06 giugno 2018

Riforma e Controriforma in Svizzera: 1. Problematica e attualità


Il prossimo 21 giugno 2018, papa Francesco sarà a Ginevra, su invito del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), che celebra quest’anno il 70° anniversario di fondazione. Lo scorso anno, il 31 ottobre 2017, si era recato a Malmo, in Svezia, per commemorare i 500 anni della Riforma. I viaggi del papa hanno soprattutto una valenza religiosa, ma contengono anche richiami importanti alla storia e alla vita politica, culturale e sociale attuale. In questo contesto celebrativo, sebbene il messaggio principale sia sempre: guardare insieme al futuro dialogando e collaborando nella fratellanza, ritengo utile proporre ai lettori alcune considerazioni sulle conseguenze della Riforma e della Controriforma in Svizzera. Senza uno sguardo retrospettivo risulta infatti difficile, a mio parere, comprendere gli sforzi che si stanno moltiplicando in questi ultimi decenni in vista di una non impossibile riconciliazione delle Chiese cristiane.

Contesto storico della Riforma e della Controriforma
Papa Francesco e Martin Lutero, iniziatore della Riforma.
Le considerazioni, di tipo prevalentemente storico, che svilupperò in alcuni articoli, mirano solo in parte a spiegare la ventata ecumenica che sta soffiando in questi ultimi decenni nelle varie Chiese cristiane e di cui anche la prossima venuta del papa in Svizzera è una testimonianza importante. Esse vogliono essere soprattutto un tentativo per comprendere meglio 500 anni di storia svizzera. Concretamente, cercherò di rispondere a domande come queste: Perché alcuni Cantoni hanno aderito alla Riforma e altri no? Come è avvenuta la «conversione» dei cristiani cattolici in cristiani protestanti? Quali sono state le principali conseguenze per la (vecchia) Confederazione e per i Cantoni? Perché oggi è auspicabile una riconciliazione generale?
Avevo avviato questa riflessione l’anno scorso in un articolo (L’ECO del 29.11.2017: I 500 anni della Riforma e i «potenti» del mondo) in cui, dopo aver accennato al contesto storico-politico-religioso in cui furono avviate la Riforma e la Controriforma (o Riforma cattolica) e ricordato i principali riformatori in Germania (Lutero) e in Svizzera (Zwingli e Calvino), facevo notare la lacerazione profonda prodottasi nell’ortodossia cristiana, «introducendo nel popolo di Dio divisioni inutili e dannose». Concludevo tuttavia con questa professione di ottimismo: «non credo che si possa parlare di divisioni insanabili».
Quella conclusione non era velleitaria, perché anche la prossima visita del papa a Ginevra è una dimostrazione che all’interno delle principali Chiese cristiane si fa strada il sentimento non solo della ragionevolezza della riconciliazione, ma del dovere di ricomporre l’originaria unità. Ritengo di portata storica alcune affermazioni di papa Francesco in Svezia, quando, per esempio, non esitò a riconoscere l’errore («abbiamo sbagliato») della scomunica di Martin Lutero e a riconoscergli una spiritualità profonda. Il fatto stesso che il papa abbia partecipato alle celebrazioni del 500° della Riforma rappresenta un significativo passo avanti sulla strada del superamento di secolari incomprensioni e conflitti.

Impulsi al cambiamento e attualità
Oggi a molti cristiani questi comportamenti possono apparire incomprensibili. Ma come, dirà qualcuno, prima un papa, Leone X (che non era uno stinco di santo!) condanna Lutero come un eretico meritevole del rogo, e ora un altro papa, Francesco, parla dei suoi «meriti» e gli riconosce una profonda spiritualità? Dove sta l’infallibilità del papa? Domande difficili che richiederebbero risposte complesse, anche perché andrebbero ben spiegate affermazioni come quella che i credenti recitano durante la celebrazione della messa: «credo la Chiesa una santa cattolica e apostolica».
Evidentemente non è questa la sede idonea per addentrarsi in questa materia, ma si può forse affermare che alla base delle divisioni religiose c’è anche una buona dose d’incomprensione, soprattutto in mancanza di una fonte unica riconosciuta d’interpretazione e se si confonde la sostanza di una dottrina ritenuta immutabile con una sua interpretazione eterogenea, suscettibile di molte variazioni nello spazio e nel tempo.
Fortunatamente oggi si preferisce più il dialogo che la disputa teologica, evidenziare ciò che unisce piuttosto che sottolineare ciò che separa, guardare al futuro più che rivangare il passato. Anche l’atteggiamento dei papi nei confronti del Protestantesimo sta cambiando.
Un grande impulso al cambiamento fu dato dal Concilio Vaticano II, che nel «Decreto su l’Ecumenismo» indicava tra i suoi intenti principali «il ristabilimento dell’unità da promuoversi tra tutti i Cristiani» e il superamento delle divisioni, ritenute contrarie alla volontà di Gesù Cristo nel fondare la Chiesa «una e unica». Per raggiungere questi obiettivi indicava anche la strada: «promuovere l’equità e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione», ma anche «la riforma della Chiesa», «la reciproca conoscenza», «la formazione ecumenica», ecc.
Da allora l’ecumenismo ha fatto grandi progressi, ma le divisioni permangono ancora, perché in fondo, come riconosceva lo stesso Concilio, «molte Comunioni cristiane propongono se stesse […] come la vera eredità di Gesù Cristo». Per esse non si tratta quindi di modificare opinioni o pratiche esteriori, ma di rinunciare o quantomeno rivedere convinzioni profonde, che nel tempo si sono materializzate in comunità, strutture organizzative, ordinamenti, liturgie, ecc. I viaggi di papa Francesco, i frequenti incontri con rappresentanti di altre chiese e religioni dimostrano che il desiderio della riconciliazione e dell’unità è in crescita, ma il cammino verso l’unità sarà probabilmente ancora lungo.

