05 maggio 2009

«Liberi e Svizzeri, siam Ticinesi», ma … l’Europa avanza!

Votando NO all’estensione della libera circolazione delle persone all’intera Unione Europea, compresi i due nuovi Stati membri Bulgaria e Romania, il Ticino conferma ancora una volta la sua difficoltà storica a convivere tra due entità forti, la Svizzera tedesca a nord e l’Italia, in particolare la Lombardia, a sud.
Il disagio dei ticinesi è soprattutto interiore, perché fanno talvolta fatica a conciliare nel loro cuore i «due santi affetti» di cui sono plasmati, la loro «svizzeritudine» e la loro «italianità» di cui sono impastati. Nei momenti di difficoltà o di pericolo, come quelli che stiamo vivendo a causa di una grave crisi internazionale, è comprensibile che i timori prevalgano sugli amori. In questi momenti, persino l’Inno del Cantone Ticino sembra somigliare più a un’invocazione che a un’affermazione di fierezza e d’indipendenza:
«Liberi e Svizzeri, siam Ticinesi! Ci diè natura ridente suol, d'Elvezia il palpito, col caldo Maggio in noi ravviva d'Italia il sol. Così da fiamma gagliarda accesi, due santi affetti ci stanno in cor: ci dà l'Elvezia l'odio al servaggio, d'Italia all'arte ci dà l'amor».
Il Ticino ha sempre respinto, in votazione popolare, tutte le iniziative aventi per oggetto un maggior coinvolgimento della Svizzera nel mondo, dall’adesione allo Spazio Economico Europeo (1992), all’ingresso della Svizzera nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (2002) fino agli Accordi bilaterali I (2000)e a quelli di Schengen (2005). Mai come nelle recenti votazioni si è tuttavia schierato così massicciamente dalla parte degli oppositori.
Ticinesi conservatori in politica estera
Nel 1992 il Ticino contribuì col 61,5% di no ad affossare il tentativo della Svizzera di entrare nello Spazio Economico Europeo (SEE). Nel 2000 fu tra i più strenui oppositori agli Accordi bilaterali I tra la Svizzera e l’Unione Europea (UE) sulla libera circolazione delle persone (57% di no). Nel 2001 contribuì ad affossare l’iniziativa popolare «Sì all’Europa» con l’84,2% di no. Nel 2002, col 58,7% di no fu tra i Cantoni che votarono contro l’adesione della Svizzera all’ONU (approvata invece dalla maggioranza del popolo e dei Cantoni). Nel 2004 la Svizzera e l’UE hanno firmato gli Accordi bilaterali II e gli Accordi di Schengen, ma il Ticino li ha sempre osteggiati. Nella votazione popolare del 2005 bocciò a larghissima maggioranza (quasi 70% di no) gli Accordi di Schengen (approvati invece dal 54,6% dell’elettorato svizzero) e si oppose con quasi il 64% dei votanti all’estensione della libera circolazione delle persone ai nuovi Paesi dell’UE (approvata sul piano nazionale col 56% di sì). Nel 2006 votò contro la cooperazione della Svizzera con i Paesi dell’Est europeo (quasi il 63% di no). L’8 febbraio 2009 ha segnato per il Ticino il record di opposizione all’ampliamento della libera circolazione delle persone a Bulgaria e Romania con il 65,8% (approvato invece a livello nazionale col 59,6% ).
Ciò che maggiormente ha spinto finora i ticinesi a votare costantemente (con pochissime eccezioni) contro ogni tipo di apertura e di collaborazione della Svizzera in campo internazionale non è probabilmente un vago sentimento di paura nei confronti degli stranieri, ma la paura precisa di una loro «invasione» dal Sud. Anche all’inizio del secolo scorso il ceto medio-basso dei centri urbani della Svizzera tedesca aveva la stessa paura. Ma a differenza di allora oggi dovrebbe essere facile rendersi conto che è stato anche grazie a quella «invasione» che la Svizzera è cresciuta divenendo uno dei Paesi più progrediti del mondo e comunque oggi esistono delle protezioni che allora non esistevano.
