26 febbraio 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 6. «Bambini clandestini», perché?


Uno dei primi «scandali» venuti alla luce all’indomani della bocciatura dell’iniziativa Schwarzenbach fu quello dei cosiddetti «bambini clandestini» tenuti segregati da immigrati in prevalenza italiani. Le norme svizzere sull’immigrazione e gli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Italia allora vigenti regolavano in maniera precisa (si pensi ai vari tipi di permesso per stranieri) l’ingresso e il soggiorno degli stranieri, come pure la questione dei ricongiungimenti familiari. Questi erano previsti solo per alcune categorie di persone e a determinate condizioni. Contravvenire a quelle disposizioni metteva gli interessati in condizione d’illegalità e comportava il rischio di espulsione dalla Svizzera. Poiché il tema torna periodicamente d’attualità ed è trattato unilateralmente e confusamente, è forse utile cercare di chiarire la questione e sgombrare il campo da informazioni false o avventate. 

Premesse fondamentali
Prima di affrontare il tema dei «bambini clandestini» nella sua complessità è opportuno affermare con molta chiarezza che essi vanno considerati vittime innocenti di un sistema emigratorio e immigratorio legittimo ma per certi versi «disumano», perché orientato prevalentemente a soddisfare i bisogni dell’economia e meno i bisogni delle persone. Ciononostante, nessuno, a cominciare dai genitori, aveva il diritto di far soffrire e di costringere a vivere in un regime di segregazione bambini innocenti, incapaci di scegliere dove andare e con chi stare, ma non privi di esigenze esistenziali.
Poiché quel sistema dipendeva da molti fattori e molte esigenze di più protagonisti, non si può continuare a ricercare le eventuali responsabilità della situazione di quelle vittime in un’unica direzione, per esempio nella politica immigratoria svizzera. Ritenendo quali principali attori di quel sistema l’Italia, la Svizzera e gli emigranti, si deve vedere in quale misura l’uno o l’altro o tutti e tre possono o devono essere considerati responsabili diretti o indiretti della condizione dei bambini «clandestini». Certamente tutti sapevano!
Un terza premessa va pure tenuta presente prima di stabilire le eventuali responsabilità di ciascun protagonista ed è che, se la libertà di emigrazione è uno dei diritti umani fondamentali, non lo è quello di immigrare dove si vuole. «Emigrare dal proprio Stato non significa libertà di immigrare in un qualunque altro Stato» e pertanto «la libertà di emigrazione in tanto si può concretamente esercitare in quanto vi siano altri Stati che consentano l’immigrazione» (Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale italiana).

Corresponsabilità di Italia, Svizzera e migranti
Considerare illegittima la politica emigratoria italiana sarebbe una follia perché nel dopoguerra essa era stata pienamente legittimava dai parlamenti e dai governi italiani dell’epoca. Solo politicamente si potrebbero contestare le scelte fatte (che determinarono fra l’altro gli accordi d’emigrazione/immigrazione tra l’Italia e la Svizzera del 1948 e del 1964), il sistema d’informazione e accompagnamento dei migranti prima e dopo l’espatrio, come pure il livello di tutela del lavoro italiano all’estero, come impone la Costituzione (art. 35). Ogni contestazione andrebbe tuttavia motivata alla luce della percezione dei problemi e delle sensibilità politiche di allora, indicando anche eventuali alternative praticabili.
Analoghe considerazioni vanno fatte sulla legittimità delle scelte di politica immigratoria fatte dalla Svizzera, perché legittimate non solo dai parlamenti e dai governi dell’epoca, ma anche dalla Costituzione federale. Vanno dunque considerati legittimi la legge sugli stranieri del 1931, gli accordi italo-svizzeri del 1948 e 1964 e le successive norme applicative. Erano pertanto giuridicamente incontestabili lo statuto dello stagionale come pure l’impedimento del ricongiungimento familiare per gli stagionali, il controllo dell’idoneità dell’abitazione in presenza di bambini minorenni, ecc., con buona pace di Concetto Vecchio che parla di «iniquo diritto» e di Toni Ricciardi, che crede di poter contrapporre al diritto svizzero il diritto internazionale. Evidentemente questo non significa che non si possano criticare singoli aspetti delle norme sugli stranieri, specialmente quelle esecutive.
A questo punto appare difficile non coinvolgere anche i genitori dei «bambini clandestini» nella responsabilità per la loro segregazione per mesi e forse per anni. Benché anche nei loro confronti sia doveroso cercare tutte le attenuanti possibili, soprattutto alla luce delle due premesse precedenti appare difficile non attribuire loro la maggiore responsabilità della condizione irregolare dei loro figli. Per quanto si possano criticare le leggi e gli accordi internazionali della Svizzera, una loro violazione deve ricadere principalmente in chi li viola e non nel legislatore.

