22 gennaio 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 1. Memoria e identità


Riprende con questo articolo la narrazione sintetica dell’immigrazione italiana in Svizzera. Dopo aver trattato lo scorso anno i primi decenni dal secondo dopoguerra al 1970, che hanno avuto quali protagonisti principali la prima generazione di immigrati e la polizia degli stranieri incaricata del loro controllo, in questa serie sarà analizzata la situazione degli italiani nel periodo 1970-1990. I protagonisti sono in buona parte diversi perché al centro dell’attenzione delle autorità svizzere risultano soprattutto la seconda generazione di stranieri e la politica, che cerca soluzioni utili ed efficaci ai molteplici problemi degli stranieri. Dal 1970 l’immigrazione tende ad essere sempre meno un problema di ordine pubblico e sempre più un problema di politica d’integrazione sociale, professionale e culturale degli stranieri. Ripercorrendo a brevi tappe questo periodo si vorrebbe contribuire al rafforzamento dell’identità delle giovani generazioni con un’origine migratoria.

Importanza della memoria storica
Anche dopo il 1970 molti italiani emigrarono in Svizzera.

Il tema della memoria storica sembra di grande attualità. Si moltiplicano infatti gli studi scientifici, le ricerche, gli approfondimenti, i romanzi, alcuni di successo, ambientati in epoche di un passato ancora vicino, alla ricerca non so bene di quali risposte a quali domande. In ogni caso non mi sembra che ci sia tanta voglia d’imparare soprattutto dagli errori del passato. Nessuno in fondo crede più che la storia sia «maestra di vita» o «luce della verità» come sembrava credere il grande oratore romano Cicerone.
Questo dubbio concerne anche la ricerca storica sull’emigrazione italiana. Se ne parla e se ne scrive spesso con rabbia, talvolta interpretandola secondo categorie improprie di bene, male, solidarietà, odio, sfruttamento. Raramente si trovano saggi che registrano quel che è stato e gli stati d’animo dei protagonisti e non s’incontra quasi mai lo spirito del tempo che sempre aleggia sui grandi eventi umani. Più che un esercizio di senso critico e di ricerca della verità alcune ricerche recenti sembrano critiche e basta, una sorta di vendetta postuma contro personaggi, politici e imprenditori, che agivano in fondo spinti dalle circostanze e non necessariamente da sentimenti perfidi.
In questa nuova serie di articoli si cercherà di ricostruire un ventennio di storia, per molti ancora recente, cercando di cogliere negli avvenimenti, nella politica e nella trasformazione dell’immigrazione italiana in Svizzera lo spirito del tempo che ha prodotto quel movimento dando vita alle nuove generazioni di italiani in Svizzera, di italo-svizzeri e di svizzeri di oggi.
Ricordare è utile, ma non per tutti
Ripercorrendo quegli anni, senza animosità e pregiudizi (sine ira et studio, suggeriva lo storico romano Tacito), si vorrebbe dare un contributo non solo alla ricostruzione oggettiva e pacata di eventi fondamentali per l’immigrazione italiana in Svizzera, ma anche, almeno per molti, alla ricerca delle proprie radici e al rafforzamento della propria identità. Non si può infatti comprendere l’attualità senza conoscere la storia e sé stessi senza la consapevolezza delle proprie radici.
Diventa un dramma, nelle persone care, costatare la perdita della memoria in un famigliare, perché è come se, di riflesso, anche la propria identità ne soffrisse. Paradossalmente non sembra rappresentare un problema per molti giovani di seconda e terza generazione non avere nozioni certe sulle proprie origini migratorie. Anche per essi, tuttavia, ripercorrere a grandi linee il ventennio 1970-1990 può contribuire al rafforzamento della propria identità.
Non mi sembra, invece, che la storia dell’emigrazione italiana sia ritenuta utile in politica, tant’è che, nonostante la ripresa dei flussi emigratori con grandi numeri, non risulta in Italia una diffusa consapevolezza della «sciagura nazionale» che rappresenta l’emigrazione forzata (T. Bertelè, Quaderni di affari internazionali, 1946). Anzi, sembra crescere, nella politica e nella società, l’opinione deleteria che la sciagura nazionale sia l’immigrazione di quelle poche migliaia di naufraghi raccolti in mare mentre tentavano di arrivare in Italia.