Paure infondate
Sarebbe facile dimostrare che dopo l’entrata in vigore dei Bilaterali I non c’è stata, in Ticino e nel resto della Svizzera, quella temuta «invasione» della vigilia ed è impossibile che ciò avvenga dopo questa votazione. Non è nemmeno vero che i lavoratori stranieri sono disposti a tutto e a qualunque prezzo, semmai ci potrà essere qualche padroncino disposto ad approfittarne, ma i sindacati e le autorità sono lì anche per vigilare che ciò non avvenga. I lavoratori, anche quelli stranieri, non sono per l’abbassamento dei salari, al contrario puntano sempre verso il loro innalzamento. Chi vorrebbe deprimere i salari sono altri ed è pertanto ingiusto accusare gli stranieri di prestarsi al gioco. Da controllare non è tanto la disponibilità dei lavoratori ad accettare un salario magari ingiusto, ma la politica salariale in generale, che non deve discriminare gli stranieri.
Anche la paura di un aumento della criminalità a causa degli stranieri va decisamente ridimensionata. Lo straniero che si sente bene accolto, ha un lavoro ed è soddisfatto del salario che percepisce non ha alcuna intenzione di delinquere. Non è mai stato dimostrato che questo tipo di stranieri è più propenso alla delinquenza dei nativi, semplicemente perché non è mai stato vero. Tutte le statistiche serie dimostrano che il tasso di delinquenza degli stranieri residenti regolarmente è del tutto comparabile a quello della popolazione locale. Perché dunque insistere su questo argomento puramente strumentale e oggettivamente falso?
Inutile dire che queste paure sono frutto di pregiudizi perché i dati oggettivi confermano che finora nessuna di queste situazioni si è verificata. Eppure queste paure, rappresentate in un manifesto dell’Unione democratica di centro (contraria all’estensione della libera circolazione delle persone) con tre corvi neri pronti ad abbattersi sulla Svizzera, sono ancora presenti nella maggioranza dell’elettorato ticinese.
Per cercare di comprendere un tale comportamento, è necessario chiedersi a questo punto chi sono per i ticinesi gli stranieri e perché fanno loro paura. Non è difficile rispondere che gli stranieri sono soprattutto gli italiani. A far paura, in un Ticino che fra l’altro sa bene integrare gli stranieri, non sono tanto i rumeni, i bulgari o i polacchi ma gli italiani e semmai i bulgari e i rumeni provenienti dall’Italia.
Il pericolo viene dal sud?
A prima vista questo può apparire strano perché gli italiani non sono «estranei» al Ticino. Con loro i ticinesi condividono non solo una frontiera, ma anche la lingua, la cultura e una lunga storia. Con loro si sono stabiliti nel tempo rapporti intensi ed è difficile immaginare il Ticino di oggi svincolato da questi rapporti linguistici, culturali, artistici, finanziari, economici con l’Italia e in particolare con la Lombardia. Eppure sono proprio gli italiani, i vicini di casa. gli «stranieri» di cui la maggioranza dei Ticinesi sembra aver paura.
Un tempo, all’epoca dei grandi lavori ferroviari, essi erano i benvenuti. Ancor oggi decine di migliaia di frontalieri lavorano per le aziende ticinesi. In un regime di libera circolazione dei lavoratori, è comprensibile che gli italiani possano essere attratti dal mercato svizzero-ticinese a causa della differenza dei salari tra l’Italia e la Svizzera. Col tempo però gli italiani del nord Italia, in particolare i lombardi, sono diventati anche competitivi sul mercato del lavoro e la paura dei ticinesi è che per colmare il divario salariale possano «invadere» il Ticino.
Ma se questo non è accaduto finora in seguito ai Bilaterali I, perché dovrebbe succedere adesso aprendo le frontiere ai bulgari e ai rumeni? In realtà non c’è nessuna logica. Il Ticino è fatto così: si sente una regione pienamente svizzera e al tempo stesso profondamente italiana, ma non sufficientemente forte per difendere questa sua caratteristica unica in Svizzera. Inserito in una Confederazione a predominio germanofono, il Ticino si sente (spesso) poco considerato da Berna, mentre rivendica il diritto di appartenenza a pieno titolo e con la stessa dignità degli altri Cantoni allo Stato federale. D’altra parte, come unico Cantone italofono, sa bene di non poter fare a meno della vicina Italia. Questa sorta di doppia dipendenza spaventa molti ticinesi e approfittano anche delle votazioni in materia di politica estera per manifestare questo disagio.
D’altra parte, in un sistema globalizzato e d’interdipendenza economica e finanziaria a cui si è aggiunto da alcuni anni un regime di libera circolazione delle persone sempre più allargato, la vicinanza a un polo di attrazione potentissimo come quello di Milano e della Lombardia crea nei ticinesi una forte apprensione per la loro struttura economico-finanziaria debole, per il loro benessere e la loro vocazione a rappresentare una sorta di anello di congiunzione tra nord e sud.
