21 novembre 2018

150 anni di «amicizia» italo-svizzera: 4. Intervista al Ministro Ignazio Cassis


In occasione del 150° anniversario del Trattato di amicizia tra la Svizzera e l’Italia ho chiesto al Consigliere federale Ignazio Cassis, un «secondo» di origine italiana, di fare il punto della situazione sui rapporti italo-svizzeri e in particolare sulla situazione dell’italianità in Svizzera.

Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale
 degli affari esteri (© Beat Mumenthaler)
1.      La sua elezione, signor Consigliere federale, è stata considerata da alcuni osservatori come una necessità di politica interna (coesione nazionale) e internazionale (coltivare i tradizionali buoni rapporti con l’Italia). Condivide questa percezione?


Sì, la condivido. Non va infatti sottovalutato il fatto che con la mia elezione la Svizzera che “pensa, parla, scrive e sogna in italiano”, come ho detto nel discorso d’investitura del 20 settembre 2017, è tornata nel Governo federale dopo 18 anni. L’impatto sull’italianità è stato più grande di quanto potessi immaginare. Negli ultimi 12 mesi ho assistito al risveglio della lingua italiana nell’Amministrazione federale. Il semplice fatto che esista, tra i sette membri del Governo, una persona di lingua e cultura italiana, ha ridato legittimazione a questa lingua prima sommessa. A mio parere si può quindi affermare che, accanto a motivazioni di natura politica e personale, dietro alla mia elezione ci sia stata anche una necessità di coesione nazionale. L’auspicio è senz’altro che la presenza di un italofono in Governo contribuisca a creare un legame ancora più diretto con l’Italia, analogamente a quanto avviene con i ministri francofoni e germanofoni nei rapporti con i nostri altri vicini.
 
2.      Quest’anno ricorre il 150° anniversario della firma del Trattato di amicizia italo-svizzera, ufficialmente «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l'Italia» (22 luglio 1868). Secondo Lei, in questi 150 anni, l’amicizia italo-svizzera si è consolidata?

Le relazioni tra Svizzera e Italia sono sempre state profonde e variegate, com’è naturale che sia tra Paesi confinanti. Esse si sono via via intensificate in ogni ambito, come mostrano i fitti scambi commerciali o la stretta relazione a livello di politiche energetiche e di mobilità su rotaia e su strada. Sul piano più personale, il mio legame con la vicina Penisola è molto stretto, essendo nato in Svizzera da genitori italiani e avendo passato gran parte della mia vita a pochi chilometri dal confine italo-svizzero. Ho voluto dimostrare questa vicinanza poco dopo la mia elezione in Consiglio federale recandomi a Roma quale primo viaggio ufficiale all’estero. Inoltre, considero l’Italia – membro fondatore dell’Unione europea – un partner importante nelle nostre relazioni con Bruxelles.

3.      Su quali elementi principali si basa l’amicizia italo-svizzera e quali potrebbero essere ulteriormente sviluppati?

L’Italia è il terzo partner commerciale per la Svizzera, mentre le esportazioni italiane verso la Svizzera superano quelle verso Russia e Cina combinate. Il commercio tra le regioni transfrontaliere costituisce la metà del commercio totale tra Svizzera e Italia, ed equivale a quello che la Svizzera ha con il Giappone, o l’Italia con i Paesi Bassi. All’intensità di questi scambi si aggiunge la presenza di oltre 70.000 lavoratori frontalieri italiani in Svizzera. Oltre ad avere in comune con l’Italia la più grande frontiera terrestre, la Svizzera è l’unico paese al mondo fuori dalla Penisola dove l’italiano è lingua nazionale. Sul piano culturale l’identità svizzera non può prescindere dalla sua componente di italianità, evidente per quanto riguarda il Canton Ticino ed il Grigioni italiano, ma ben presente anche Oltralpe con oltre trecentomila italofoni e in diversi ambiti che spaziano dalla cucina alla moda, dal design al turismo. Penso che sia possibile approfondire ulteriormente il dialogo per risolvere alcune questioni aperte tra le regioni confinanti, quali la fiscalità dei frontalieri, i servizi finanziari transfrontalieri o ancora le infrastrutture di trasporto. Anche in ambito internazionale i nostri due Paesi possono intensificare le loro sinergie, da un lato nel perseguire obiettivi comuni a Bruxelles, dall’altro sfruttando pienamente le potenzialità che la Svizzera offre come ponte naturale per l’Italia verso il Nord Europa.