1970, uno spartiacque simbolico
Il 1970 è ricordato, nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, specialmente per la votazione sull’iniziativa antistranieri promossa da J. Schwarzenbach. Infatti quella votazione avrebbe potuto cambiare radicalmente non solo la vita di moltissimi immigrati (italiani), ma anche la storia soprattutto economica e sociale della Svizzera. Personalmente preferisco considerare il 1970 una sorta di spartiacque simbolico, tra le due principali fasi dell’immigrazione italiana in Svizzera dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.
L’iniziativa Schwarzenbach, mirava a limitare l’immigrazione fissando le proporzioni massime di stranieri nei vari Cantoni. Non si giunse a tanto perché il popolo svizzero e la maggioranza dei Cantoni respinsero quella che avrebbe potuto essere una vera e propria «sciagura nazionale». La riduzione forzata degli stranieri avrebbe infatti comportato, quasi certamente, conseguenze nefaste per l’economia, per la società e per l’immagine della Svizzera nel mondo. Tuttavia, quella votazione, con gli annessi e connessi, determinò di fatto la rottura del tradizionale flusso di immigrati dall’Italia, che di lì a qualche anno avrebbe generato un saldo immigratorio negativo.
Ciò che nelle narrazioni di quel periodo quasi mai risulta messo in evidenza è che proprio in quegli anni venne avviato un radicale cambiamento nella politica immigratoria svizzera e nella collettività immigrata italiana iniziò un percorso virtuoso, anche se inizialmente molto difficile e ostacolato, che culminerà negli anni Novanta e soprattutto dopo il 2000 in un alto livello d’integrazione degli italiani. L’italianità diventerà una componente essenziale, rafforzata e diffusa della cultura e della società svizzera.

Sandro Pertini
Immigrazione e integrazione
Per alcuni anni ancora continuarono ad arrivare dall’Italia numerosi immigrati perché il settore secondario, dov’erano soprattutto attivi, tirava ancora molto bene e generava molti profitti. Ma sempre più, grazie al miglioramento dell’integrazione scolastica e professionale della seconda generazione, gli italiani cominciarono a diversificare le loro attività economiche, entrando massicciamente nel settore dei servizi. Contemporaneamente miglioravano anche la loro posizione professionale e il loro tenore di vita.
L’integrazione fu un processo lungo, ma inarrestabile. E’ stata una storia straordinaria che merita di essere meglio conosciuta non solo dal punto di vista dell’impegno delle autorità federali, ma anche dal punto di vista degli italiani che credettero nell’efficacia dell’integrazione e contribuirono al superamento del modello precedente dell’«assimilazione», reclamando e conquistando pari opportunità e parità di diritti.
Soprattutto negli anni Settanta e Ottanta la collettività italiana in Svizzera diede prova di una capacità organizzativa e operativa straordinaria, con centinaia di associazioni, circoli, comitati, scuole, giornali e un forte spirito rivendicativo.
Non si può dimenticare in questo contesto il sostegno ricevuto dalle autorità politiche italiane e dalle rappresentanze diplomatiche e consolari. Negli anni Settanta e Ottanta furono ben più numerose che in passato le visite in Svizzera di deputati, senatori, sottosegretari, ministri e persino di due capi di Stato, Pertini (1981)  e Cossiga (1985). I rapporti italo-svizzeri erano buoni e sempre più intensi, nonostante alcune difficoltà presentatesi negli anni Settanta 

Rapporti italo-svizzeri
Nello Celio
Fin dal 1970 le relazioni tra l'Italia e la Svizzera imboccarono decisamente la via del progressivo miglioramento, anche se non mancarono episodi critici come le intemperanze verbali del sottosegretario Foschi nel 1977 e un rapporto maldestro dell’ambasciatore italiano Zampaglione finito sui giornali nel 1980 nonostante fosse etichettato come «confidenziale».
A rafforzare i buoni rapporti tra la Svizzera e l’Italia provvidero anzitutto i ministri degli esteri dei due Stati Pierre Aubert e Arnaldo Forlani nel corso di una visita a Roma nel luglio del 1978. Per la Svizzera, tenne a sottolineare Pierre Aubert, «l’Italia non è solo un Paese confinante e un importante partner commerciale, ma anche un prezioso partner politico». Del resto, aggiunse, «la Svizzera non sarebbe quella che è senza il contributo degli italiani».
Non meno esplicito era stato nel 1972 il presidente della Confederazione Nello Celio, in occasione dell’inaugurazione di un moderno laboratorio linguistico destinato all’apprendimento delle lingue da parte di lavoratori immigrati nei locali del CISAP (Centro italo-svizzero di formazione professionale). Tirando una specie di bilancio della presenza degli italiani in Svizzera aveva affermato che «se è vero che noi diamo lavoro [agli stranieri], se è vero che noi diamo loro possibilità di guadagno, è altrettanto vero che questa gente contribuisce a rafforzare la nostra economia e ci consente di produrre, e dà di più di quanto noi diamo, cosicché, per saldo, come si dice in contabilità, sono ancora questi operai, questi lavoratori stranieri che sono in credito nei confronti del Paese».
Già questi cenni, credo, lasciano intravedere quanto siano stati importanti i decenni presi in considerazione in questa serie di articoli e quanto possa essere utile conoscerli più da vicino soprattutto dalle nuove generazioni di origine migratoria. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 22.01.2020