Il caso svizzero è emblematico
Quanto sia difficile superare questo tipo di divisioni consolidate lo mostra bene la storia confessionale della Svizzera, che oltre ad aver modificato il paesaggio religioso della (vecchia) Confederazione (Cantoni cattolici e Cantoni protestanti, Cantoni «misti») ha influito notevolmente anche sullo sviluppo politico, sociale e culturale di questo Paese.
Ginevra: Monumento dei riformatori
Per alcuni, la storia della Riforma di 500 anni fa potrebbe essere archiviata nella rubrica «Tempi passati», perché in effetti la visibilità della separazione tra Protestantesimo e Cattolicesimo è sempre più flebile ed è, fortunatamente, quasi impossibile distinguere gli appartenenti all’una o all’altra confessione al di fuori della frequentazione dei rispettivi culti. Per altri, invece, è ancora utile ricordare eventi sia pure lontani, per poter guardare meglio al futuro, non solo nell’ottica religiosa degli incontri ecumenici di papa Francesco, ma anche nella prospettiva di una comprensione e collaborazione non ideologica dei cittadini di questo Stato.
Del resto, molti non sanno neppure come si è giunti alla situazione religiosa di 500 anni fa e di oggi e non sanno che la Riforma e la Controriforma (o Riforma cattolica) hanno avuto in Svizzera implicazioni importanti anche nella vita quotidiana. La situazione, quasi bloccata, fino alla costituzione dello Stato federale è andata progressivamente modificandosi, anche grazie alla prima immigrazione proveniente da regioni tradizionalmente cattoliche. Oggi, molte vecchie distinzioni sono definitivamente superate, ma l’unità è ancora lontana.

Peculiarità svizzere della Riforma
Il messaggio di Lutero del 1517 (inizio della Riforma) giunse in Svizzera alto e forte e non tardò a trovare abili e convinti sostenitori. Grazie ad essi, ma anche e forse soprattutto alle condizioni particolari dell’organizzazione politica, sociale e professionale della (vecchia) Confederazione, la Riforma si diffuse abbastanza in fretta. Si affermò inizialmente nelle Città e nei Cantoni urbani, dov’erano maggiormente sviluppate l’economia e la cultura e dove più che nei Cantoni rurali era forte l’aspirazione della nascente borghesia (corporazioni) a liberarsi dai vincoli troppo stretti della nobiltà e delle autorità politiche (imperatore, re, nobili…) e religiose (papa, vescovi, abati, preti, ecc.).
Zurigo fu il principale centro di diffusione della Riforma nella Svizzera tedesca come Ginevra lo divenne nella Svizzera francese. Berna fu però per la Svizzera ancora più importante di Zurigo sotto l’aspetto politico, perché in quel momento era il Cantone più grande e più influente della Svizzera. Basilea, culla della Riforma (Erasmo da Rotterdam), divenne una delle città protestanti più importanti a livello europeo per la stampa e la diffusione di moltissime opere dei riformatori. In tutte queste Città-Stato l’aspetto religioso della Riforma era talmente confuso con quello politico, economico e sociale, che rese praticamente impossibile limitarsi al rinnovamento spirituale e pastorale della Chiesa. La Riforma divenne una questione politica con tutte le conseguenze che si vedranno nei prossimi articoli.
La Riforma piaceva a molti per la ventata di trasformazione della vita religiosa, ma forse soprattutto per la prospettiva di una maggiore libertà che sembrava dare non solo nella fede, ma anche nel pensiero e nella vita in generale. Pertanto furono molti, soprattutto persone colte, che abbracciarono la Riforma, anche a seguito di accesi dibattiti pubblici.
Per il popolo, che non sapeva né leggere né scrivere, le discussioni creavano più confusione che chiarezza. La gente comune era talmente legata alla tradizione e alle pratiche di culto tramandate da secoli che esitava a convertirsi e rinnegare il legame con la Chiesa di Roma, anche per non incorrere nelle pene comminate agli eretici, specialmente la scomunica (esclusione dai sacramenti, ecc.). Nella confusione, nelle regioni rurali alcune classi sociali approfittarono della Riforma per rivendicare maggiore libertà dai padroni (spesso ecclesiastici e nobili). Alcuni Cantoni, poi, chiusero totalmente le porte alla Riforma, spaccando letteralmente in due la Confederazione. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 6 giugno 2018

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