione a grande maggioranza alla Camera dei deputati italiana qualche giorno più tardi di una raffica di mozioni che sollecitavano la ripresa del dialogo tra l’Italia e la Svizzera per risolvere i problemi sul tappeto in materia fiscale.

A distanza di pochi giorni, tutto è ancora fermo, salvo il sentimento di frustrazione e di pessimismo che invece avanza. Da Roma non giunge alcun segnale incoraggiante e a Berna l’Ambasciatore Deodato si sforza invano di raccomandare pazienza e ottimismo durante un recente incontro conviviale con la Deputazione ticinese alle Camere federali. L’ostacolo sembra rappresentato dal «guerrigliero» ministro dell’economia Tremonti, che mostra di non voler recedere dalle sue posizioni di chiusura nei confronti della Svizzera (considerata ancora una sorta di paradiso fiscale) e non pare disposto neppure ad aprire una trattativa.
I rischi a questo punto sono seri e non andrebbero sottovalutati dal governo italiano. Intanto sono già riapparsi in Ticino i toni piuttosto decisi di politici e opinionisti, che a gran voce invitano sia il governo ticinese a trattenere il versamento dovuto all’Italia come ristorno fiscale sui frontalieri, sia la Confederazione ad «alzare il tono con Roma», a «passare dalle parole ai fatti» e a richiedere la revisione dell’accordo del 1974 sui frontalieri.

Non strumentalizzare i frontalieri!
Forse Tremonti, si dice e si scrive in Svizzera, non si rende conto che il problema dell’evasione fiscale è un problema interno all’Italia e la Svizzera non può essere accusata di favorirla. E’ in Italia che avviene l’evasione, a nord come al sud e al centro, e gli evasori non vanno ricercati tra i frontalieri o gli emigrati, ma tra i lavoratori autonomi-imprenditori e tra i proprietari d’immobili italiani. Per di più, in questo contenzioso con la Svizzera l’Italia è isolata rispetto ad altri Paesi come la Francia, la Germania, il Regno Unito, intenzionati a negoziare nuovi accordi. Non è un po’ troppo per un’Italia già in difficoltà sul piano internazionale per la sua fragilità strutturale e politica?
In Italia bisognerebbe anche rendersi conto che le tensioni col Ticino non giovano né agli oltre 50.000 frontalieri che vi lavorano né ai loro Comuni di domicilio in Italia. Se il negoziato non verrà riaperto in tempi brevi è possibile che il governo ticinese chieda misure di ritorsione (anche se il governo federale per il momento le ha scartate) e magari la denuncia dell’accordo del 1974 sui frontalieri. Proprio recentemente un deputato della Lega dei ticinesi, Lorenzo Quadri, ha chiesto espressamente al Consiglio federale che nelle trattative sul ristorno del prelievo fiscale all’Italia si faccia valere il fatto che, secondo lui, gran parte dei frontalieri non rientra più ogni giorno al proprio domicilio italiano, per cui sembrerebbe venuta meno una delle condizioni che avevano giustificato un ristorno ai Comuni italiani della fascia di confine di circa il 40% del prelievo fiscale sui frontalieri, abbassata successivamente al 38,8% perché non tutti i frontalieri rientravano ogni giorno in Italia. Secondo fonti sindacali italiane, tuttavia, la maggioranza dei frontalieri continua a rientrare ogni giorno al proprio domicilio per cui il ricorso svizzero a questo argomento sarebbe puramente strumentale.
Tant’è che a chiedere una revisione dell’accordo italo-svizzero sui frontalieri non è più solo la destra, ma tutti i partiti ticinesi in base a un ragionamento molto semplice: se Tremonti può fare orecchie da mercante alle richieste della Svizzera di aprire negoziati sul contenzioso fiscale (ma escludendo la richiesta di Tremonti di uno scambio di informazioni automatiche, perché significherebbe la fine del segreto bancario), non può far finta di non sentire la richiesta pressoché unanime dei deputati italiani e soprattutto di quelli della Lega Nord, che non intendono per nessuna ragione rinunciare al ristorno delle imposte a favore dei Comuni di frontiera italiani. Che aspetta Tremonti ad aprire il tavolo delle trattative con la Svizzera?

Per fortuna la maggioranza della Deputazione ticinese alle Camere federali cerca di abbassare i toni. Anzi, la presidente della Deputazione Marina Carobbio Guscetti ha espressamente affermato che la Deputazione non vuole misure di ritorsione ma il dialogo, agevolando incontri ad alto livello tra il Consiglio federale e il Governo italiano. «Solo in questo modo si giungerà alla soluzione del contenzioso, in particolare in materia fiscale». Ma fino a quando sarà possibile tener tesa la corda prima che si spezzi?

Giovanni Longu
Berna, 22.06.2011

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