12 luglio 2017

«Migranti», un’opportunità per l'Italia e per l'UE



La discussione sui «migranti» si fa sempre più accesa e confusa in Italia e nell’Unione europea (UE). La prima rischia di essere sopraffatta dalla marea degli arrivi e soprattutto dalle esigenze successive alla prima accoglienza. L’UE è bloccata dagli egoismi nazionalisti di molti suoi membri per cui non riesce a darsi una politica comune in materia d’asilo e ancor meno in materia d’immigrazione e d’integrazione. Anche la terminologia indica grande confusione, perché si parla quasi indifferentemente di migranti, immigrati, profughi, disperati, rifugiati, clandestini, irregolari, richiedenti l’asilo, soccorso (in mare), sbarchi, invasione, accoglienza (nei porti di sbarco), respingimento, ricollocazione, smistamento, mentre sono quasi completamente assenti nei media termini fondamentali come rispetto, protezione,  accoglienza (umana e cristiana), solidarietà, giustizia, generosità, integrazione, formazione, aiuto (finanziario) al ritorno delle persone interessate a rientrare volontariamente
nel proprio Paese, ecc.

Dov’è la solidarietà europea?
Profughi-migranti: come e dove aiutarli?
Le cronache sui salvataggi in mare e sugli sbarchi delle persone salvate sono quotidiane. Dopo la chiusura della cosiddetta «rotta balcanica» ad opera della Turchia (grazie a un ingente contributo finanziario dell’UE) la «rotta libica» dei barconi in partenza dalle coste della Libia e a rischio di naufragio (che per altro sono frequenti) è quella maggiormente seguita. Il principale se non l’unico approdo delle navi di soccorso è l’Italia, che rischia però di non riuscire ad accogliere tutte le persone salvate e già si parla di «emergenza immigrazione».
Di fronte agli arrivi inarrestabili, l’Italia ha chiesto inutilmente la solidarietà dell’UE. Le è stata assicurata a parole, persino con grandi elogi per lo sforzo che sta facendo nell’accogliere così tanti «migranti», ma non coi fatti (anche perché, a quanto sembra, è stata l’Italia a chiedere e ottenere che i migranti arrivassero tutti in Italia). I Paesi dell’Europa meridionale Francia e Spagna, che potrebbero alleggerire il carico dei porti italiani, hanno fatto sapere che i loro porti non sono disponibili per questi carichi umani.
La debolezza dell’UE è palese perché non riesce a imporre a tutti i suoi membri nemmeno un comportamento omogeneo in materia di prima accoglienza (anzi consente di erigere ingiustificate barriere), ma soprattutto perché non sembra in grado di elaborare e attuare una politica comune d’immigrazione e d’integrazione. L’onere della prima accoglienza di questa massa umana che fugge da Paesi massacrati dal sottosviluppo e dalla miseria (per lo più ex colonie dell’opulento Occidente!) è lasciato prevalentemente all’Italia.
La situazione «migratoria» italiana rischia di diventare ingestibile non perché «l’invasione dei migranti» sia una specie di calamità naturale, ma perché questo Paese di lunghissima esperienza emigratoria, sembra non averne alcuna immigratoria (nonostante siano almeno quarant’anni che gli immigrati, regolari e irregolari, arrivino in Italia). In questo ampio lasso di tempo non ha mai provveduto a elaborare un’articolata politica immigratoria, fatta sì di accoglienza ma soprattutto d’integrazione e di formazione sociale e professionale. Le uniche alternative che trovano eco sui media sembrano essere «chiudiamo le frontiere» (come vorrebbe la Lega) o «aiutiamoli a casa loro» (perché, sostiene Matteo Renzi, «noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli»). Cinismo? Miopia? Forse l’uno e l’altra.

Un’opportunità per l’Italia e l’UE
Chi scrive non ha evidentemente alcuna soluzione del problema da proporre, ma ritiene che essa debba esistere perché l’Europa dalle radici cristiane, costituita in parte da ex Paesi coloniali (!), ricca e con un grande potenziale di ulteriore sviluppo non può rassegnarsi a veder morire in mare esseri umani in cerca di aiuto o condannarli al loro destino respingendoli.
Al punto in cui si è giunti la soluzione va comunque trovata a livello europeo, sia intervenendo nei Paesi di provenienza dei «profughi» (perché tali sono coloro che vengono soccorsi in mare) con un progetto di sviluppo massiccio tipo «piano Marshall» e sia elaborando ed attuando in Europa una politica coordinata di accoglienza prima e d’integrazione dopo.
Purtroppo ci si è limitati finora nei vari Paesi, ma soprattutto in Italia, ad organizzare la prima accoglienza dei profughi, la loro identificazione e la loro classificazione (sperando di poterne riaccompagnare qualcuno al loro Paese e smistarne il più possibile nel resto d’Europa), ma non si è pensato al dopo. Manca a livello europeo un’autentica politica immigratoria e un’efficace politica d’integrazione, almeno per quella parte di profughi-immigrati che desidera restare per un tempo più o meno lungo in un Paese europeo.
Quanto alla politica d’immigrazione bisognerebbe partire da una osservazione facilmente verificabile: tutti i grandi Paesi (almeno quelli del G20) sono stati Paesi d’immigrazione. Tutti debbono in qualche misura la loro prosperità all’immigrazione. Perché l’UE non pensa a un proprio rilancio cogliendo questa straordinaria opportunità, sia pure governando meglio (non respingendo) i flussi immigratori?
Una delle condizioni perché questa opportunità si trasformi in prosperità reale è tuttavia una efficace politica d’integrazione e di formazione. Vivo in un Paese d’immigrazione, la Svizzera, che deve il proprio sviluppo e benessere anche al contributo di milioni di immigrati, e posso assicurare che almeno dagli anni Settanta del secolo scorso questo Paese ha sviluppato un’efficiente politica d’integrazione linguistica, sociale e professionale. Il risultato, il benessere raggiunto, è abbastanza evidente.
Giovanni Longu
Berna, 12.7.2017