22 giugno 2011

Governo e opposizioni a un bivio

Dopo il voto referendario del 12 e 13 giugno scorso, molti hanno cantato vittoria, mentre gli sconfitti hanno cercato di far buon viso a cattiva sorte («non c’è alternativa alla nostra maggioranza»). In realtà, per il Presidente del Consiglio Berlusconi e per la sua maggioranza la situazione è diventata esplosiva. Al prossimo passo falso, dopo due sonore ammonizioni, l’espulsione sarà inevitabile. La stessa Lega Nord, col raduno di Pontida di domenica scorsa, ha inviato un chiaro avvertimento al governo, in aggiunta all’ultimatum già lanciato dai sindacati: o il governo fa le riforme o è bene che se ne vada!

Concludere dalle difficoltà che sta incontrando il governo da alcuni mesi a questa parte che, al contrario, stia andando magnificamente bene alle opposizioni ce ne corre. Basti pensare ai continui battibecchi tra il leader del Partito democratico Bersani e il leader di Sinistra, ecologia e libertà Vendola o alle ambiguità del Terzo Polo, aspirante a diventare l’ago della bilancia della politica italiana, per non parlare delle ambizioni del capo dell’Italia dei Valori Di Pietro. La realtà è che il «cantiere dell’alternativa» non è stato ancora nemmeno aperto.
Fatte queste premesse, credo che il contesto della politica italiana di questi ultimi mesi e le due ultime consultazioni popolari offrano chiavi di letture diverse da quelle un po’ superficiali di chi ha vinto e chi ha perso e ancor più di destra e di sinistra, di maggioranza e opposizione. Mi sembra infatti che la voce sonora del popolo italiano abbia voluto segnalare soprattutto e inequivocabilmente la gravità dell’attuale situazione sia al governo che alle opposizioni e la necessità urgente di un cambiamento della politica nazionale.

Riforme improrogabili
Il governo si trova ora di fronte a un’unica alternativa: o accelera sulla strada delle riforme, quelle vere capaci di incidere sull’economia e sulla vita delle famiglie, al limite dell’impopolarità, o rassegna le dimissioni. La scelta di avanzare con le riforme, praticamente obbligata, è però di estrema difficoltà perché non si possono fare riforme senza risorse e, si sa, in questo momento le casse dello Stato sono vuote. Qualunque incentivo allo sviluppo o riduzione delle tasse richiederà inesorabilmente tagli alla spesa pubblica, senza farsi troppe illusioni sul recupero dell’evasione fiscale. Paradossalmente la riuscita dell’operazione dipenderà non solo dal governo ma anche dalle opposizioni. Difficilmente potranno sottrarsi all’invito recente del Capo dello Stato a collaborare e all’obbligo morale di impedire che l’Italia si avvicini troppo al precipizio.
Come si vede, anche le opposizioni si trovano a un bivio. Finora sono risultate unite solo nella professione di antiberlusconismo, ma non sono mai state in grado di esprimere coesione attorno ad un’idea o una proposta, tantomeno un’alternativa di governo. Ora ne hanno la possibilità, pena l’aggravamento della situazione generale italiana e il ritardo nel proporre al Paese una valida alternanza di governo. Anche le recenti elezioni amministrative e soprattutto i referendum hanno dimostrato che il collante dell’antiberlusconismo non è sufficiente.

Apporto indispensabile delle opposizioni
Il risultato dei quattro referendum sui quali si è espressa una proporzione insolita di votanti è particolarmente sintomatico. Istituzionalmente il referendum, in Italia, mira ad abrogare (parola per altro rarissima nel vocabolario degli italiani) una legge o altro testo normativo ed ha solo indirettamente un carattere politico. In questa occasione, invece, tutti e quattro i referendum hanno finito per assumere un significato prevalentemente politico e antiberlusconiano. Se i votanti avessero espresso il loro sì o no in base alla comprensibilità dei testi che avevano sottomano e ad una conoscenza anche solo sommaria della materia, l’esito sarebbe stato ben altro. La valanga dei sì si è potuta formare quasi esclusivamente sulle indicazioni di voto antigovernative dei promotori dei referendum e dei partiti e movimenti d’opposizione, senza alcun approfondimento dei singoli oggetti in votazione. Ma non si è votato sì solo perché Silvio capisse! Devono capire anche le opposizioni, perché non è immaginabile che il popolo dei sì intenda restare indifferente al fatto che l’acquedotto pugliese continui a perdere per strada il 50% dell’acqua e che molti servizi pubblici siano una sorta di ufficio di collocamento per gli amici degli amici. Dai generici no a Berlusconi bisogna passare alle proposte concrete e realizzabili, non demagogiche.
Spero che almeno il Capo dello Stato non demorda e continui a ricordare ai partiti che «non bisogna temere di ritrovarsi uniti insieme attorno ai grandi principi ed ai grandi obiettivi e a dire che sono comuni per tutti». Personalmente ho molti dubbi che vi riescano, soprattutto in questo momento, in cui ogni partito cerca di profilarsi per essere «determinante» in qualunque alleanza. Trovo che sia un errore, perché prioritario dovrebbe essere sempre il bene dell’Italia.

Giovanni Longu
Berna 22.06.2011





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