17 gennaio 2018

Cittadinanza e integrazione «misurabile»



Il 2017 si è chiuso, in Italia, con l’affossamento di un disegno di legge di modifica delle norme sull’acquisizione della cittadinanza, che avrebbe consentito alla seconda generazione di stranieri di ottenere agevolmente la cittadinanza italiana in base al criterio dello jus soli, sia pure «temperato», come si è cercato di spiegare. In Svizzera, dal 1° gennaio 2018 è invece in vigore la nuova legge sulla cittadinanza, che indica chiaramente i criteri e la procedura per ottenere il passaporto rossocrociato. La mancata legge italiana e la nuova legge svizzera meritano, a mio parere, qualche considerazione di ordine generale.

Ragioni di una disfatta e di un’approvazione
Quando si affronta in un parlamento bicamerale paritetico, come sono quello italiano e quello svizzero, una problematica così complessa e a forte impatto sociale come la cittadinanza, è facile che le due camere decidano diversamente. Se manca il tempo per risolvere le divergenze si rischia di rendere inutile gran parte del lavoro parlamentare effettuato. Il primo errore della mancata approvazione della legge italiana è stato forse la frenesia di far approvare una legge che fin dall’inizio l’opinione pubblica riteneva divisiva e inopportuna. Il testo approvato il 13 ottobre 2015 dalla Camera dei deputati finì per arenarsi al Senato per finire, ingloriosamente, grazie al ricorso (indecoroso) alla mancanza del numero legale dei senatori in aula.
Giusto per un confronto, il disegno di legge di revisione totale della cittadinanza svizzera (risalente al 1952 e più volte modificata) era stato presentato il 4 marzo 2011. Inizialmente le posizioni dei gruppi parlamentari e delle due Camere erano molto divergenti, per cui occorsero numerose sedute e votazioni prima di trovare la piena concordanza sul testo finale, approvato il 20 giugno 2014 dal Consiglio nazionale con 135 sì, 60 no e 2 astensioni, e dal Consiglio degli Stati con 29 sì, 12 no e 4 astensioni. Su questa legge non è stato chiesto il referendum da nessuna forza politica, perché evidentemente tutte le hanno riconosciuto quel minimo di ragionevolezza ed efficacia necessario ad una legge con forte impatto sociale.
La ragione principale dell’affossamento della legge italiana non può essere ricercata tuttavia nei complessi meccanismi dell’iter legislativo e nemmeno nella durezza delle posizioni ideologiche dei parlamentari. Essa è dovuta, a mio parere, alla percezione della maggioranza dei senatori di una contrarietà dell’opinione pubblica, contro cui non si è sentita di imporre ragionevolmente una legge incomprensibile, non sentita, anzi chiaramente osteggiata. 

L’ostacolo dell’incomprensione
Da un punto di vista non tecnico-legislativo, ma semplicemente di buon senso, ho sempre ritenuto l’impianto del disegno di legge sulla cittadinanza italiana poco trasparente, incoerente e divisivo, a cominciare dall’uso spregiudicato (soprattutto da una parte dei media) di alcune espressioni come jus soli. Al confronto, la legge svizzera è molto più trasparente, coerente e poco divisiva (anche se alcuni commentatori hanno parlato di «durezza» di alcuni punti), a prescindere dal merito.
Sono convinto che se non si fosse insistito pervicacemente nell’espressione jus soli e si fosse parlato, per esempio, di facilitazioni per l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei giovani stranieri di seconda generazione, con l’introduzione di qualche meccanismo di controllo, quella legge sarebbe passata. Va infatti riconosciuto ch’essa non aveva niente di rivoluzionario e non sovvertiva affatto l’ordinamento italiano sulla cittadinanza. Aveva però un gravissimo difetto: non rispettava il sentire degli italiani, «le ragioni del cuore», avrebbe forse detto Blaise Pascal, con cui «conosciamo i principi primi».
Gli italiani non si sentivano preparati a una normativa più favorevole sulla cittadinanza, non ne percepivano la necessità e nemmeno l’opportunità, visto che in generale i giovani stranieri integrati di seconda generazione non sono discriminati (o almeno non dovrebbero) a causa della loro origine. Molti, pur sbagliando, vedevano in questo passo favorevole agli stranieri addirittura una discriminazione nei confronti degli italiani in condizioni ancor più disagiate.