4.      In questi 150 anni l’immigrazione italiana in Svizzera ha dato e ottenuto molto con un arricchimento reciproco. Il vantaggio è reciproco ancora oggi?

Certamente sì. Del resto il calcolo è semplice: quasi un lavoratore su tre in Svizzera è straniero, la nostra economia cresce e la disoccupazione rimane a livelli molto bassi. Significa che l’immigrazione contribuisce al mantenimento della solidità economica della Svizzera. Rispetto ad alcuni decenni fa l’immigrazione dall’Italia è molto cambiata: oggi i
l 50% dei lavoratori giunti in virtù dell’accordo sulla libera circolazione delle persone è in possesso di un titolo di studio universitario. L’alta affluenza di lavoratori dalle regioni di frontiera desta anche preoccupazioni, per esempio per quanto riguarda il rischio di dumping salariale e il sovraccarico delle infrastrutture di trasporto. Globalmente tuttavia la situazione nazionale è di “win-win” per entrambe le parti.

5.      La collettività italiana immigrata in Svizzera è un bell’esempio d’integrazione; ma il processo integrativo è stato lungo e difficile. Che lezione se ne può trarre?

Sì è vero, l’immigrazione italiana del dopoguerra è spesso considerata un modello d’integrazione, ma è doveroso ricordare che era anche scandita da norme severe, oggi difficilmente accettabili. Lo statuto di stagionale, ad esempio, negava il ricongiungimento familiare. Così, molti figli di immigrati entravano in Svizzera da clandestini ed erano costretti a vivere nell'ombra. Inoltre gli anni ’60 e ’70 furono animati da movimenti xenofobi, che lanciarono iniziative popolari contro la “sovrappopolazione straniera”. Penso in particolare all’iniziativa “Schwarzenbach”, respinta dal popolo svizzero nel 1970 dopo un accesissimo dibattito politico.
Si disse che la politica reagì in ritardo alle preoccupazioni popolari relative all’immigrazione. La lezione che dobbiamo trarne è che, il processo d’integrazione è pagante e va garantito con giusti incentivi. Nel caso dell’Italia, ha contribuito a rafforzare una componente linguistica e culturale che già era parte costitutiva della Svizzera.

6.      Oggi però l’italiano fuori del Ticino incontra evidenti difficoltà. E’ possibile sviluppare sinergie per salvaguardarlo e rafforzare l’italianità della Svizzera? 


L'on. Ignazio Cassis (d) intervistato da G. Longu
La collaborazione avviene nel contesto della Commissione culturale consultiva italo-svizzera, posta sotto l’egida dei dicasteri degli affari esteri dei due Paesi. Nella delegazione svizzera è rappresentato l’Ufficio federale della cultura e i Cantoni Ticino e Grigioni. Un gruppo di lavoro ad hoc, che vede la partecipazione dell’Ambasciata d’Italia a Berna, è stato incaricato di verificare la fattibilità di una maggiore cooperazione tra i corsi coordinati dall’Ambasciata (livello primario) e l’offerta di italiano nelle scuole svizzere (livello superiore). Inoltre nel 2013 è nato il Forum per l’italiano in Svizzera, che raccoglie 37 organizzazioni per promuovere la lingua italiana. I risultati ottenuti sono incoraggianti. 

 7. Come vede il futuro delle relazioni italo-svizzere?

      Fino alla prima metà del XX secolo, le relazioni tra Stati seguivano principalmente canali bilaterali. Se per la Svizzera è essenzialmente tuttora così, l’Italia ha progressivamente aumentato il peso specifico affidato ai canali regionali e multilaterali. Dalla fine della seconda guerra mondiale si è infatti adoperata per l’integrazione europea e per il partenariato transatlantico come strumenti principali per le relazioni con l’Europa. L’Italia considera le relazioni bilaterali con la Svizzera nel contesto della sua politica europea, declinata nelle varie componenti settoriali. La Svizzera tiene conto di questa situazione attraverso dialoghi tematici bilaterali con l’Italia, come quelli sui trasporti, sull’economia, sull’agricoltura, sull’energia, o ancora sull’ambiente. Un particolare scambio bilaterale esiste anche sul tema della lingua e della cultura italiana, dove esistono importanti interessi comuni. Mi auguro che questi dialoghi possano ulteriormente intensificarsi.

