02 ottobre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 28. Schwarzenbach e gli italiani (5a parte)


La bocciatura dell’iniziativa Schwarzenbach (7.6.1970), mentre ha evidenziato l’ambiguità della politica federale verso gli stranieri e l’ipocrisia di molti svizzeri di votare contro le misure eccessive dell’iniziativa senza schierarsi apertamente a favore delle rivendicazioni degli immigrati, ha imposto di fatto a tutte le parti coinvolte (politica, economia, sindacati, immigrati), con l’eccezione dei sostenitori dell’iniziativa, una riflessione approfondita della situazione, finalizzata a rendere meno conflittuali e più stabili, più umani e più sostenibili le relazioni tra svizzeri e stranieri. Da questo profondo ripensamento emergerà che l’unica strada percorribile per raggiungere risultati soddisfacenti per tutti era quella dell’integrazione.

La reazione dell’AN
James Schwarzenbach, il perdente (1911-1994)
Solo l’Azione Nazionale (AN) e Schwarzenbach continuarono a ritenere la riduzione della popolazione straniera per legge la via più sicura per evitare l’inforestierimento e salvaguardare la purezza della cultura svizzera. Perciò, già all’indomani della bocciatura della precedente iniziativa pensarono di lanciarne un’altra, nella speranza di aggiungere al bottino precedente i voti mancati al successo finale. Tuttavia, a seguito di divergenze profonde sorte all’interno del partito, Schwarzenbach decise di lasciarlo e fondare un nuovo partito, il Movimento repubblicano.
L’AN lanciò ugualmente nel 1971 l’iniziativa popolare «Inforestierimento e la sovrappopolazione della Svizzera», con richieste un po’ più blande di quelle dell’iniziativa Schwarzenbach, ma non meno xenofoba: riduzione della popolazione straniera a 500.000 unità entro il 1° gennaio 1978, con una proporzione massima di stranieri per Cantone, escluso Ginevra, del 12%, 40.000 naturalizzazioni l’anno al massimo, ecc. Anche stavolta erano esclusi dalle misure previste 150.000 stagionali, 70.000 frontalieri, il personale ospedaliero e i membri delle rappresentanze diplomatiche e consolari, ma in quattro anni avrebbero dovuto lasciare il Paese non meno di 300.000 persone tra residenti e domiciliati, in maggioranza italiani. «Un’iniziativa suicida» la definì Schwarzenbach durante un dibattito parlamentare.
L’iniziativa AN fu sottoposta al voto popolare il 20.10.1974. Anche in questo caso la partecipazione fu alta (70,3%), ma l’esito molto più chiaro della votazione precedente. Infatti fu respinta da tutti i Cantoni e dal 65,8% dei votanti (donne comprese, perché nel 1971 avevano ottenuto il diritto di voto a livello federale).

La seconda iniziativa Schwarzenbach
Nel frattempo, anche Schwarzenbach e il suo Movimento repubblicano nel 1972 avevano lanciato un’altra iniziativa popolare, apparentemente ancor più blanda di quella dell’AN e meno xenofoba, ma proprio per questo «molto pericolosa». Era infatti denominata: «Per la protezione della Svizzera». In realtà anche questa iniziativa mirava a contenere la popolazione straniera entro il 12,5% nell’arco di dieci anni e, in caso di approvazione, nello stesso periodo circa 300.000 stranieri sarebbero stati «espulsi» dalla Svizzera.
Infatti la Confederazione avrebbe dovuto limitare «la validità di tutti i nuovi permessi di dimora e di tutte le proroghe di detti permessi» («in modo che il cittadino straniero non possa far valere alcun diritto ad ottenere il domicilio») qualora «il numero degli stranieri a beneficio di un permesso di domicilio o di dimora superasse il 12,5 per cento del numero dei cittadini svizzeri secondo l'ultimo censimento della popolazione». Per di più questa iniziativa prevedeva anche la protezione assoluta del lavoratore svizzero e il divieto di un suo licenziamento «fintanto che nella stessa azienda e nella stessa categoria professionale siano occupati degli stranieri».
In votazione popolare (13 marzo 1977), l’iniziativa fu nettamente respinta in tutti i Cantoni e dal 70,5% dei votanti (1.182.820 NO / 495.904 SÌ). Si era recato a votare solo il 45,2% degli elettori, segno evidente che il presunto pericolo dell’inforestierimento non aveva più presa sull’elettorato.

