31 dicembre 2018

Auguri all’Italia e alla Svizzera


A ogni fine anno ci auguriamo tutti che quello nuovo sia diverso, migliore di quello che sta per chiudersi, pur sapendo che molte aspettative non si realizzeranno. E’ lecito, tuttavia, sperare che, in Italia e in Svizzera, almeno a due categorie di persone il 2019 cambi realmente la vita: i poveri e i giovani senza lavoro. L’Italia e la Svizzera sono Paesi ricchi, anche se la ricchezza non è equamente distribuita, che non dovrebbero tollerare di avere gruppi di popolazione al di sotto della soglia di povertà e giovani alla ricerca disperata di un lavoro. L’augurio che vi rimedino con coraggio, determinazione e senso di giustizia va dunque a entrambi i Paesi, a prescindere dalla diversa proporzione dei problemi.

Eliminare o ridurre la povertà
Nessuno, credo, può accettare che in un Paese ricco come l’Italia esistano sacche di povertà come quelle che il Rapporto Caritas 2018 mette in evidenza. Se l’indigenza, l’incapienza, la totale dipendenza dall’assistenza pubblica e privata sono una triste realtà, mi pare evidente che le prime risorse disponibili dello Stato dovrebbero essere destinate a risolvere queste difficoltà sociali. In Svizzera questi problemi sono meno acuti, ma non inesistenti e, se è giusto reprimere gli abusi dei falsi invalidi e dei falsi indigenti, è ancor più giusto che la politica non lasci ai margini della prosperità i più deboli (cfr. Preambolo della Costituzione federale).
Vale in generale, credo, l’osservazione di Civiltà Cattolica in un recente articolo sulla «Povertà in Italia oggi», in cui si dice che «si tratta di un fenomeno per definizione negativo, la cui stessa esistenza costituisce un atto di accusa nei confronti di ogni società e di ogni governo che non riesca a eliminarlo o almeno a contenerlo».
Non credo che il «reddito d’inclusione» del precedente governo e il «reddito di cittadinanza» di quello attuale siano risolutivi, ma nella misura in cui contribuiscono a superare l’emergenza sono misure certamente utili. La via maestra per eliminare la povertà resta comunque il lavoro e la preparazione a una vita professionale dignitosa e moderna.

Ridurre la disoccupazione giovanile
L’altra categoria di persone a cui il 2019 è auspicabile che cambi la vita è costituita dai giovani in età lavorativa che non riescono a trovare un’occupazione conforme alle loro capacità. Anche questo problema dovrebbe essere risolto con assoluta priorità non solo per ciò che rappresenta il lavoro e la realizzazione professionale per ogni individuo, ma anche per la sua importanza sociale.
Spesso si dimentica che la disoccupazione giovanile, nelle sue proporzioni abnormi come in Italia, è uno degli elementi che più contribuisce all’impoverimento della popolazione e alla creazione di forti differenze regionali nella distribuzione della ricchezza e del benessere. Ben a ragione il Rapporto della Caritas menzionato sopra mette in evidenza che spesso all’origine della povertà materiale c’è una «povertà educativa» dovuta a carenze nella formazione.
In questo Osservatorio ho più volte sottolineato che la chiave della prosperità in tutte le società moderne (e specialmente in quella svizzera) sta nella preparazione scolastica e professionale dei giovani e che la disoccupazione giovanile eccessiva è un dramma inaccettabile per chi ne è vittima e uno scandalo per qualsiasi governo.
Qualche anno fa, lo storico franco-svizzero François Garçon dedicò un libro al sistema della formazione in Svizzera, intitolato «Formation: l’autre miracle suisse». Secondo lui la formazione svizzera rappresenta un’eccellenza, a cui «gli altri Paesi dovrebbero ispirarsi». Non so se l’Autore pensava anche all’Italia quando scrisse il libro, ma forse sì, perché ricorda di averlo iniziato, nel 2012, «quando in Italia il tasso di disoccupazione dei giovani di meno di 25 anni era del 32%, cifra drammatica che conduce ogni società alla sua disgregazione», mentre in Svizzera la disoccupazione dei giovani dai 15 ai 24 anni era 3,5%. L'Italia dovrebbe e potrebbe fare molto di più per ridurre questa piaga soprattutto del Mezzogiorno. Gli ultimi governi, compreso l'attuale, mi danno l'impressione di fare troppo poco e, forse, non solo per carenza d'idee. 

