07 marzo 2018

La donna nella Chiesa e le aperture di papa Francesco



La Festa della Donna (8 marzo) è come la classica giacchetta che viene tirata da ogni parte per i più svariati interessi. Ci sono i fiorai che desiderano incrementare le vendite invernali, i ristoranti per accrescere la loro cifra d’affari, gli uomini per alleggerire con un bel mazzo di fiori o una cena al ristorante i loro sensi di colpa, le stesse donne che intendono godersi almeno per un giorno le luci della ribalta, i poeti per esaltare il femminismo, i sociologhi per mettere a fuoco i ritardi nel lungo processo di avvicinamento all’uguaglianza uomo-donna, gli statistici per misurarne la distanza ancora esistente, la stampa religiosa per sfoggiare l’esaltazione della figura della donna in alcuni testi biblici, tutti per gridare basta alla violenza sulle donne e viva le donne! In realtà, qual è la situazione nella società civile e nella Chiesa?

Rapporto uomo-donna nella Chiesa
Con soddisfazione nel mondo si registra da ogni parte che la distanza tra uomo e donna nella famiglia e nella società, soprattutto nel mondo del lavoro, si sta riducendo, sebbene appaia ancora lontana la parità, come risulta anche dal linguaggio. Anche quando riguarda una donna si continua a dire «il presidente», «il ministro», «il sindaco», «il prefetto», «il capo», «il capitano», «il giudice», ecc. E’ impossibile prevedere quando questo gap linguistico sarà definitivamente superato, ma non c’è dubbio che anche in questo campo si stanno facendo progressi (evidenti per esempio nella lingua tedesca).
E nella Chiesa cattolica, come si presenta il rapporto uomo-donna nell’ambito delle strutture e dei vertici organizzativi? E soprattutto, è prevedibile un’evoluzione almeno analoga a quella che si osserva nella società civile? Non è facile rispondere a queste domande, ma qualche considerazione, il giorno della Festa della Donna, mi pare lecita. 

Il punto di partenza
Anzitutto credo che il punto di partenza debba essere la costatazione dell’infima rappresentanza femminile nella gerarchia ecclesiastica, nei processi decisionali a tutti i livelli, dalla parrocchia alla diocesi fino alla Curia romana, ma anche nell’amministrazione dei sacramenti. La donna non solo non ha ruoli importanti, ma sembra non averne affatto. La metà del Popolo di Dio non è adeguatamente rappresentata.
Le donne sono ancora in fondo alla scala dell’ordinamento ecclesiastico. Fino a un secolo fa esse non potevano prestare alcun servizio all’altare. Molto lentamente sono salite al primo gradino come Lettrici e ancor più lentamente sono state ammesse alla distribuzione della comunione. Per secoli è stata negata questa possibilità che pure era stata loro concessa, in alcuni casi, già nel VI secolo. Un concilio della stessa epoca aveva tuttavia proibito di ordinare diaconesse. .
Alle donne è ancora precluso il diaconato e proibito predicare la Parola di Dio dall’altare
In alcuni casi il ruolo delle donne nella Chiesa preoccupa persino il papa: «il ruolo del servizio a cui ogni cristiano è chiamato scivola, nel caso delle donne, a volte, nei ruoli più di schiavitù che di vero servizio» (papa Francesco, 2018). In altri casi, invece, (per esempio in Svizzera), la situazione appare leggermente migliore. La Chiesa, appoggiandosi alle aperture suggerite dal Concilio Vaticano II, ha promosso da diversi decenni la formazione teologica di uomini e donne coinvolgendo maggiormente gli uni e le altre nel servizio della pastorale.
I progressi della Chiesa in questo campo sono comunque inspiegabilmente lenti e occorrono talvolta non anni ma secoli per notarli. Osservando la storia «umana» della Chiesa anche solo degli ultimi cento anni è facile notare quanta poca strada ha fatto il principio consolidato in (quasi) tutte le società civili dell’uguaglianza tra uomo e donna sul piano delle decisioni e delle responsabilità.