Schwarzenbach e gli italiani
Di fronte a queste ripetute sconfitte si potrebbe pensare che Schwarzenbach si sarebbe finalmente arreso, ma non era il tipo. Ne fui convinto poco dopo il lancio della sua seconda iniziativa col «Movimento repubblicano» nel corso di una breve conversazione.
L’occasione si presentò dopo una riunione della Commissione federale degli stranieri alla quale avevamo partecipato entrambi. Gli domandai esplicitamente perché ce l’avesse tanto contro gli stranieri e specialmente contro gli italiani, che sarebbero stati i più danneggiati in caso di approvazione dell’iniziativa. Mi rispose che egli non ce l’aveva affatto né contro gli stranieri né contro gli italiani, ma contro uno sviluppo disordinato ed eccessivo dell’economia svizzera che li sfruttava. Eppure, replicai, la sua iniziativa avrebbe fatto tanto male a molti immigrati, soprattutto italiani. Se ne rendeva conto?
Mi ripeté ch'egli non ce l’aveva «con i lavoratori stranieri, che poveretti vengono qui solo per lavorare e guadagnare, ma con i datori di lavoro senza scrupoli che fanno venire da noi lavoratori stranieri a buon mercato, senza alcuna informazione sulla Svizzera, senza alcuna preparazione, senza nemmeno sapere esattamente cosa avrebbero poi fatto nelle nostre fabbriche, con la sola prospettiva o l’illusione di restare qui alcuni anni, isolati nei loro ghetti, guadagnare un po’ di soldi e tornarsene al proprio Paese».
Lo incalzai dicendogli che trovavo anch’io ingiustificabile il metodo di molti datori di lavoro che pur di avere manodopera a buon mercato facevano venire in Svizzera persone senza alcuna preparazione, ma trovavo anche ingiustificabile mettere tanta paura addosso a centinaia di migliaia di stranieri e cercare addirittura di rimandarli al paese da cui erano partiti con grandi speranze.
Schwarzenbach continuava ad essere reticente. Mi resi però conto che non era affatto preoccupato dei poveri lavoratori immigrati, perché cercò di farmi capire che tutti quegli stranieri si trovavano qui solo per lavorare, guadagnare e ritornarsene al proprio paese, tant’è che non mostravano alcun interesse a conoscere meglio questo Paese, ad imparare la lingua e ad assimilarsi «al nostro modo di vivere». «Non sono assimilabili», mi disse, e, «così facendo noi alimentiamo nel nostro Paese le sottoculture, che finiranno per rovinare inevitabilmente la nostra cultura nazionale». «Un gran numero di persone non è mai assimilabile, un gruppo limitato sì». Mi sembrava irremovibile.
Non doveva avere una buona opinione degli italiani, anche se diceva di stimarli. Riteneva infatti che fossero orgogliosi e potenzialmente pericolosi perché grazie al loro numero erano in grado di paralizzare intere fabbriche con lo sciopero. Li considerava politicamente diretti dal Partito comunista italiano direttamente o tramite associazioni come le Colonie Libere Italiane (delle quali aveva ben poca stima) e per lui, convinto anticomunista, questa dipendenza li rendeva ancor più pericolosi. 

Giudizio difficile
Su Schwarzenbach è stato scritto molto, forse con una certa approssimazione, soprattutto per giustificare o quantomeno spiegare perché da parte degli italiani fosse considerato un razzista, anti italiano, senza pietà nei loro confronti. E’ difficile dare un giudizio obiettivo su questo personaggio molto controverso, perché era convinto di agire per il bene del suo Paese, ma non si sentiva obbligato a rispettare i sentimenti e i diritti degli stranieri. Verso costoro non provava né rispetto né sensi di colpa, gli erano semplicemente indifferenti.

Nel 1976, durante la discussione sulla seconda iniziativa Schwarzenbach al Consiglio nazionale, il deputato Carlo Speziali (1921-1998), esordì con queste parole:
«Parlo a nome della commissione in italiano non solo per una ragione di principio che tocca le fondamenta etiche e linguistiche, e quindi politiche, dei Paese ma anche perché con queste iniziative anti-inforestierimento si toccano soprattutto le genti italiane che lavorano nel nostro Paese. Alla fine del 1975, più della metà degli stranieri che operavano in tutti i settori dell'economia svizzera erano italiani ed è difficile non intravvedere tra le parole apparentemente bonarie del collega Schwarzenbach una antipatia - non vorrei dire di più - nei confronti di questi laboriosissimi italiani che tanto hanno fatto per il nostro Paese, per l'intera Svizzera prima ancora che per il Ticino, durante tutto il secolo scorso e in quelle attuale; v'è da chiedersi cosa farebbe l'economia dei Paese - ed è il solo accenno che faccio all'economia - se non avessimo qui questo milione di stranieri e in particolare questo mezzo milione di italiani disposti a fare tutti i lavori che agli svizzeri diventano sempre più désuets ...».
 
Quando gli dissi che gli stranieri non sono numeri da trattare col più o col meno, o forza lavoro da far venire quando serve e rimandare a casa quando non serve più, ma lavoratori, uomini e donne che hanno sentimenti, speranze e una dignità che va sempre rispettata, Schwarzenbach mi rispose con un tono pacato ma fermo che quello che pensavo degli stranieri lui lo pensava degli svizzeri e poiché non c’era posto per entrambi egli aveva l’obbligo di «battersi per la protezione della Svizzera». Rinunciai a ulteriori domande.
Fiero di essere svizzero, Schwarzenbach era convinto di avere una missione da compiere per il bene del suo Paese e nessuno l’avrebbe fermato. La «democrazia diretta» che gli offriva i mezzi per la sua lotta non gli diede però mai la vittoria e, rassegnato, nel 1979 si ritirò dalla politica. Resterà negli annali come un perdente, perché non si rendeva conto che non si può parlare di manodopera, braccia, forza lavoro, dimenticando che si tratta sempre di persone, come fin dal 1965 aveva cercato di far capire Max Frisch. Non aveva capito che l’unica strada percorribile per risolvere il problema dell’inforestierimento era quella dell’integrazione. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 2 ottobre 2019