08 agosto 2018

Riforma e Controriforma in Svizzera: 7. Situazione favorevole alla riconciliazione


Le celebrazioni per i 500 anni della Riforma protestante e per i 70 anni del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) con la partecipazione di papa Francesco hanno rinforzato nella coscienza di molti cristiani d’occidente il desiderio di una riconciliazione tra cattolici e protestanti. Negli articoli precedenti ho cercato di mettere in luce le motivazioni non religiose (specialmente politiche) che hanno indotto alcuni Cantoni ad accogliere le idee «protestanti», soprattutto di Zwingli e di Calvino, e altri Cantoni a costituire un blocco cattolico conservatore, avvalendosi anche del contributo di alcuni ordini religiosi, in particolare dei Gesuiti. Oggi tali motivazioni sono del tutto superate, per cui la riunificazione appare più possibile che in passato (pur persistendo profonde divergenze di natura dottrinale di non facile, ma non impossibile, soluzione).

L’ostacolo dei Gesuiti
Papa Francesco, gesuita, grande sostenitore dell'ecumenismo.
L’introduzione della Riforma protestante in alcuni Cantoni urbani economicamente ricchi e progressisti era stata vista come un pericolo dai Cantoni rurali economicamente deboli e conservatori. La contrapposizione tra i due gruppi era sfociata in più occasioni in vere e proprie guerre, fino a quella decisiva del 1847 (Sonderbund). Nel frattempo, tuttavia, i Cantoni deboli si erano rafforzati e anche culturalmente si erano avvicinati molto a quelli urbani, non da ultimo grazie alla diffusione della scuola pubblica e delle scuole d’élite istituite dai Gesuiti. Questa vicinanza tra Cantoni ugualmente «sovrani» ha reso possibile la nascita della moderna Confederazione (1848).
E’ probabile tuttavia che proprio il successo dell’attività formativa dei Gesuiti (ritenuti per questo almeno in parte responsabili della guerra del Sonderbund!) e il loro forte legame col Papa abbiano indotto le principali forze politiche liberali-radicali a considerarli ancora così «pericolosi» da chiederne l’espulsione da tutta la Svizzera (1847) e vietarne a livello costituzionale (1848 e 1874) qualsiasi attività nella chiesa e nella scuola, sebbene la stessa Costituzione federale garantisse la libertà di culto a tutti i cristiani (ma non agli ebrei!) e imponesse ai Cantoni di farla rispettare.
Come ho ricordato in altra occasione (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2016/03/capire-la-svizzera-19-verso-la-parita.html) gli storici sono concordi nel ritenere che l’adozione di quel divieto non fu dettata da motivi religiosi o confessionali, ma fu il risultato di una lotta politica acerrima fra liberali-radicali (in maggioranza protestanti) e conservatori (in maggioranza cattolici) per la ripartizione delle competenze e dei diritti fra Stato e Chiesa e pertanto il loro rispettivo dominio sulle masse. Non si può tuttavia negare che i Gesuiti rappresentassero ancora forze rivoluzionarie non meno dei Riformatori protestanti del XVI secolo. Senonché i tempi erano cambiati e lo Stato era più che mai intenzionato a garantire più di allora la stabilità anche confessionale della giovane Confederazione.
Poco importava che i Gesuiti si tenessero al di fuori dei giochi politici (a differenza di quanto avevano fatto i grandi Riformatori protestanti Zwingli e Calvino) e orientassero la loro attività, come voleva il loro fondatore Ignazio di Loyola, «alla maggior gloria di Dio e utilità delle anime». La loro attività in seno alla società era ritenuta semplicemente «pericolosa» per la pace religiosa e quindi da vietare.

La situazione religiosa favorisce il dialogo e la collaborazione
Questo preconcetto nei confronti dei Gesuiti cadde definitivamente in votazione popolare nel 1973. Nonostante l’evidente anacronismo e incostituzionalità del divieto nei loro confronti, è singolare che a favore dell’abrogazione abbia votato soltanto il 55% dei votanti e contro si siano espressi a maggioranza i Cantoni di Zurigo (52,8% di no), Berna (65,8%), Neuchâtel (70,8%), Vaud (65,2%), Sciaffusa (54,9%) e Appenzello Esterno (61,5).
Rimosso quest’ultimo ostacolo, fu superato anche uno dei secolari fossati che dividevano la Svizzera, quello confessionale, non senza, tuttavia, il contributo determinante della mobilità sociale e dell’immigrazione, in prevalenza cattolica, dei primi decenni del secondo dopoguerra.
Oggi il panorama religioso svizzero, esente da conflitti evidenti, sembra favorire non solo la via del dialogo interconfessionale, ma anche un’intensa collaborazione in campo sociale e religioso, non da ultimo per frenare nella società l’indebolimento delle componenti cristiane e l’aumento delle persone che si dichiarano senza confessione. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 8.8.2018