03 aprile 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 9. L’accordo d’immigrazione del 1948


L’Accordo d’immigrazione del 22 giugno 1948 ha segnato una svolta nella storia dei rapporti italo-svizzeri in materia d’immigrazione. Occorre tenerlo presente per capire i problemi più delicati degli immigrati italiani in Svizzera nel dopoguerra, dalla cosiddetta «emigrazione clandestina» alle limitazioni per i ricongiungimenti familiari, dalle difficoltà d’integrazione della seconda generazione all’attenzione esasperata della polizia svizzera nei confronti dei presunti attivisti «comunisti», ecc. Non va inoltre dimenticato che la politica emigratoria italiana dei primi decenni del dopoguerra rifletteva la situazione politica interna del Paese e in particolare la contrapposizione tra i due partiti maggiori, la Democrazia cristiana (DC) e il Partito comunista italiano (PCI). 
Accordo voluto dall’Italia, ma…
Anzitutto è bene ricordare che quell’accordo è stato chiesto dall’Italia, quando era ministro plenipotenziario della Legazione italiana a Berna, Egidio Reale, sul finire del 1947. Il Consiglio federale inizialmente non lo riteneva necessario e forse nemmeno utile. Da decenni infatti l’immigrazione dall’Italia avveniva senza particolari difficoltà, in base al Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l'Italia del 22 luglio 1868, che prevedeva la libertà di stabilimento dei cittadini di entrambi i Paesi nell’altro Paese contraente, con gli stessi diritti e doveri dei nazionali, salvo le limitazioni derivanti da esigenze di ordine pubblico o di sicurezza e a condizione che «si uniformino alle leggi del Paese».
I principali protagonisti italiani dell'accordo italo-svizzero del 1948
E. Reale, capo Legazione a Berna
A. De Gasperi, capo del governo
C. Sforza, min. degli esteri
Non c’è dubbio che l’Italia abbia chiesto il negoziato con la Svizzera con le migliori intenzioni, ossia per tutelare meglio i cittadini emigrati in Svizzera e per controllarne i flussi, ma da parte del governo italiano era anche evidente che si volesse per così dire «esorcizzare lo spettro dell’ascensione al potere del partito comunista» (Etienne Piguet). La DC, che aveva appena vinto le elezioni politiche del 18 aprile 1948, con cui si era assicurate la maggioranza relativa dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi, voleva dimostrare di saper portare a casa ottimi risultati anche da un negoziato non facile, facendone beneficiare non solo i cittadini emigrati in Svizzera, ma l’intero Paese alleggerito del peso della disoccupazione e dei rischi di tensioni sociali.
La DC sapeva del resto che tutti i partiti politici, compreso il PCI, «erano d’accordo nel sostenere la necessita di trovare alla nostra sovrappopolazione quegli sbocchi che avrebbero permesso, come hanno permesso in epoca anteriore, di poter ristabilire un certo equilibrio» (Giuseppe Lupis). Il negoziato con la Svizzera fu avviato anche grazie a questo sostegno.
Naturalmente il preambolo dell’Accordo, firmato il 22 giugno 1948 a Roma, non lascia trasparire le vere intenzioni del governo italiano, ma si limita a enunciarne gli scopi immediati del negoziato, ossia «mantenere e sviluppare il movimento emigratorio tradizionale dall’Italia in Svizzera, e regolare di comune accordo e nell’interesse dei due paesi le modalità di reclutamento dei lavoratori italiani e la procedura relativa all’entrata di tali lavoratori in Svizzera e il regime applicabile alle loro condizioni di soggiorno e di lavoro».

…benaccetto dalla Svizzera
La Svizzera finì per acconsentire al negoziato perché era anche nel suo interesse «mantenere e sviluppare il movimento emigratorio tradizionale dall’Italia» e ottenere garanzie che anche in futuro l’economia svizzera potesse rifornirsi di manodopera italiana. D’altra parte, conoscendo bene la situazione italiana e la necessità del governo di agevolare l’emigrazione, i negoziatori svizzeri sapevano che la controparte non avrebbe insistito con richieste impossibili da soddisfare.
Del resto, non avrebbero potuto intaccare i punti cardine della politica immigratoria svizzera, ossia l’adempimento degli obblighi derivanti dalla legge sugli stranieri del 1931 e lo sfruttamento al massimo del sistema di rotazione della manodopera che consentiva di avere la quantità e qualità dei lavoratori necessari all’economia e allo stesso tempo limitava la stabilizzazione degli stranieri e di conseguenza il pericolo dell’inforestierimento.
Per tutto il resto essi erano disponibili a concedere tutto quel che era concedibile anche allo scopo di aiutare il governo italiano «per non correre il rischio che il comunismo prenda piede sulla nostra lunga frontiera meridionale» (Max Petitpierre, capo del Dipartimento politico federale). Un aumento della disoccupazione avrebbe infatti fornito argomenti all’opposizione di sinistra per denunciare l’incapacità del governo a gestire il fenomeno.

