13 giugno 2018

Riforma e Controriforma in Svizzera: 2. L'affermazione della Riforma


Sulla Riforma nel suo complesso i giudizi sono ancora divisi e probabilmente un giudizio definitivo non si avrà mai, anche perché è difficile o impossibile «pesare» con obiettività il contributo positivo della Riforma ai cambiamenti intervenuti successivamente nella Chiesa cattolica (a cominciare dal Concilio di Trento, 1545-1563) e nelle società di tutto l’occidente, ma anche il danno ch’essa ha prodotto lacerando profondamente l’ortodossia cristiana, introducendo nel popolo di Dio divisioni inutili e dannose, alimentando odio e intolleranza, per non parlare del danno materiale e culturale prodotto con la soppressione di ordini religiosi, la rimozione di altari e statue, la distruzione di opere d’arte, ecc.

La Riforma vista da Riformatori
La buona fede dei grandi Riformatori Lutero, Zwingli, Calvino e altri è fuori discussione. Essi
Ulrich Zwingli (ritratto di Hans Asper)
volevano ridare alla Chiesa la purezza evangelica delle origini, ancorare i fondamenti del culto cristiano nel Vangelo, estirpare la corruzione dilagante, ricondurre il papato alla sua funzione originaria di guida spirituale, ecc. Lo facevano generalmente con la predicazione e le dispute teologiche, ma anche con gesti eclatanti.
Zwingli, per esempio, a Zurigo sfidò il vescovo di Costanza che lo minacciava di scomunica perché, pur essendo ancora prete, conviveva con la figlia di un oste, affermando che i mali della Chiesa hanno ben altre origini, oppure quando la prima domenica di quaresima partecipò con degli amici al consumo di una salsiccia, ritenendo che «rompere il digiuno non è un peccato».
Per capire bene la posizione dei Riformatori nei confronti della Chiesa, va tuttavia ricordato non solo il degrado della gerarchia cattolica e del papato in particolare, ma anche la situazione politico-sociale svizzera di allora, caratterizzata dallo sforzo delle nuove forze produttrici nei Cantoni urbani per liberarsi dallo strapotere della nobiltà patriziale redditiera. Esse erano rappresentate dai borghesi, dalle corporazioni delle arti e mestieri che avevano saputo rinnovarsi, dai banchieri, dagli intellettuali, ma anche dai contadini che aspiravano ad affrancarsi dalla tradizionale servitù della gleba. I Riformatori erano per il cambiamento e per una maggiore libertà.
Essi riconoscevano quelle legittime aspirazioni anche all’interno della Chiesa, che ritenevano doversi rinnovare sia in senso evangelico che in senso democratico. Era noto che i papi del tempo si comportavano né più né meno come gli altri potenti della terra. Ambivano infatti a fare della Chiesa più una potenza politica, che una comunità di fede animata da spirito evangelico. I Riformatori ne contestavano sia i metodi che gli scopi e i risultati.
Per essere liberi di agire, i papi cercavano  di stroncare ogni opposizione interna, accentrando tutto il potere nello loro mani e talvolta anche in quelle dei propri sostenitori (talvolta familiari, figli naturali compresi) e dichiarando «eretici» quanti sostenevano che nella Chiesa il potere spettasse al Concilio piuttosto che al papa (com’era stato sostenuto nei concili di Costanza e di Basilea). Ai vari contestatori si aggiunsero anche i Riformatori che mal sopportavano la «tirannia papale» e il «partito del papa», anche perché le loro richieste di cambiamento all’interno della Chiesa non trovavano alcun ascolto a Roma. 