Il «ricongiungimento familiare» non riguardava gli stagionali
Come accennato all’inizio, molte informazioni su questo tema, complesso e delicato allo stesso tempo, sono confuse e non veritiere, per cui è senz’altro utile fornire alcuni elementi di concretezza e di verità, cominciando dal richiamo dell’Accordo del 1964 tra la Svizzera e l’Italia relativo all’emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera.
Tale Accordo riduceva a 18 mesi (invece di 3 anni) il periodo di attesa perché la moglie e i figli minori di un lavoratore italiano potessero riunirsi e «risiedere assieme a lui in Svizzera». Perché questa possibilità diventasse realtà, occorreva tuttavia un’autorizzazione delle autorità svizzere, che concedevano solo se risultavano soddisfatte due condizioni: 1) che il soggiorno e l’impiego di quel lavoratore fossero «sufficientemente stabili e durevoli» e 2) che lo stesso lavoratore disponesse «per la sua famiglia di un alloggio adeguato» (art. 13, capoverso 1).
(Dal film di Alvaro Bizzarri «Lo stagionale» (1971), in cui anche gli
stagionali rivendicano il diritto a vivere in Svizzera con la famiglia.
E’ importante notare che questa possibilità di vivere in Svizzera con la famiglia non riguardava gli «stagionali» perché non potevano soddisfare le due condizioni di cui sopra. In quanto «stagionali» non potevano stare tutto l’anno in Svizzera e durante il loro soggiorno qui molti vivevano in baracche, una parte condivideva con altri inquilini una stanza, una mansarda o un piccolo appartamento, pochissimi disponevano di un’abitazione indipendente. Come avrebbero potuto alloggiare un’intera famiglia di 3-4 persone? E quanti stagionali avrebbero potuto pagare l’affitto di un’abitazione «adeguata», vista la penuria degli alloggi sul mercato e la lievitazione dei costi agli inizi degli anni Settanta? E quanti erano disposti a correre il rischio di venir scoperti ed espulsi dalla Svizzera?
Si deve anche osservare che questa preclusione era nota a tutti gli stagionali, ma per la maggior parte di essi il problema non si poneva nemmeno perché solo un’esigua minoranza era sposata con figli. Ciononostante si continua a parlare e a scrivere dei «figli nascosti degli stagionali italiani», dei «figli degli stagionali: bambini clandestini», dei «bambini nascosti… i figli di lavoratori stagionali…» ecc. A meno che s’intenda riferirsi a «falsi stagionali» o a veri stagionali che stavano per raggiungere il numero di stagioni necessarie per poter ottenere il permesso annuale e per loro non ci sarebbe stato più bisogno di un periodo di attesa. Anche in questi casi, tuttavia, si tratterebbe di un numero esiguo di bambini. 

L’illusione dell’accordo del 1964
La possibilità di riunire la famiglia era invece reale per i residenti «annuali», ma, come detto, solo se dimostravano di soddisfare le condizioni indicate prima. L’esitazione delle autorità a consentire il ricongiungimento familiare dopo un periodo di attesa era dovuta al fatto che nei primi anni di soggiorno molti «annuali» non erano in grado di garantire né la stabilità del soggiorno (gran parte dei rientri in Italia avveniva nei primi anni) né la stabilità dell’occupazione. Inoltre si voleva dare il tempo di trovare una sistemazione adeguata proprio in vista di un eventuale ricongiungimento familiare.
Non si può escludere, tuttavia, che l’agevolazione rappresentata dall’Accordo del 1964 in questa materia abbia creato in alcuni immigrati (annuali, «falsi stagionali» o stagionali che presto avrebbero ottenuto il permesso annuale) l’illusione di poter far venire in Svizzera moglie e figli anche prima che finisse il periodo di attesa, senza soddisfare le condizioni previste e senza la necessaria autorizzazione. Il tentativo dev’essere riuscito a un certo numero di immigrati, perché sul finire degli anni Sessanta si sapeva che in Svizzera c’erano figli di stranieri (italiani) «clandestini», ossia senza permesso di soggiorno. Oggi si sa che molti di essi vennero scoperti e fatti rimpatriare con la madre o con entrambi i genitori, mentre alcuni continuarono a vivere «nascosti», più o meno indisturbati dalla polizia, per mesi e forse anni.

Le problematiche sui «bambini clandestini»
Attorno a questa situazione, fin dal 1970 si è aperta un’ampia discussione, per altro non ancora finita. Essa riguarda in particolare il tentativo di quantificare il fenomeno (quanti bambini hanno subito questa condizione di segregazione, per esempio negli anni Settanta?), gli effetti psicologici prodotti su questi bambini di fatto privati di alcuni diritti fondamentali, le responsabilità dirette e indirette della situazione.
E’ tutt’altro che facile dare risposte esaustive sulle varie problematiche, ma proporne alcune può rappresentare un contributo alla chiarezza e alla verità fattuale. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 26.02.2020