Auguri Italia, auguri Svizzera
C’è da augurarsi che l’Italia sappia affrontare con coraggio e lungimiranza almeno i problemi a cui ho accennato e che la Svizzera sappia conservare i valori che le garantiscono ormai da decenni il benessere e lo sviluppo. Non c’è dubbio, però, che i problemi si possano risolvere più facilmente e i valori siano meglio garantiti se tanto l’Italia quanto la Svizzera riusciranno a trovare nell’Unione europea un quadro di riferimento confacente e sicuro, pur nella consapevolezza che si tratti di una istituzione sempre migliorabile, col contributo di tutti.
Buon 2019, Italia e Svizzera
Giovanni Longu
Berna, 31 dicembre 2018

14 dicembre 2018

Gruppo Arte di Berna: mezzo secolo di attività


In questi giorni il Gruppo Arte della Casa d’Italia di Berna festeggia il suo 50° di fondazione. Mi associo a quanti si complimentano con questa istituzione perché da 50 anni continua a testimoniare con opere artistiche talvolta di pregio che il contributo degli italiani immigrati allo sviluppo di questo Paese non è dato solo dalla fatica del lavoro fisico, ma anche da altre prestazioni di carattere intellettuale, inventivo, creativo, artistico, sportivo, umanistico.

Negli anni Ottanta il Gruppo Arte pubblicava
«La Cornice», un interessante trimestrale
d'informazione artistico-culturale.
L’affermazione artistica del Gruppo Arte sul finire negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso fu particolarmente significativa perché allora gli immigrati erano visti quasi esclusivamente come forza lavoro. Nemmeno uno dei massimi scrittori svizzeri come Max Frisch riuscì a far comprendere che i lavoratori stranieri non erano solo braccia ma veri uomini e donne con i loro problemi e i loro talenti («abbiamo chiamato braccia… e vennero uomini»).
Il Gruppo Arte non è sorto per sostenere una tesi ideologica a favore del carattere talentuoso di molti immigrati contro le iniziative xenofobe di quegli anni e tutti i tentativi di minimizzare il loro contributo allo sviluppo del Paese, ma è nato per aggregazione spontanea tra persone che avevano una certa familiarità e facilità con l’uso di pennelli o scalpelli, di colori e di forme per assecondsare quella che comunemente si chiama «ispirazione». 
L’ideatore e fondatore  del Gruppo Arte, Ruggero Zambon, disse una volta che se un artista, nonostante le eccellenti capacità d’esecuzione, non trova l’ispirazione adatta, è meglio che smetta di ricercarla. Infatti, quando c’è essa viene da sola e, se non viene, meglio smettere.
Il fatto che il Gruppo Arte festeggi i suoi primi 50 anni e continui ad organizzare esposizioni collettive (attualmente alla Casa d’Italia di Berna) vuol dire che l’ispirazione è ancora presente e attiva. Buon segno, di fronte all’ecatombe di gruppi e associazioni nel frattempo sorte e scomparse, perché l’espressione artistica, anche se a livello amatoriale, dà all’esistenza una dimensione superiore, come l’eterno richiamo del bello.

