25 aprile 2018

Tracce d'italianità nell'agglomerazione di Neuchâtel


Neuchâtel è una magnifica città inserita in un paesaggio superbo tra lago e monti, impreziosita da una storia più che millenaria e proiettata verso un futuro che contribuiscono a plasmare una piccola ma efficiente università, le nuove tecnologie e un dinamismo straordinario di piccole e medie imprese. Queste caratteristiche appaiono con maggiore chiarezza se lo sguardo spazia su tutta la regione, anzi sull’intero Cantone. Alcuni centri, come La Chaux-de-Fonds, Le Locle, la Valle de Travers rappresentano infatti elementi fondamentali della storia, della fama e della ricchezza di Neuchâtel. Di essi si parlerà in un prossimo articolo, e lo meritano perché tutto il Cantone è impregnato d’italianità.

Neuchâtel e gli stranieri
Il Castello di Neuchâtel e, sullo sfondo, i campanili della Collegiata.
Ripercorrere in poco spazio la complessa storia dell’agglomerazione di Neuchâtel è impossibile, tanto più che essa dovrebbe cominciare dalla lontana preistoria o almeno dal Neolitico medio (circa 3.500 a.C.), attraversare il complicato e in parte sconosciuto periodo medievale (la nascita della città è del 1011), poi le vicissitudini dei secoli successivi, praticamente fino all’ingresso di Neuchâtel nella Confederazione (1814). Del resto, è solo dall’Ottocento che gli italiani sono presenti in numero significativo nell’agglomerazione e nel Cantone.
Nel periodo della Riforma Neuchâtel rivela una grande capacità integrativa degli stranieri. Fu uno straniero, Guillaume Farel, predicatore appassionato di origine francese, a convincere la cittadinanza ad accettare la Riforma nel 1530. Altri stranieri perseguitati per motivi religiosi, gli ugonotti, furono accolti a Neuchâtel dopo la loro cacciata dalla Francia nel 1685. Da allora, l’apertura verso gli stranieri è sempre stata una caratteristica della città e del cantone, parziale fino all’occupazione francese della Svizzera (1798) perché gli stranieri cattolici erano ostacolati, totale dall’Ottocento in poi.
Quando nel 1832 i Cantoni di Neuchâtel, Basilea e Svitto furono sconvolti da tentativi rivoluzionari, che rendevano urgente una riforma del Patto federale del 1815, la proposta di un nuovo Atto fu commissionata a un giurista e letterato raffinato di origine italiana, Pellegrino Rossi (1787-1848).
La convivenza tra svizzeri e stranieri non fu tuttavia sempre pacifica e proficua. Dovettero passare diversi decenni prima che venisse avviata una solida politica d’integrazione, sia religiosa che politica.

Integrazione religiosa
La situazione religiosa, discriminatoria nei confronti dei cattolici sino all’inizio dell’Ottocento, è andata via migliorando nei decenni successivi ed è mutata sostanzialmente verso la fine del secolo, grazie specialmente all’immigrazione italiana. Fino al loro arrivo, i cattolici a Neuchâtel erano una esigua minoranza e non disponevano nemmeno di una chiesa propria. Furono gli italiani a sostenere le richieste della Società libera dei cattolici romani di Neuchâtel per una chiesa cattolica. La città venne loro incontro e mise a disposizione un terreno nella zona bassa della città sottratta alle acque del lago per edificarvi una chiesa.
Chiesa di Notre-Dame di Neuchâtel ("chiesa rossa")
Effettivamente, tra il 1897 e il 1906, fu costruita la chiesa dedicata a Nostra Signora dell’Assunzione, elevata al rango di Basilica dal papa Benedetto XVI nel 2008. Questa chiesa, fra l’altro, si distingue da tutte le altre per il suo colore rosso dato dalla pietra artificiale utilizzata, di colore rosso. Per finanziare la costruzione, senza alcun aiuto statale, si fece appello
alle generosità dei cattolici e alla loro responsabilità di difendere la fede cattolica contro la «devastazione delle sette protestanti».
L’ondata di arrivi di lavoratori italiani nel secondo dopoguerra ha modificato il panorama religioso del Cantone di Neuchâtel. Nel 1950 i cattolici erano già 24.829 (protestanti 100.158), ma nel 1970 raggiunsero 64.919 (protestanti: 97.843). Oggi la convivenza fra cattolici e protestanti è assolutamente pacifica.