Il negoziato
In queste condizioni, il negoziato non dovette affrontare grandi difficoltà e i risultati furono ritenuti soddisfacenti da entrambe le parti. In effetti, non potendo nemmeno sfiorare le vere problematiche migratorie, quali lo statuto stagionale, i ricongiungimenti familiari, la stabilizzazione degli immigrati da diversi anni, la parificazione dei diritti sociali, ecc. la trattativa finì per occuparsi soprattutto di procedure di reclutamento, di agevolazioni di viaggio, di condizioni assicurative e poco più.
Per avere il totale controllo degli espatri e impedire la cosiddetta «emigrazione clandestina», il governo italiano doveva rinegoziare le modalità del reclutamento per evitare abusi e sottrarre alle organizzazioni svizzere private il potere di scegliere direttamente in Italia la manodopera di cui avevano bisogno, in aperto contrasto con l’obbligo esistente per le imprese italiane di passare per gli uffici del lavoro statali.
 I principali protagonisti svizzeri dell'Accordo italo-svizzero del 1948
Max Petipierre, min. affari esteri
R. de Weck, Legaz. a Roma
A. Zehnder, div. affari politici

Contro il sistema di rotazione non ci furono obiezioni di fondo da parte dei negoziatori italiani, tanto più ch’esso era accettato anche da molti immigrati, intenzionati a restare in Svizzera al massimo per qualche stagione o anno.
Nella parte più delicata del negoziato riguardante il reclutamento non fu possibile far considerare la modalità delle «domande numeriche» come l’unica ammessa e ci si accontentò di un compromesso. Un altro compromesso riguardava gli enti che avevano facoltà di presentare domande, ossia «i datori di lavoro, le associazioni padronali e gli organi di utilità pubblica riconosciuti dalle Autorità Svizzere» (art. 3, cpv. 2), ma non gli «agenti privati» (art. 3 cpv.3).
Anche riguardo alla dichiarata preferenza svizzera di far effettuare il reclutamento in alcune regioni piuttosto che in altre (meridionali) si giunse a un compromesso impegnando l’Italia a ter conto «per quanto possibile dei desideri espressi dai richiedenti circa le regioni nelle quali i lavoratori richiesti dovrebbero essere di preferenza reclutati» (art. 6 cpv. 2).
Se da parte italiana si fosse insistito sulla eliminazione completa del reclutamento diretto sarebbe certamente aumentata la possibilità per gli emigranti italiani di incrementare ulteriormente l’emigrazione clandestina e per le imprese svizzere di cercare altri mercati. Entrambe le possibilità sarebbero state catastrofiche per la politica emigratoria italiana. I negoziatori italiani si dovettero pertanto accontentare di una limitazione del reclutamento diretto, dando un’ulteriore prova della debolezza contrattuale dell’Italia in quel momento.

I principali contenuti dell’Accordo
Anzitutto l’Accordo precisava che «il presente accordo si applica all'immigrazione in Svizzera di mano d'opera stagionale o ammessa a titolo temporaneo» (art. 1, cpv. 1). Poiché da documenti diplomatici risulta che la Svizzera considerava «temporanea» la manodopera italiana entrata in Svizzera dalla fine della guerra per soddisfare i bisogni «straordinari» dell’economia, si comprende bene che la stagionalità sarebbe stata considerata «normale» a lungo, fin quando sarebbero durati i timori di un possibile peggioramento della congiuntura. Di fatto con questo Accordo il regime dello stagionale per la manodopera italiana veniva generalizzato. Chi entrava in Svizzera per motivi di lavoro riceveva un contratto di lavoro e un permesso di soggiorno «stagionale».
Probabilmente i negoziatori non si rendevano conto delle limitazioni, delle privazioni, dei disagi dovuti allo statuto stagionale, dall’umiliante visita medica alla frontiera, alla vita nelle baracche, al divieto della mobilità professionale, alla privazione di una vita familiare normale, alla pericolosità e durezza delle condizioni di lavoro.
L’Italia riuscì ad ottenere qualche risultato in materia di reclutamento e di condizioni di lavoro e salariali («i lavoratori italiani dovranno beneficiare in Svizzera dello stesso trattamento dei nazionali per quanto concerne le condizioni di lavoro e di rimunerazione. Tali condizioni saranno conformi alle disposizioni dei contratti collettivi o dei contratti-tipo di lavoro attualmente in vigore o, in mancanza, agli usi locali e professionali», art. 18, cpv.1), ma in genere dovette accontentarsi di compromessi.  La debolezza dell’Italia nella trattativa dipendeva dal forte interesse che aveva a ridurre la pressione dei disoccupati e dalla speranza di poter riequilibrare la bilancia dei pagamenti con le rimesse degli emigrati.
La Svizzera ottenne di più perché riuscì a far accettare il raddoppio del tempo che doveva intercorrere prima di ottenere il permesso di domicilio: da 5 a 10 anni, riuscì ad ottenere la possibilità di domande nominative e soprattutto la garanzia di poter reclutare manodopera (a buon mercato) nel mercato italiano.
Almeno nel breve termine, tuttavia, l’Accordo si dimostrò utile per entrambe le parti. Basti pensare che dal 1946 al 1950, nonostante la flessione degli anni 1949-50 erano espatriate dall’Italia per recarsi in Svizzera oltre 300.000 persone, segno del grande potere di attrazione della Svizzera, ma anche della soddisfazione dei datori di lavoro svizzeri nell’impiego di lavoratori italiani.
Giovanni Longu
Berna, 3 aprile 2019