Pertanto, al Gruppo Arte, un sincero augurio di doppiare sempre in bellezza l’anniversario di quest’anno, tramandando le buone pratiche e la testimonianza di un’italianità multiforme e ispirata.
Berna, 14 dicembre 2018
Giovanni Longu

05 dicembre 2018

Svizzera, un Paese (quasi) normale


La giornata odierna (5 dicembre 2018) sarà iscritta negli annali della Svizzera come una data storica nel processo di avvicinamento alla «normalità» nell’occupazione delle alte cariche dello Stato tra uomini e donne. 
Marina Carobbio Guscetti


 Qualche giorno fa Marina Carobbio Guscetti, espressione della minoranza linguistica e culturale italiana, è stata eletta Presidente del Consiglio nazionale, diventando così la prima cittadina della Svizzera. Oggi, in sostituzione di un consigliere federale (Johann Schneider-Amman) e di una consigliera federale (Doris Leuthard) l’Assemblea federale ha eletto per la prima volta contemporaneamente due donne (Viola Amherd e Karin Keller-Sutter), contribuendo così a portare la quota rosa nel Governo della Confederazione (da sempre composto di sette membri) vicino alla parità. Nel 2010-2011 le donne erano addirittura  in maggioranza, segno che ormai, a livello di esecutivo federale la «normalità può dirsi ormai raggiunta.
Viola Amherd
A dire il vero, in quasi tutti gli esecutivi, federale, cantonale e comunale, la partecipazione delle donne è divenuta ormai quasi «normale». Non altrettanto si può dire invece dei legislativi ai vari livelli, dove spesso le donne sono nettamente sottorappresentate. L’esempio dato oggi dall’Assemblea federale dovrebbe indurre l’elettorato a tutti i livelli ad eleggere anche negli organi legislativi un numero di donne che quantomeno si avvicini alla parità.
Karin Keller-Sutter
Le due elette, nel discorso di accettazione, hanno entrambe sottolineato l’importanza della concordanza tra tutti i membri del Consiglio federale per la soluzione dei problemi del Paese, dando così un ulteriore contributo alla «normalità» nella gestione della cosa pubblica, conformemente al dettato costituzionale secondo cui «il Consiglio federale decide in quanto autorità collegiale» (art. 177, cpv. 1).
Ueli Maurer
Un bell’esempio hanno dato le neoelette anche nel sapersi esprimere, pur con qualche sforzo, nelle quattro lingue nazionali, così da rappresentare una Confederazione che rispetta le varie componenti linguistiche e culturali del Paese. Un bell’esempio, però, non sempre seguito dalle alte cariche dello Stato.
Infine, mi piace ricordare che quest’oggi è stato eletto anche il Presidente della Confederazione per il 2019 nella persona del consigliere federale Ueli Maurer, appartenente originariamente all’Unione democratica di centro, un partito che ancora oggi è associato ai movimenti della destra europea e qualche volta anche ai movimenti xenofobi. Evidentemente l’Assemblea federale ha tenuto conto non tanto dell’orientamento originario dell’interessato, quanto delle sue capacità e qualità personali, eleggendolo addirittura con un voto quasi plebiscitario, 201 voti su 209 schede valide. Anche in questa elezione, mi pare, la Svizzera ha dimostrato di essere un Paese «normale».
Alle neoelette e al neoeletto tanti auguri di buon lavoro.
Giovanni Longu
Berna, 5.12.2018

Italia: collaborazione e formazione per superare la crisi


L’Italia sembra in perenne campagna elettorale, stando almeno ai toni della polemica politica. Le contrapposizioni tra maggioranza e opposizioni sembrano inconciliabili, anche là dove sarebbe auspicabile un’intesa, come il risanamento dei conti pubblici, il rilancio dell’economia, la creazione di nuovi posti di lavoro, la riforma del sistema di formazione scolastica e professionale. Un breve viaggio in Italia mi ha confermato recentemente che grava su moltissimi italiani, soprattutto al sud, un pesante senso di rassegnazione e di disperazione perché i problemi reali non vengono nemmeno discussi con la serietà che meritano e le speranze di soluzioni adeguate si allontanano. La schiera dei delusi dell’attuale governo aumenta, come quella di chi pensa seriamente ad emigrare.