20 novembre 2018

150 anni di «amicizia» italo-svizzera: 3. Effetti del Trattato del 1868


La pratica dell'emigrazione/immigrazione in entrambe le direzioni tra la Svizzera e l'Italia, col Trattato del 1868 fu non solo confermata, ma ottenne il riconoscimento giuridico anche per il futuro («… saranno ricevuti e trattati potranno liberamente entrare, viaggiare, soggiornare e stabilirsi… »). Nessuno allora avrebbe potuto anche solo immaginarne la portata, non tanto per gli emigrati svizzeri la cui presenza continuerà a restare molto limitata, quanto per gli emigrati italiani. 

Copertina del Corriere della Domenica del
9.8.1896, dedicata ai tumulti di Zurigo.
Flussi di immigrati dall'Italia importanti
Basti pensare che dall’inizio dei lavori della ferrovia del Gottardo (1872) il loro numero non fece che aumentare fino allo scoppio della prima guerra mondiale: 1870: 18.073; 1880: 41.530); 1900: 117.059; 1910: 202.809.
Tra il 1915 e il 1945 il loro numero scese al di sotto di 100 mila, per riprendere l’ascesa subito dopo la seconda guerra mondiale (1950: 140.366; 1960: 346.223; 1970: 583.855), fino a raggiungere oggi, compresi i cittadini italo-svizzeri, la cifra record di 635.000. Si tratta della terza collettività italiana più numerosa fuori dei confini nazionali dopo quella dell’Argentina e della Germania. Si dice anche che costituisca una delle collettività straniere meglio integrate nel tessuto sociale locale.

Un percorso pieno di ostacoli
Osservando le cifre e la crescita quantitativa e qualitativa degli italiani domiciliati in Svizzera potrebbe sorgere l’idea che il Trattato del 1868 abbia favorito il loro insediamento, la società e le istituzioni ne abbiano facilitato l’integrazione e gli italiani abbiano trovato nella Svizzera una seconda patria. L’impressione è vera però solo in parte, se si guarda il risultato finale, ma è molto irreale se si guarda l’intero percorso, che fu molto ostacolato e sofferto.
Alla riuscita delle nuove generazioni hanno contribuito, negli
anni ’70, i corsi di formazione professionale, concepiti per
facilitare l’integrazione professionale e sociale degli immi-
grati (nella foto: laboratorio elettronico al CISAP di Berna)
.
Paradossalmente si è verificato che quanto più gli italiani risultavano necessari in certi periodi e in certi settori economici (grandi lavori ferroviari, sviluppo industriale, espansione edilizia, infrastrutture, ecc.), tanto più aumentavano gli ostacoli e cresceva la xenofobia, ossia la paura e spesso l’ostilità verso gli italiani.
familiare.

Tempi passati e nuove generazioni
Tempi passati, verrebbe da dire, benché in molti immigrati degli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso i ricordi di tante umiliazioni siano ancora vivi. Ma sono passati e le seconde e soprattutto le terze generazioni, se non hanno trovato sempre la strada spianata all’integrazione e al successo, per lo meno hanno avuto molte più facilitazioni dei loro  genitori e nonni. Oggi, la riuscita e l’affermazione di molti italiani e svizzeri con origini migratorie è evidente a tutti, rafforzano l’italianità della Svizzera e realizzano pienamente l’intento del Trattato di amicizia tra l’Italia e la Svizzera di 150 anni fa che intendeva «mantenere e rassodare le relazioni d'amicizia» tra le due nazioni. (Segue)

Seguiranno prossimamente due interviste, una al consigliere federale Ignazio Cassis e l’altra all’ambasciatore d’Italia in Svizzera Marco Del Panta Ridolfi.
Berna, 20 novembre 2018