31 ottobre 2018

La prima guerra mondiale e l’emancipazione femminile


La prima guerra mondiale è stata un enorme massacro. Ha lasciato sul campo almeno 20 milioni di morti e ha comportato distruzioni per un valore incalcolabile e una crisi economica e sociale gravissima. Per molti popoli la prima guerra mondiale segnò tuttavia anche l’inizio di una rivoluzione silenziosa e benefica, destinata a cambiare il mondo: il movimento femminista, nato sul finire del Settecento, cresciuto idealmente nell’Ottocento, stava per conseguire i primi importanti risultati concreti in campo sociale e politico.

Banco di prova per i movimenti femministi
La prima guerra mondiale, com’è noto, fu un grande laboratorio tecnologico che sviluppò malauguratamente soprattutto nuovi armamenti: nuove armi automatiche e più precise (micidiali), nuovi carri armati, sommergibili, aerei, portaerei, ecc.). La guerra, al di fuori di qualsiasi pianificazione, costituì tuttavia anche un decisivo banco di prova per i movimenti femministi. Se ne parla poco, perché si è abituati a considerare le guerre soprattutto in termini geopolitici, meno in termini di conquiste sociali.
L’imperativo della sopravvivenza e del supporto agli uomini sotto le armi fece sì che alla loro sostituzione nella produzione agricola, ma anche industriale, fossero destinate milioni di donne. Molte furono impiegate anche nella produzione di munizioni per l’approvvigionamento della macchina bellica. Tutto questo in aggiunta ai tradizionali lavori domestici, alla cura dei figli e all’assistenza degli anziani.
Questa esperienza, gravosa ma ben superata, aveva dato alle donne e pure agli uomini la prova lampante delle loro capacità e virtù anche al di fuori dell’ambito familiare. Da quel momento sarebbe stato più facile avanzare richieste fino ad allora irricevibili dagli uomini di potere, per esempio il diritto alla formazione, l’esercizio di ogni professione, i diritti politici. E sarebbe stato più difficile per gli uomini obiettare che le donne dovevano occuparsi della casa e della famiglia come spose e madri.

Rivendicazioni e conquiste
Finita la guerra, l’emancipazione femminile trovò davanti a sé una sorta di strada spianata. Le donne, che già sapevano gestire una casa e una famiglia, avevano dimostrato di saper gestire anche il lavoro in fabbrica, nei laboratori, negli uffici. Avevano dimostrato di non aver bisogno di alcuna tutela maschile e di saper badare a sé stesse.
Donne in una fabbrica di munizioni in Gran Bretagna.
Per portare avanti le loro rivendicazioni sociali e politiche, le donne sapevano però che dovevano essere unite. L’esperienza nelle fabbriche aveva favorito la loro sindacalizzazione e politicizzazione. Cominciarono perciò a organizzarsi nei sindacati e nei partiti politici e i risultati non tardarono ad arrivare. Fino al 1920 avevano già ottenuto il diritto di voto in diversi Paesi, tra cui l’Austria, la Germania, il Belgio, la Polonia, il Regno Unito, la Russia, l’Ungheria, il Canada, gli Stati Uniti. In altri Paesi dovranno attendere ancora, ma la direzione e l’obiettivo erano segnati e ritenuti irrinunciabili.
Anche nella vita privata le donne dimostravano sempre più la raggiunta emancipazione, per esempio esibendo vestiti che tendevano a evidenziare maggiormente la loro fisicità, praticando numerosi sport, frequentando scuole di ogni ordine e grado, raggiungendo livelli prestigiosi nella letteratura e nell’arte, guidando l’automobile, purtroppo iniziando anche a fumare (la sigaretta era divenuta simbolo di ribellione e di lotta) come gli uomini.
Non tutte le donne riuscirono subito a sottrarsi ai condizionamenti delle società fino ad allora fortemente maschiliste. In alcuni Paesi dovranno attendere addirittura decenni prima di ottenere il diritto di voto (Francia: 1944, Italia: 1946, Svizzera: 1971). In molti Paesi dove magari le donne hanno da tempo i diritti politici non hanno ancora la parità salariale e pari opportunità rispetto agli uomini nell’accesso allo studio o nell’esercizio di alcune funzioni.
Per molte società la parità uomo-donna resta ancora un obiettivo da conquistare e non si capisce se il ritardo è dovuto a difficoltà oggettive o alla paura (inconfessabile) di una società più giusta, più equa, più umana.
Giovanni Longu
Berna, 31.10.2018