La Riforma vista dalla Chiesa cattolica
Vista dalla parte della Chiesa di Roma la Riforma era considerata una contestazione pericolosa e contagiosa perché scardinava dalle fondamenta la vita della Chiesa, minava in particolare l’autorità del papa e aveva molta presa nell’opinione pubblica. I Riformatori non capivano che il papa aveva il compito di difendere la fede con ogni mezzo, come prescrizioni, divieti e scomuniche, e persino con alleanze militari con altri Stati cattolici come Francia, Spagna, Portogallo, Austria e, in Svizzera, con i Cantoni cattolici che avevano dichiarato la loro fedeltà a Roma. Per i cattolici, tutto quel che facevano i papi in quanto papi sembrava fatto in difesa della fede.
Il duomo di Zurigo (Grossmünster),
dove Zwingli predicò la Riforma
In un primo tempo, avvertendo il pericolo di uno scisma, Roma offrì numerose possibilità di dialogo per evitare divisioni pericolose, facendo scendere in campo abili teologi, diplomatici e cardinali, ma invano. Zwingli, per esempio, era perentorio: Cristo, e non Pietro e dunque il papa, è il fondamento della Chiesa e la salvezza è frutto esclusivo della fede e non di certe pratiche religiose. Man mano che questi tentativi fallivano le due parti s’irrigidivano e si allontanavano, preparandosi al peggio.
Uno dei massimi difensori della Chiesa e grande oppositore della Riforma, il cardinale di Milano Carlo Borromeo, considerava i protestanti «eretici» e le loro affermazioni «pestifere eresie» che «come loglio e zizzania hanno occupato i campi della Religione Cristiana, e quasi soffocano il frumento». Riteneva che «i Luteri, i Calvini, e mille altri simili mostri orribili, sono l’Idoli delle misere genti».
Il Borromeo non era tuttavia tenero nei confronti di certi prelati, che «costituiti da Dio come siepi e muri per la difesa della vigna», con il loro cattivo esempio e con le «molte ingiustizie hanno distrutta la vigna». Per lui, però, bisognava difendere il popolo di Dio soprattutto dai protestanti, «i lupi rapaci che disperdono il gregge del Signore», «i maestri bugiardi che fuggono la via delle verità».
Per arginare l’espandersi della Riforma, a tutti coloro che avevano la possibilità d’influenzare il popolo (quindi il clero, gli ecclesiastici in generale, gli insegnanti, i medici, ecc.) veniva chiesto di fare la professione di fede nella Chiesa. Molti, tuttavia, si rendevano sempre più conto che la fede cattolica sarebbe stata meglio salvaguardata intervenendo al suo interno con una vera riforma (Riforma cattolica) della gerarchia, del clero e dei fedeli tutti. Per questo ritenevano necessario un concilio (il Concilio di Trento), un’appropriata formazione del clero, l’estensione della scuola popolare e la creazione di scuole d’élite, l’uso del nuovo potente mezzo di diffusione dell’informazione, la stampa, già utilizzata abbondantemente dai protestanti. 

L’esempio di Zurigo
La predicazione dei Riformatori creava sconcerto e discordie nei centri urbani dove più facilmente riusciva a fare proseliti. A Zurigo, per esempio, dove dal 1518 predicava Zwingli, in più occasioni si sfiorò la rissa. Per evitare che i contrasti tra protestanti e cattolici degenerassero, l’autorità civile, a cui secondo Zwingli spettava la decisione finale, prima di decidere convocò, tra il 1523 e il 1524 una serie di «Dispute» in cui, alla presenza di centinaia di persone, furono discusse questioni dottrinali (Sacra Scrittura, Salvezza eterna, Chiesa, Sacramenti, ecc.) e questioni pratiche (celebrazione della messa, culto delle immagini, devozioni, ecc.). Al termine delle Dispute il Consiglio della città diede sempre ragione a Zwingli, adottando di fatto la Riforma (1525).
Immagine della furia iconoclasta del periodo della Riforma a Zurigo:
abbattimento della Croce di Stadelhofen
La decisione del Consiglio di Zurigo non era solo una semplice autorizzazione data a Zwingli e ai suoi seguaci di predicare e di compiere determinati atti liturgici conformi alla nuova dottrina, ma comportava anche il divieto di predicare la dottrina cattolica tradizionale e di compierne atti di culto diversi da quelli consentiti dalla Riforma. Vennero così aboliti e vietati nel Cantone di Zurigo la messa cattolica, la pratica dei sacramenti ad eccezione del battesimo, il culto dei santi, il primato del papa, il celibato dei preti, il digiuno quaresimale, ecc. Una delle conseguenze immediate dell’abolizione della messa e del divieto del culto dei santi, fu la rimozione dalle chiese delle immagini ritraenti la Madonna e i Santi, scatenando una furia iconoclasta che portò alla distruzione anche di pregiate opere d’arte e di ricchi altari. Zwingli era categorico: le immagini dovevano essere distrutte.
Un’altra conseguenza dell’adozione della Riforma fu la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni, per poi destinarli a istituzioni assistenziali (per esempio mense pubbliche per i poveri). Il Consiglio della città, allo scopo di moralizzare la vita pubblica, decise anche la revisione (su suggerimento di Zwingli) del diritto matrimoniale e l’istituzione di un tribunale matrimoniale, composto da quattro laici e due pastori, incaricato di vigilare sulla moralità pubblica.
L’esempio di Zurigo fu subito seguito, più o meno con le stesse modalità, da Berna, Basilea, Sciaffusa, San Gallo, Glarona, Ginevra, e altre città. Contemporaneamente, tuttavia, i Cantoni cattolici che volevano restare uniti a Roma si organizzarono per impedire che la Riforma penetrasse anche nei loro territori. Si stava creando una pericolosa spaccatura nella (vecchia) Confederazione dalle conseguenze imprevedibili.
A questo punto, una prima domanda mi pare ineludibile: era possibile, tanto per le autorità civili che per i cittadini, aggirare i divieti e sottrarsi all’obbligo di seguire la Riforma? La risposta sarà data nel prossimo articolo (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 13.6.2018

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