Grave sottovalutazione dei rischi
Penso che nemmeno la maggioranza che sostiene il governo si renda ben conto della gravità dei problemi dell’Italia di oggi, ormai a rischio di diventare il fanalino di coda dei Paesi dell’Unione europea (UE). Il governo dovrebbe stare più in ascolto non solo dei suoi sostenitori, ma anche delle opposizioni e dei «burocrati» di Bruxelles. Tutti, in fondo, vogliono per l’Italia di oggi e di domani soluzioni efficaci e nessuno si augura che la situazione peggiori.
Invece il governo sembra arroccarsi cocciutamente nelle proprie posizioni, che considera irrinunciabili perché, dicono i principali esponenti della maggioranza, approvate dal popolo, pur sapendo che gli elettori di ogni orientamento eleggono deputati e senatori sperando che risolvano i loro problemi reali. Di fatto le contrapposizioni ideologiche e politiche stanno bloccando l’Italia che avrebbe un disperato bisogno di uscire dalla crisi in cui si sta pericolosamente avvitando: rallentamento della crescita, crisi occupazionale, fossati che si allargano tra nord e sud, tra ricchi e poveri, tra società civile e società politica, rischio d’isolamento in Europa, scarsità d’investimenti e capitali in fuga, denatalità, emigrazione in aumento, ecc.
Un maggior senso di responsabilità dovrebbe indurre il governo ad accettare la collaborazione e i suggerimenti che giungono dalle opposizioni e dall’UE. Invece che con slogan (tipo: governo del popolo, governo del cambiamento, è finita la pacchia) e frasi che si vorrebbero ad effetto (tipo: è finito il tempo dei burocrati di Bruxelles, noi tiriamo orgogliosamente diritto …) il governo dovrebbe ascoltare attentamente e parlare col linguaggio della verità e dei fatti.

Rilancio dell’economia
Non ho titolo per suggerire al governo italiano ciò che deve fare in questo momento, ma non posso negare l’inadeguatezza dei provvedimenti che intende adottare per rilanciare l’economia, ma so per certo che per far ciò occorre stanziare investimenti significativi (in euro, non a parole), favorire la competitività delle imprese, ridurre il costo del lavoro, semplificare e modernizzare i processi di supporto della pubblica amministrazione, rivedere la fiscalità delle imprese.
Siccome le risorse disponibili sono alquanto limitate (e non ha senso aumentare il debito pubblico per disporne di più!) sarebbe ora che il governo s’impegnasse con la stessa fermezza che dimostra in altri campi (probabilmente meno urgenti come la sicurezza e i migranti) per ridurre considerevolmente l’evasione fiscale, praticata ormai spudoratamente da piccoli imprenditori, artigiani, professionisti, ristoratori, albergatori … perché la chiedono i consumatori! Là vanno trovate prioritariamente le risorse mancanti, ma non troverei scandalosa nemmeno una patrimoniale sui grandi capitali.

Investire soprattutto nelle risorse umane
Il rilancio dell’economia favorirebbe l’occupazione e non ci sarebbe bisogno del reddito di cittadinanza. Sono convinto che le ingenti somme previste per questo provvedimento (fatta salva la quota destinata all’assistenza dei bisognosi e degli inoccupabili) sarebbero meglio investite nelle imprese che davvero provvedessero alla riqualificazione professionale dei nuovi assunti ex-disoccupati.
Nessuna economia moderna può sopravvivere alla concorrenza internazionale sempre più agguerrita senza investire massicciamente nelle risorse umane. La formazione professionale strutturata e aperta alle specializzazioni e alla formazione continua dovrebbe essere il principale investimento per garantire un buon livello competitivo e sostenibile all’economia italiana. Se ne rendono conto il governo Conte e la sua maggioranza?
Giovanni Longu
Berna, 5 dicembre 2018

28 novembre 2018

150 anni di «amicizia» italo-svizzera: 5. Intervista all'Ambasciatore d'Italia Del Panta


In occasione del 150° anniversario del Trattato di amicizia tra la Svizzera e l’Italia, fondamentale per lo sviluppo delle relazioni bilaterali in materia di emigrazione/immigrazione tra i due Paesi, ho chiesto all’Ambasciatore d’Italia in Svizzera S.E. Marco Del Panta Ridolfi, molto attento alle condizioni della collettività italiana e agli sviluppi dell’italianità in questo Paese, di fare il punto della situazione sui rapporti italo-svizzeri.
 