Difficoltà sulla strada dell’integrazione
Neuchâtel è una città e un cantone che ha avuto e continua ad avere un forte legame con gli immigrati italiani, verso i quali ha elaborato una vera politica d’integrazione. L’eliminazione della discriminazione religiosa fin dall’inizio del secolo scorso è stato un primo passo, ma non fu assolutamente decisivo nei confronti di altri tipi di discriminazione. Soprattutto nei primi decenni del secondo dopoguerra, molti immigrati italiani si sentivano discriminati e umiliati.
Le testimonianze di questo disagio sono numerose. Eccone una, a titolo di esempio, di una signora che anni più tardi ricordava: «Ci si trovava fra noi [immigrati], gli svizzeri in quel periodo ci evitavano, eravamo solo mano d’opera niente altro… Era una sofferenza fisica e morale. Non si capiva, eravamo buoni solo per il lavoro ma per il resto non eravamo accettati».
Occorre tuttavia ricordare anche che durante la seconda guerra mondiale Neuchâtel accolse numerosi internati italiani. Per un gruppo di essi si tenevano veri e propri corsi universitari in un apposito «Campo universitario italiano». Tra i temi trattati figuravano la demografia, il diritto commerciale, le scienze economiche e commerciali, ecc. I racconti di un internato che ho potuto ascoltare qualche anno fa esprimevano molta riconoscenza e simpatia nei confronti della popolazione neocastellana. Altre testimonianze confermano questo sentimento.
L’evoluzione della presenza e dell’integrazione degli italiani nel Cantone di Neuchâtel è facilmente immaginabile osservando l’evoluzione della lingua italiana. Nel 1950, su 128.152 abitanti, 108.408 erano di lingua francese, 15.149 di lingua tedesca e 3.939 di lingua italiana (2.636 stranieri, 1.303 svizzeri). Nel 1970 i francofoni aumentarono a 123.573, i tedescofoni a 15.630, gli italofoni a 21.607, superando dunque di gran lunga gli abitanti di lingua tedesca. Nel 2000 tuttavia gli italofoni risultavano fortemente ridimensionati a soli 5.407.
Nomi d’inconfondibile origine italiana sono ben noti a Neuchâtel a cominciare da Facchinetti, Paci, Gucci e altri, nel settore delle costruzioni, della ristorazione, della cultura, della politica. Mi piace ricordare anche Vitaliano Menghini, un italiano semplice con grandi idee e desideroso di far crescere il livello degli italiani nella società neocastellana. E’ stato un grande promotore di dibattiti, incontri letterari, manifestazioni pubbliche, in una parola, d’italianità.

Integrazione politica
Anche l’integrazione politica è progredita a Neuchâtel lentamente ma costantemente. Già nel 1848, prima che i Cantoni approvassero la Costituzione federale, Neuchâtel si era data una costituzione liberale e democratica, che garantiva tutte le libertà fondamentali, fra cui quelle di stampa e di associazione. Dal 1849 essa prevede il diritto di voto a livello comunale, dal 2000 il diritto di voto a livello cantonale e dal 2007 il diritto di eleggibilità a livello comunale. Manca ancora il diritto di eleggibilità a livello cantonale.
Vitaliano Menghini (1936-2016)
Secondo le statistiche elettorali, fino a pochi decenni orsono gli stranieri e gli italiani in particolare non hanno fatto grande uso del diritto di voto a livello comunale. Ci fu comunque un momento, quando si stava diffondendo anche a Neuchâtel la xenofobia (anni Sessanta e Settanta) che spinse alcune organizzazioni di immigrati e specialmente la locale Colonia libera italiana, allora presieduta da Vitaliano Menghini, a mobilitare i numerosi italiani residenti nella città e nel cantone di Neuchâtel per organizzarsi politicamente, visto che la Costituzione cantonale lo consentiva.
Il risultato fu sorprendente perché si riuscì, negli anni Ottanta, a costituire un vero e proprio partito politico svizzero chiamato «Solidarités», orientato a sinistra e finalizzato soprattutto alla lotta contro il razzismo e all’ottenimento del diritto di voto a livello cantonale e di eleggibilità sia a livello comunale che cantonale. A Neuchâtel ottenne anche un buon successo elettorale nelle elezioni del Consiglio comunale del 2000, riuscendo addirittura a rovesciare l’equilibrio politico nel comune, amministrato da forze di destra sin dal 1848. Nel 2004 riuscì persino a far eleggere sindaco un membro del partito.
Naturalmente i membri del partito Solidarités non sono solo italiani, ma è significativa la riuscita di una iniziativa italiana, in un Cantone che era sì, per così dire, predisposto all’integrazione degli stranieri (nel 1970 aveva respinto l’iniziativa Schwarzenbach con oltre il 60% di voti), ma che aspetta evidentemente anche la partecipazione e il contributo degli stranieri. Solidarités è anche un bell’esempio di quanto gli stranieri, se ben integrati, possono ottenere col loro impegno, non solo in campo economico, sociale e culturale, ma anche politico.
Giovanni Longu
Berna, 25.04.2018

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