Ticino, anello debole tra nord e sud?
Questa situazione particolare del Ticino spiega l’atteggiamento conservatore dei ticinesi in politica estera e spiega anche perché il Ticino voti spesso in maniera differente dagli altri Cantoni periferici, non solo quelli romandi ma anche quelli germanofoni. Nessuno di essi si sente «minacciato» anche perché sanno di poter contare sul sostegno di altri Cantoni dello stesso ceppo culturale e linguistico. Solo il Ticino non ha tra i Cantoni vicini parenti che gli somigliano e lo sostengono. Nessun altro Cantone confina col bacino d’influenza di una grande metropoli straniera. I romandi hanno la loro metropoli in Ginevra e non in Parigi, gli svizzeri tedeschi hanno Zurigo e Basilea, solo i ticinesi hanno nelle vicinanze un potente centro gravitazionale estero come Milano.
Per recarsi a Berna o a Zurigo, i ticinesi devono mettere in conto lunghi tragitti attraverso le montagne, mentre Milano è a due passi, ne subiscono il fascino e l’attrazione, ma non vogliono esserne una periferia. Per questo il Ticino non perde di vista Berna e Zurigo, garanti dell’integrità e sovranità della Repubblica e Cantone Ticino, ma nemmeno della Confederazione vuol essere una periferia.
Questo stare nel mezzo, quale Cantone cerniera, tra due culture, due mondi, due economie, due politiche di sviluppo, ha procurato da sempre al Ticino grandi difficoltà. Solo da qualche decennio ha intravisto nella sua posizione di confine un’opportunità, una funzione strategica di collegamento e di ponte, ma una sua debolezza strutturale gli impedisce di esercitarla fino in fondo.
Il NO dei ticinesi in queste come in altre simili votazioni è un segnale di paura (inviato soprattutto a Berna) di perdere le posizioni acquisite e di non poter resistere, da soli, ai «pericoli» rappresentati dalla concorrenza lombarda, dal possibile afflusso massiccio di immigrati, attratti dalle migliori condizioni salariali offerte dal Ticino, dalla difficoltà di quest’ultimo di creare col potente vicino rapporti di effettiva reciprocità, ad esempio nei bandi di concorso pubblici.
Messaggio a Berna
Prima di questa votazione, Moreno Bernasconi, editorialista del Corriere del Ticino, forniva (CdT 23.21.2009) una chiave interpretativa pienamente condivisibile dell’atteggiamento conservatore dei ticinesi in questa materia, ossia il cedimento pressoché costante di una parte del Ticino politico alla tentazione di «incoraggiare il no a tutto quanto riguarda i nostri rapporti con l’Europa per far capire a Berna che deve aprire il portafoglio e compensare il Ticino delle sue difficoltà strutturali di Cantone di frontiera». L’interpretazione di Bernasconi mi sembra pienamente condivisibile.
Non c’è sicuramente odio verso l’Italia o l’Europa, c’è anzi attrazione, ma probabilmente manca ancora nella maggioranza dei ticinesi la consapevolezza che ormai, volenti o nolenti, alla globalizzazione non c’è alternativa. Soprattutto non c’è alternativa all’integrazione europea. E’ giusto continuare a sentirsi ticinesi, perché le regioni non scompaiono e il senso di appartenenza alla propria regione d’origine resterà fortissimo, ma sempre più l’ambiente vitale, economico e culturale, in cui ci muoveremo tutti è quello delle grandi regioni e dell’Europa.
Il villaggio diventa sempre più grande. Le nostre radici e le radici dei nostri figli saranno sempre meno regionali, cantonali, nazionali e sempre più europee.
Per facilitare questa apertura e questo sentimento di appartenenza all’Europa sarà inevitabile che tutti, entità statali e regionali, associazioni e individui, contribuiamo all’abbattimento di ogni tipo di steccato, economico, finanziario, fiscale, culturale, valoriale, politico, religioso ecc.
La libera circolazione delle persone accolta favorevolmente dalla maggioranza del popolo svizzero non è ancora il punto di arrivo, ma è sicuramente un ottimo indicatore della buona strada intrapresa. Non resta che percorrerla con lena e senza rimpianti.
Giovanni Longu
(L’ECO 11.02.2009

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