Marco Del Panta Ridolfi,
ambasciatore d’Italia in Svizzera
 1.     Quest’anno ricorre il 150° anniversario della firma del Trattato di amicizia italo-svizzera (Berna 22 luglio 1868). Secondo Lei, Signor Ambasciatore, l’amicizia italo-svizzera è ancora solida?

La Svizzera è un Paese “amico” per la vicinanza geografica (abbiamo in comune oltre 740 km di frontiera), ma soprattutto perché condividiamo una lingua, alcuni importanti interessi strategici e le stesse visioni sui grandi temi globali (democrazia, rispetto dei diritti umani, ambiente e sviluppo sostenibile).

2.     In quali settori si è maggiormente sviluppata l’amicizia italo-svizzera?

Soprattutto in tre settori. In campo economico la Svizzera è un partner commerciale molto importante per l’Italia: la Confederazione è il 5° mercato d’esportazione per i prodotti italiani dopo la Germania, la Francia, gli USA e il Regno Unito ed è al 9° posto tra i fornitori. L’Italia è invece il 4° mercato d’esportazione per la Svizzera ed è al 2° posto tra i fornitori. 
Dal punto di vista culturale è molto forte l’impegno dell’Italia nella diffusione della lingua italiana, visto che l’italiano in Svizzera è una lingua nazionale. Abbiamo qui circa 1000 corsi gestiti dai vari enti presenti sul territorio.
Anche nel campo politico l’amicizia tra la Svizzera e l’Italia si basa su un complesso corpus di trattati e su regolari incontri bilaterali a livello di Governo e di Amministrazione. Inoltre esistono contatti istituzionalizzati tra i due Parlamenti. Tra i temi maggiormente presenti nelle discussioni bilaterali posso menzionare il dialogo in ambito fiscale e finanziario, la cooperazione nella politica energetica e dei trasporti nonché lo sviluppo delle infrastrutture e la cooperazione transfrontaliera.

Berna, residenza dell’Ambasciatore d'Italia in Svizzera
3.     Si può dire che la visione e le prospettive del 1868 sono oggi pienamente realizzate? Quale settore potrebbe essere ulteriormente sviluppato?

La collaborazione italo-svizzera, già attiva grazie ai trattati del 1868, è oggi ancora più fiorente grazie agli accodi bilaterali tra la Confederazione e la UE, perché la Svizzera, sebbene non faccia parte della UE, anche per la sua posizione geografica non può farne a meno. Naturalmente gli sviluppi sono possibili in tutti i settori. Se dovessi indicarne uno in particolare menzionerei quello dell’attrazione degli investimenti, nelle due direzioni.

4.     Oggi un «secondo» di origine italiana, Ignazio Cassis, è consigliere federale e molti «secondi» occupano posizioni elevate nella vita politica, economica, sociale, culturale della Svizzera. Quanto ha contribuito a questa riuscita la politica d’integrazione praticata dalla Confederazione e sostenuta anche dall’Italia?

Naturalmente ci rallegriamo per la nomina al Consiglio federale di Ignazio Cassis, un esponente politico di rilevo proveniente dal Ticino ed italofono. Del resto, anche altri “secondi” di origini non italiane hanno raggiunto posizioni elevate in Svizzera. La buona politica d’integrazione praticata dalla Confederazione soprattutto negli ultimi 30/40 anni vi ha indubbiamente contribuito. Come ricorda lei stesso, tale politica di integrazione è stata attivamente sostenuta anche dall’Italia.

5.     Dal 1991 a oggi circa 125.000 italiani hanno acquisito la cittadinanza svizzera. Negli ultimi decenni le naturalizzazioni concernono circa 5000 italiani l’anno. Ci sono da parte italiana iniziative volte al rafforzamento del legame degli italiani con l’Italia?

