28 giugno 2017

La cittadinanza «jus soli» non è prioritaria



I media italiani hanno affrontato e continuano ad affrontare il tema della cittadinanza «jus soli» senza riuscire, a mio parere, nemmeno a chiarire all’opinione pubblica i termini del problema. La questione è tutt’altro che semplice e proprio per questo andrebbe affrontata in maniera oggettiva, evitando gli scontri ideologici, ma soprattutto chiara. Nei media regna invece grande confusione perché da molti resoconti non risulta evidente se la cittadinanza spetterà «di diritto» (ossia automaticamente) agli stranieri nati sul territorio nazionale (jus soli) o verrà loro concessa a precise condizioni, per esempio, se la loro integrazione nella società italiana è provata, se anche i loro genitori o chi ne fa le veci risultano integrati e rispettosi delle leggi italiane, se ne faranno richiesta, ecc.

Il diritto di cittadinanza non va sopravvalutato
Anzitutto, in questa discussione, bisognerebbe cercare di stare al tema, evitando di introdurre argomenti e pregiudizi riguardanti l’intera problematica degli stranieri, soprattutto quella relativa ai nuovi «immigrati», ai profughi e ai richiedenti l’asilo. Il disegno di legge di modifica della legge sulla cittadinanza del 1992, attualmente in discussione al Senato, non ha infatti nulla a che vedere con l’accoglienza dovuta ai profughi o con i diritti che spettano ai richiedenti l’asilo. Esso riguarda unicamente lo stato giuridico degli stranieri di «seconda generazione», i figli, cioè, di stranieri già stabiliti in Italia e ritenuti integrati.
Andrebbe anche evitato, a mio parere, di esagerare la portata della novità che si vorrebbe introdurre nell’ordinamento della cittadinanza italiana, perché se non venisse accettata non priverebbe lo straniero di alcun diritto fondamentale che gli spetta in quanto persona umana e se invece venisse approvata aggiungerebbe a un certo numero di stranieri, soprattutto se nati in Italia, solo il godimento dei diritti politici, da non sottovalutare, ma nemmeno da ritenere di per sé indispensabili alla loro riuscita sociale e professionale.
Perché, dunque, il tema della cittadinanza agli stranieri è tanto controverso? A mio parere lo è per due ragioni. La prima perché è facile da strumentalizzare e la seconda perché effettivamente attorno al tema si fa tanta confusione. 

Evitare le controversie strumentali
Soprattutto in alcuni ambienti politici è facile vedere nel provvedimento legislativo che si sta discutendo una sorta di regalo agli stranieri in vista di un tornaconto elettorale alle prossime votazioni. Alcuni politici e giornalisti sono convinti che in questo modo la cittadinanza verrebbe per così dire «regalata» e finirebbe per dare «privilegi rimarchevoli ai migranti, compresi i clandestini e i criminali». Non sono ovviamente in grado di elencare anche solo un privilegio che i nuovi cittadini avrebbero rispetto ai cittadini figli di cittadini, ma sono convinti che prima di pensare agli stranieri lo Stato dovrebbe pensare a risolvere i problemi dei cittadini, specialmente di quelli più poveri, disoccupati, precari, senza casa, ecc.
La seconda ragione che divide l’opinione pubblica (e politica) sul tema dello «jus soli» è proprio l’uso o piuttosto l’abuso di questa espressione latina, di cui gran parte degli italiani non conosce il significato e la cui traduzione «diritto del suolo» non aiuta granché. A mio parere andrebbe evitata, soprattutto da politici e giornalisti, anche perché nel disegno di legge in discussione quell’espressione non compare. Essa è fuorviante perché può indurre facilmente a pensare che la modifica, se venisse approvata, introdurrebbe una nuova modalità per ottenere facilmente la cittadinanza: la nascita dello straniero nel territorio della Repubblica.
Basterebbe leggere per intero la frase più importante del disegno di legge di modifica per rendersi conto che non basterà nascere in Italia per essere cittadino italiano. La frase che andrebbe a completare l’articolo 1 della legge vigente con l’aggiunta di una lettera b-bis) precisa infatti: [è cittadino per nascita] «b-bis) «chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente […] o sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo […]».

Esiste una soluzione condivisibile?
Secondo me sì, ma con qualche sforzo in più da parte del legislatore. Bisognerebbe riformulare e precisare meglio le parti del disegno di legge non sufficientemente chiare e soprattutto quelle che potrebbero indurre a ritenere la cittadinanza un diritto «automatico», salvo per chi è «figlio di padre o di madre cittadini». In tutti i Paesi d’immigrazione ormai la cittadinanza (o naturalizzazione) è concessa «a richiesta» (o previa «dichiarazione di volontà») e una volta soddisfatte determinate condizioni, non ultima l’integrazione provata e non solo presunta degli interessati. Invece di «diritto di cittadinanza agli stranieri» sarebbe forse più appropriato parlare di cittadinanza agevolata o facilitata per i giovani stranieri nati in Italia… che abbiano frequentato… ecc.
La via maestra per facilitare l’acquisizione della cittadinanza resta tuttavia l’integrazione. Non vorrei che la discussione in atto in Italia fosse solo strumentale in vista delle prossime elezioni e un alibi alla insufficiente o quasi inesistente politica d’integrazione degli stranieri in Italia. E’ questa, mi sembra, la priorità del Paese nei confronti dei giovani stranieri: una seria integrazione sociale e professionale. Ma anche all’esigenza di agevolare la naturalizzazione degli stranieri «integrati» va data una risposta legislativa ragionevole e condivisa.
Giovanni Longu
Berna, 28.6.2017