09 novembre 2019

Due volte a Berlino Alexanderplatz


Trent’anni fa veniva abbattuto il famigerato Muro di Berlino, simbolo non solo della divisione della Germania che aveva perso la seconda guerra mondiale (Germania federale e Germania democratica orientale), ma anche dell’Europa (Occidentale e Orientale) tra la zona d’influenza dei vincitori occidentali (USA, Gran Bretagna e Francia) e la zona d’influenza dell’Unione Sovietica e più in generale della divisione tra Occidente e Oriente, Capitalismo e Comunismo. Berlino, dopo la costruzione del Muro (iniziata nel 1961), era divenuta il simbolo di queste divisioni.

La prima volta
Il muro davanti alla Porta di Brandeburgo (1961)
Mosso più da semplice curiosità che da interessi turistici o culturali, visitai per la prima volta le due Berlino con alcuni amici nella primavera del 1971. Eravamo partiti da Monaco di Baviera e per arrivarci dovevamo attraversare una parte della Germania orientale. Superato il confine tra le due Germanie al Checkpoint Alpha, a Helmstedt, percorremmo la lunga autostrada che portava a Berlino, quasi senza traffico.
A Berlino Ovest, preso alloggio in albergo, girammo in lungo e largo la città, in gran parte ricostruita, anche se si vedevano qua e là, soprattutto in alcuni quartieri, i segni della distruzione subita. Mi colpirono i grandi spazi, i lunghi viali, i parchi e i monumenti, ma anche una certa tristezza che mi sembrava di percepire parlando con la gente, dovuta probabilmente alla condizione della città divisa e occupata.
Il giorno in cui avevamo deciso di passare il Muro per visitare Berlino Est ci munimmo di un bel po’ di marchi orientali acquistati a un cambio vantaggiosissimo, lasciandoci un po’ di marchi occidentali per il cambio ufficiale obbligatorio alla frontiera uno a uno. Sapevamo che era vietato introdurre marchi orientali e che al passaggio della frontiera si rischiava di essere perquisiti. Rischiammo, nascondendo il denaro dentro le calze, sperando di farla franca e imponendoci di non dare alcun segno di paura.
Giunti al Checkpoint Charlie, il punto di passaggio tra Berlino Ovest e Berlino Est degli stranieri, il pullman venne ispezionato da cima a fondo, dentro e fuori, sopra e sotto, mentre nessuno dei passeggeri fu perquisito. Tirammo un sospiro di sollievo e proseguimmo. Conservo ancora nitido il ricordo di quel passaggio facendo la gincana tra blocchi di cemento.
Visitammo per ore la città senza alcun controllo (ci era stato detto che saremmo stati comunque spiati nei nostri movimenti). A un certo momento capitammo vicino alla Neue Wache e aspettammo insieme a una piccola folla la cerimonia del cambio della guardia. 

Alexanderplatz
Ci fermammo soprattutto all’Alexanderplatz, dove si concentrava il meglio dell’immagine che si voleva dare ai visitatori occidentali. Notammo che numerosi negozi erano destinati solo ai turisti e i prezzi erano praticamente gli stessi che dall’altra parte della città. Avevamo molti soldi da spendere ma non volevamo acquistare oggetti che si potevano acquistare anche altrove. Ci concedemmo pertanto un ottimo pranzo con dessert al ristorante collocato sulla grandiosa Torre della televisione (alta ben 368 m). Dalla terrazza panoramica con vista straordinaria su Berlino si vedeva anche il terribile Muro che divideva in due la città e si capiva che non era un semplice muro ma un complicato sistema per impedire la fuga degli orientali nella zona occidentale.
Durante il pranzo, conversando con altri ospiti, ricordo di aver domandato ad una signora vestita in maniera piuttosto elegante, se provava risentimento per essere privata della libertà di andare a piacimento dall’altra parte della città o invidia di coloro che l’avevano. La sua risposta mi sorprese a tal punto da ricordarla benissimo ancora: «non provo né risentimento né invidia, perché la realtà va accettata così com’è». Probabilmente a lei stava bene davvero.
Prima di lasciare Berlino Est cercammo di consumare i marchi orientali che ci erano rimasti, perché dall’altra parte non ci sarebbero serviti. Comprammo libri e dischi e altro, pur di disfarci di quei marchi.

La seconda volta
La seconda volta che tornai a Berlino in compagnia di famigliari fu nel 1994, cinque anni dopo la caduta del Muro. Percorremmo un tratto del famoso viale Unter den Linden, sostammo sotto la Porta di Brandeburgo, cercammo invano tracce del Muro. Erano scomparse e solo un berlinese ci poté indicare dove correva il Muro e dove erano conservati alcuni pezzi. Evidentemente non si voleva far scomparire del tutto il ricordo di quell’infamia.
La Porta di Brandeburgo dopo la caduta del muro.
Girando da una parte all’altra della città erano tuttavia ancora visibili i segni della divisione. I tedeschi occidentali avevano deciso di riconvertire non solo molte aree depresse della Germania orientale, ma anche interi quartieri di Berlino Est. Fui molto sorpreso, tuttavia, di osservare lo stato di abbandono in cui ritrovai Alexanderplatz. Nel 1971 era il fiore all’occhiello della Germania orientale, ora mi sembrava una piazza vuota e senza vita. Quel giorno non si poteva nemmeno salire sulla torre della televisione.
Chiesi a un conduttore di un autobus di linea cosa ne pensava dell’abbattimento del Muro e mi rispose che quello scempio andava rimosso, ma che non si pensasse che sarebbe bastato per riunificare le due parti della città e della Germania. «Ci saranno differenze ancora a lungo perché noi tedeschi siamo diversi, noi occidentali siamo diversi dagli orientali. E’ una questione di mentalità e di cultura, non di muri. I muri come si costruiscono si possono buttare giù, ma cambiare le mentalità è molto più difficile e ci vogliono generazioni».
Anche in seguito sono stato più volte in Germania e quel chauffeur aveva ragione. Tra Francoforte e Dresda, per fare un esempio, si respira un’aria diversa. Quando si reclama dall’Unione europea maggiore coesione, maggiore unità, bisognerebbe pensare che anche all’interno dei singoli Paesi dell’Unione ci sono differenze e disuguaglianze e bisognerebbe cominciare con appianare queste. Il resto diventerebbe più facile.
Berna, 9 novembre 2019