Anzitutto, il fatto che tanti italiani richiedano la naturalizzazione indica che si sono ben integrati. Secondo i dati più aggiornati, dei 635.000 italiani residenti, la metà ha anche la cittadinanza elvetica. L’Italia s’impegna molto per mantenere vivo e forte il legame con la madrepatria, ma al tempo stesso mette a punto programmi e progetti volti a favorire l’integrazione della migrazione vecchia e nuova nel contesto sociale locale. Sotto il primo aspetto, citerei senz’altro gli eventi culturali organizzati dall’Ambasciata, dai consolati e dall’Istituto italiano di Cultura e naturalmente i corsi di lingua (che tuttavia noi auspichiamo vengano fruiti anche dai non italiani e dagli svizzeri). Sotto il secondo aspetto, segnalo le molte iniziative condotte in collaborazione con i vari COMITES per favorire l’inserimento in Svizzera dei nuovi arrivati, per esempio le informazioni pratiche su come trovare casa e lavoro e i corsi di lingua tedesca e francese.

6.     Gli italiani hanno contribuito notevolmente alla diffusione dell’italiano in Svizzera e, come Lei ha detto, l’Italia fa ancora molto in questo campo. E’ possibile sviluppare ulteriori sinergie a sostegno della lingua italiana soprattutto nella Svizzera tedesca e francese?

Dal 1872, gli italiani sono stati i principali protagonisti
dei grandi trafori ferroviari in Svizzera
Fin dal mio arrivo, ho basato la nostra azione di diffusione della lingua italiana sulle sinergie e la collaborazione con le Autorità svizzere. Questo è l’unico Paese al mondo nel quale non possiamo agire da soli in questo campo. A distanza di quasi tre anni dal mio arrivo, ritengo che sinergie e collaborazioni siano nate e stiano dando frutti. Lo scorso anno, in occasione dell’ultima riunione della Commissione culturale consultiva italo-svizzera si è deciso di creare un gruppo di lavoro congiunto per la diffusione dell’italiano. Noi mettiamo a disposizione i nostri strumenti (corsi di lingua, sezioni bilingue) e la Confederazione i propri (qualche finanziamento, il coordinamento di certe azioni cantonali). Poi ho dato incarico ai Consoli di avviare contati con i singoli Cantoni di rispettiva competenza per sviluppare iniziative scolastiche bilingui a beneficio sia degli studenti italiani sia di quelli svizzeri interessati a perfezionare una lingua nazionale.

7.     In questi 150 anni l’immigrazione italiana ha dato un contributo notevole anche allo sviluppo generale di questo Paese. Continua a darlo anche oggi?

Sì, sicuramente l’immigrazione italiana ha contribuito nel tempo alla crescita e alla prosperità di questo Paese. Tale contributo continua anche oggi, sebbene nel corso degli anni sia mutata la composizione sociale degli immigrati. Oggi agli operai e ai lavoratori meno qualificati si sono sostituiti professionisti, ricercatori, dirigenti e manager.

8.     La collettività italiana della Svizzera è un bell’esempio d’integrazione. Può essere preso in considerazione dall’Italia di oggi, confrontata con problemi d’integrazione analoghi, per certi versi, a quelli della Svizzera nel secondo dopoguerra?

Vi sono certamente similitudini tra le due situazioni ma anche differenze sostanziali. L’Italia può prendere esempio dalla politica d’integrazione della Svizzera, ma non credo che il “modello svizzero” possa essere replicato sic et simpliciter da noi. Gli immigrati che accogliamo ogni anno fuggono da guerre e persecuzioni, oppure compiono un lungo viaggio da Paesi e continenti lontani in cerca di un futuro migliore. Uno scenario ben diverso da quello che ha dovuto affrontare la Svizzera a suo tempo. Ecco perché a mio avviso lo sforzo e il costo dell’integrazione che l’Italia si trova a dover affrontare è diverso in termini quantitativi e qualitativi.

9.     Come vede il futuro delle relazioni italo-svizzere?

Credo che anche in futuro le relazioni italo-svizzere non devieranno dalle linee guida seguite finora e troveranno nel quadro della politica d’integrazione europea ulteriori possibilità di sviluppo, tenendo sempre presente anche l’interesse della collettività italiana qui residente. Questo è anche il mio auspicio.