Da Pio XI a Pio XII
Sono affermazioni importanti quelle fatte da Pio XI e da Pio XII, ma oggi non bastano. Pio XI (1922-1939), nell’enciclica Casti connubii (matrimonio casto) del 31.12.1930, sosteneva l’uguaglianza di diritti e di dignità tra marito e moglie (pur restando il marito il capo della famiglia!). Pio XII (1939-1958) non aveva dubbi: uomo e donna sono assolutamente uguali, pur nella diversità, per cui le donne devono partecipare allo stesso titolo degli uomini alla trasformazione della società. Oggi però non basta più riconoscere la grande dignità della donna nell’ambito familiare, nella società civile e nell’apostolato sociale. Si vorrebbe l’applicazione di questi principi anche all’interno della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II e le donne
Le donne aspirano, legittimamente, ad assumere maggiori compiti e responsabilità anche nella Chiesa, che sembra far fatica pure ad ascoltarle.
E’ sintomatico che nemmeno il Concilio Vaticano II (1962-1965), quello che ha manifestato sinora la maggiore apertura nei confronti del mondo civile e delle donne, abbia sentito il bisogno di associarle alle riflessioni e alle decisioni conciliari. Alle varie sessioni hanno partecipato non meno di 2300 maschi tra cardinali, vescovi e teologi, e appena 23 donne, di cui 10 suore e solo come uditrici, ossia senza diritto di parola.
Proprio durante il Concilio si levarono alcune voci di padri conciliari per chiedere che almeno si discutesse dell’ammissione delle donne al Lettorato, al Diaconato e persino al Sacerdozio. Non furono accolte se non in minima parte. Infatti da allora le donne, durante la celebrazione eucaristica, possono leggere, ma non annunciare il Vangelo e predicare, e possono distribuire la comunione, ma senza affiancare il celebrante come diacone.
Spesso questa esclusione è giustificata come «volontà di Cristo», argomentando che diversamente egli stesso avrebbe provveduto a chiamare attorno a sé anche donne come apostole. Pur col rispetto che si deve a eminenti teologi, mi pare un’argomentazione piuttosto debole per escludere le donne dal servizio divino sull’altare. Tanto è vero che negli anni ’70 l’insistenza delle richieste di discutere il tema in ambienti appropriati (specialmente nei sinodi pastorali) spinse alcuni vescovi a riconoscere la legittimità della questione perché, secondo loro, non esisterebbero ragioni teologiche contrarie, ma solo ragioni culturali superate.

Da Paolo VI a Benedetto XVI
Paolo VI (1963-1978) arrivò a dichiarare «Dottore della Chiesa» (si noti il «dottore») due donne, santa Teresa d’Avila e santa Caterina da Siena, ma non andò oltre nell’apertura alle richieste delle donne di poter accedere al diaconato e al sacerdozio, senza che questo, secondo lui, costituisse una minore dignità della donna rispetto all’uomo.
Giovanni Paolo II è stato ancor più esplicito, affermando nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (ordinazione sacerdotale) del 1994 che «l’ordinazione sacerdotale, mediante la quale si trasmette l’ufficio che Cristo ha affidato ai suoi apostoli di insegnare, santificare e governare i fedeli, è stata nella Chiesa cattolica fin dall’inizio sempre esclusivamente riservata agli uomini». Giovanni Paolo II non ha tuttavia emesso un verdetto definitivo al riguardo, anzi ha affermato che «la diversità dei ministeri nella Chiesa è un’esigenze vitale del corpo mistico, che ha bisogno di tutte le sue membra per svilupparsi e richiede il contributo di tutti, secondo le attitudini proprie di ciascuno».
Benedetto XVI, pur ritenendo che «la nostra fede e la costituzione del Collegio degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne», ha rivendicato maggiore spazio alle donne nella Chiesa e ha voluto chiarire (una volta per tutte?) che «non bisogna pensare che nella Chiesa l’unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia di essere sacerdote». Evidentemente aveva qualcosa di preciso in mente, ma non ha avuto l’opportunità di manifestarla e, soprattutto, la forza di realizzarla.

Aperture di papa Francesco
Ora si ripongono molte speranze in papa Francesco, che fin dagli inizi del suo pontificato ha invitato nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti». Due anni fa ha istituito un’apposita commissione sul diaconato delle donne, ma i risultati non sono ancora noti.
con forza la Chiesa a valorizzare maggiormente la donna non solo nella società ma anche nella comunità ecclesiale e «
Finora però anch’egli si è mosso nel solco della tradizione e non è dato sapere, almeno a chi scrive, se anche in lui manca la forza di rompere una tradizione o se questa forza non trova sufficiente sostegno nella «burocrazia» vaticana per esprimersi, oppure se la questione è ritenuta dal papa stesso così importante da richiedere il più ampio consenso possibile dei massimi rappresentanti del Popolo di Dio, i vescovi, attraverso un Concilio.

E le donne cosa fanno?
Credo che possano fare molto. Anzitutto sfruttando al massimo gli spazi che si sono aperti nelle comunità parrocchiali, nella stampa cattolica, nei media in generale, nella pastorale, esprimendo per quanto possibile tutti i loro carismi a sostegno del ministero sacerdotale e del vescovo. Potrebbero anche creare correnti di pensiero, con ricerche e approfondimenti anche teologici, per smuovere l’opinione pubblica ecclesiale in modo che ai vertici della gerarchia ecclesiastica giungano con voce unanime, sincera e ferma le loro richieste in qualità di membra della Chiesa animate dallo Spirito.
L’unica cosa che le donne non dovrebbero fare è rassegnarsi, stare ad aspettare o peggio ancora rinunciare a sperare.
Giovanni Longu
Berna, 07.03.2018

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