30 agosto 2017

Migranti, responsabilità e il richiamo di Mattmark



Migranti, immigrazione, emigrazione sono parole pesanti, difficili da comprendere e purtroppo abusate quotidianamente. In Italia, anche sui media, si parla spesso dei migranti come se fossero degli alieni che «ci invadono» per portarci via qualcosa che ci spetta. Si stenta a considerarli «umani». Persino quando delinquono sembrano non appartenere ai delinquenti comuni. Per loro si vorrebbe sempre una punizione esemplare, possibilmente a furor di popolo. La loro appartenenza alla razza umana interessa poco, conta di più la loro provenienza e come sono giunti in Italia.

Violenza verbale: e il contesto?
Non mi meraviglio più della violenza verbale usata in numerosi commenti non solo di fronte a reati gravi, sui quali non si può transigere, ma anche a bagatelle. Mi meraviglio invece sempre più che non si cerchino mai, seriamente, le vere cause dell’emigrazione forzata, non se ne individuino i responsabili e non li si condanni con la severità che meritano. Si sorvola, in numerose analisi superficiali, che gran parte dei profughi o migranti economici in fuga da condizioni materiali e sociali disastrose, provenga da Paesi dove regna oltre alla miseria la corruzione, dove le risorse sono mal utilizzate (si pensi agli armamenti acquistati dall’Occidente!) e dei quali ci si guarda bene d’indicare i protettori.
Molti commentatori si limitano ai fatti, veri o presunti (fino alla definitiva condanna), senza approfondire mai il contesto, non solo quello di provenienza ma anche quello di arrivo. Sia ben chiaro, i reati vanno sempre perseguiti e puniti, ma agli sbarcati va anche insegnato appena mettono piede in Italia, che in questo Paese vigono leggi, regolamenti e tradizioni che vanno rispettati. Si può davvero dare per scontato che l’Italia ha una politica d’accoglienza e d’integrazione chiara, seria ed efficace?
Credo che a dare giudizi affrettati e superficiali sui migranti, su quelli che delinquono e su quelli che sono ancora alla ricerca di una sistemazione, siano soprattutto persone che dalla realtà migratoria non sono mai state, buon per loro, nemmeno sfiorate. Non conoscono la storia dell’emigrazione italiana. Non sanno o fanno finta di non sapere che nessuno emigrerebbe, tanto meno affidandosi a scafisti senza scrupoli e mezzi navali insicuri, se stesse bene al proprio Paese. Si emigra, quasi sempre, per necessità o quanto meno per il desiderio di migliorarsi, un desiderio nobilissimo e rispettabilissimo.
Il discorso sui nuovi immigrati, migranti, profughi, richiedenti l’asilo o comunque si voglia chiamare questi fuggitivi dalla miseria o dal terrore, sarebbe diverso se chi ne parla avesse conosciuto da vicino anche se non in prima persona la realtà migratoria. Fatta eccezione per i pochi «invitati» e per quanti sanno in partenza che il loro arrivo è auspicato (ricercatori, professori, specialisti, intellettuali, imprenditori, ecc.), per la stragrande maggioranza dei migranti la realtà migratoria è spesso ancora dura da accettare e da sopportare. Nonostante le leggi, le tutele, le attenzioni, agli emigranti toccano quasi sempre i lavori più sporchi, più pesanti e più rischiosi. Si dirà che oggi gli immigrati corrono meno pericoli sul lavoro di un tempo ed è vero, ma non si può negare che per loro le condizioni sono sempre più difficili.
Il richiamo di Mattmar
Mi vengono questi pensieri pensando alle vittime di Mattmark, che 52 anni fa, il 30 agosto 1965, furono travolte da una valanga di ghiaccio e detriti di proporzioni enormi. In Svizzera, nel Cantone Vallese, mentre si stava costruendo una grande diga, all’improvviso si staccò una parte molto consistente del ghiacciaio sovrastante il cantiere, distruggendolo completamente e uccidendo 88 lavoratori, di cui 56 italiani. Erano immigrati, giunti in Svizzera per lavorare, sognando una vita migliore. Per loro l’emigrazione fu fatale.
Subito dopo la disgrazia furono avviate inchieste, allestiti processi, si aprì un ampio dibattito pubblico e politico che portò a migliorare ulteriormente la sicurezza dei cantieri. Si ebbe il coraggio di denunciare i carenti sistemi di sicurezza delle imprese, i carenti sistemi di controllo da parte delle autorità e dei sindacati, ma anche la politica immigratoria della Svizzera, poco attenta agli aspetti umani degli immigrati, e la politica emigratoria dell’Italia, interessata soprattutto ad allentare la pressione sociale e le condizioni di precarietà di molti cittadini, venendo meno clamorosamente a tante promesse fatte.
Forse, anche di fronte alle disgrazie «migratorie» di oggi, varrebbe la pena di protestare e denunciare tutto, ma veramente tutto ciò che impedisce di riportare alla «normalità» un fenomeno che è mondiale, che è soprattutto «umano», senza troppe distinzioni o regolamenti, che tocca sempre più persone. L’emigrazione esige soprattutto solidarietà e un po’ più di rispetto. Mattmark è un richiamo.
Giovanni Longu
Berna, 30 agosto 2017