Legge jus soli inutile e fuorviante
A creare allarmismo tra la popolazione e in alcune forze politiche è stata soprattutto la possibilità che attraverso quella legge entrasse nell’ordinamento italiano lo jus soli, cioè l’acquisizione automatica della cittadinanza per il solo fatto di nascere in territorio italiano. So che il testo della legge in discussione non andava in questa direzione e proprio per questo tale espressione avrebbe potuto essere eliminata senza alcun inconveniente, in quanto inutile e addirittura fuorviante. Inutile perché, come detto, si sarebbe potuto raggiungere l’obiettivo mirato in altro modo; fuorviante perché ha fatto ritenere a molti che la condizione necessaria e sufficiente per l’acquisto della cittadinanza fosse la nascita sul territorio italiano, dimenticando o minimizzando altre caratteristiche, pure indicate nella legge. Del tutto incomprensibile, per me, non essere intervenuti per tempo, alla Camera, per modificare un testo francamente incomprensibile.
E’ probabile che ad affossare la legge in discussione abbia contribuito anche la scarsa considerazione dell’origine dello jus soli per l’acquisto della cittadinanza. Esso fu adottato, in passato solo da alcuni Stati che si caratterizzavano come Paesi d’immigrazione classici (USA, Canada, Sudamerica, Australia), mentre l’Italia è solo parzialmente Paese d’immigrazione in quanto è ancora rilevante l’emigrazione di cittadini italiani. Una forma particolare di acquisizione della cittadinanza è quella che prende in considerazione alcune caratteristiche dello «jus soli» con altre e per questo chiamata «jus soli temperato». Anch’essa, tuttavia, in Italia sarebbe in buona parte incomprensibile, perché i Paesi che l’hanno adottata hanno caratteristiche diverse dall’Italia.
Un altro ostacolo ad accettare la legge dev’essere stata anche la considerazione che con lo jus soli collegato all’acquisto della cittadinanza direttamente alla nascita non fosse richiesta alcuna procedura di naturalizzazione (né domanda, né verifica dei requisiti, né possibilità di ricorso, ecc.), come non c’è quando la cittadinanza è acquistata in virtù dello jus sanguinis (per discendenza). E’ vero che nel disegno di legge affossato dal Senato si escludeva qualsiasi automatismo, ma non eliminava ogni dubbio. Tanto è vero che agganciato allo jus soli ce n’era subito un altro simile, ossia l’acquisizione della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (jus culturae).

La legge svizzera sulla cittadinanza
In Svizzera, sebbene il linguaggio giuridico anche qui non sia sempre di facile comprensione per il cittadino medio, gli elementi essenziali della nuova legge sulla cittadinanza ha perlomeno il pregio della chiarezza. Essa indica i requisiti e le procedure, precisandole ulteriormente in un’ordinanza di applicazione, che impone una sorta di unità di dottrina a livello nazionale e armonizza le procedure di naturalizzazione a livello cantonale e comunale.
I requisiti fondamentali e generali sono soprattutto tre: disporre di un permesso di domicilio, vivere in Svizzera da almeno dieci anni ed essere ben integrato. A livello di dettaglio (e di chiarezza) trovo particolarmente interessanti i «Criteri d’integrazione». L’articolo 12 della legge li indica così: «Un’integrazione riuscita si desume segnatamente: a. dal rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblici; b. dal rispetto dei valori della Costituzione federale; c. dalla facoltà di esprimersi nella vita quotidiana, oralmente e per scritto, in una lingua nazionale; d. dalla partecipazione alla vita economica o dall’acquisizione di una formazione; e e. dall’incoraggiamento e dal sostegno all’integrazione del coniuge, del partner registrato o dei figli minorenni sui quali è esercitata l’autorità parentale».
Quando alla «facoltà di esprimersi» è richiesta la conoscenza scritta (livello A2) e orale (B1) di una lingua nazionale, con riferimento ai valori stabiliti dal quadro comune di riferimento europeo (già adottato, per esempio, dalla Germania). Circa la procedura viene precisato che ogni Cantone designa l’autorità presso cui va presentata la domanda di naturalizzazione. Al termine dell’esame e delle verifiche (soprattutto in relazione all‘«integrazione riuscita», se il risultato è positivo la domanda di naturalizzazione sarà inviata dal Cantone alla Confederazione (Ufficio federale della migrazione) per l’autorizzazione federale di naturalizzazione.
Per una valutazione complessiva della nuova legge sulla cittadinanza svizzera si dovrà attendere qualche anno, ma il fatto stesso che sia stata approvata a grande maggioranza e che contro di essa non sia stato lanciato un referendum sta ad indicare che il legislatore, molto probabilmente, ha interpretato bene i desideri del popolo insistendo sull’integrazione quale condizione principale della naturalizzazione, nell’interesse della società e degli stessi naturalizzandi.
Giovanni Longu
Berna, 17.1.2018