21 giugno 2017

Italiani in Svizzera: 20. Anniversari importanti: MCI e Casa d’Italia di Berna



Tra le associazioni che hanno visto la trasformazione dell’immigrazione italiana in Svizzera due in particolare hanno attirato di recente la mia attenzione: la Missione Cattolica Italiana (MCI) e la Casa d’Italia di Berna. Entrambe celebrano quest’anno importanti anniversari, che mi suggeriscono rievocazioni storiche e riflessioni sul presente e sul futuro di entrambe. Trovo utile trattarne nello stesso articolo perché, nonostante il loro differente inizio «ufficiale», sono in realtà coetanee e si sono sviluppate nello stesso ambiente migratorio, sebbene con motivazioni e caratteristiche assai differenti. Allora la collettività italiana in Svizzera era consolidata e in Italia dominava il regime fascista.

L’origine della MCI di Berna
Missiona cattolica italiana di Berna
La Missione cattolica italiana di Berna (MCI) celebra quest’anno il suo 90° compleanno «ufficiale», come ha tenuto a ribadire il missionario scalabriniano Antonio Grasso, attuale parroco, perché è solo dal 1927 che esiste ufficialmente, anche se in sostanziale continuità con una precedente attività religiosa, gestita dai missionari bonomelliani. In effetti, il tema dell’assistenza religiosa agli immigrati italiani era stato tematizzato dall’episcopato cattolico svizzero nella Conferenza dell’agosto 1888, auspicando che sacerdoti italiani fossero presenti, almeno durante le feste religiose, nei luoghi di maggiore concentrazione di immigrati italiani. Riteneva, tuttavia, che non fosse opportuno favorire l’emigrazione perché «la massoneria riesce troppo spesso a impadronirsi degli emigranti».
All’inizio del Novecento c’era in Svizzera solo una Missione cattolica italiana, quella di Zurigo. Nel resto del Paese, tuttavia, l’assistenza agli immigrati italiani era regolarmente o saltuariamente assicurata da sacerdoti italiani inviati e coordinati dall’Opera Bonomelli, un’istituzione fondata nel 1900 dal vescovo di Cremona monsignor Geremia Bonomelli, per prestare assistenza spirituale e materiale agli operai emigrati. In pochi anni l’Opera aprì nei grossi centri industriali e nei grandi cantieri di montagna appositi «segretariati» per l’assistenza agli immigrati italiani, a cui facevano capo i vari sacerdoti, spesso assistiti da suore. Anche a Berna venne aperto un segretariato.
Alcuni segretariati si trasformarono in vere e proprie Missioni quando, durante il periodo fascista, furono costretti a chiudere per incompatibilità con le pretese del regime mussoliniano, che voleva assoggettarli alle direttive e ambizioni fasciste. Nel 1927, per non cedere al ricatto fascista, la Santa Sede decise la soppressione dell’Opera Bonomelli,  ma non delle attività di assistenza. Fu così che il segretariato di Berna divenne la prima Missione cattolica italiana della capitale federale e fu affidata a don Ireneo Rizzi, che la diresse per vent’anni, evitando per quanto possibile le contestazioni e dedicandosi sempre più alle attività spirituali. A giusta ragione, dunque, la MCI celebra quest’anno il suo 90° compleanno.

Sviluppo della MCI
Nel dopoguerra, com’è noto, l’immigrazione dall’Italia riprese vigore e col crescere della collettività italiana, aumentarono anche le esigenze pastorali e assistenziali. Nel frattempo, le attività dei sacerdoti bonomelliani erano state riprese in buona parte dai missionari scalabriniani, una congregazione fondata dal vescovo di Piacenza monsignor Giovanni Battista Scalabrini e, come l’Opera Bonomelli, anch’essa dedita particolarmente all’assistenza degli emigrati.
Per far fronte ai nuovi bisogni degli italiani immigrati nella regione di Berna, nel 1947, la Missione fu affidata ai missionari scalabriniani. «Era il 2 maggio 1947 – si legge nel sito della MCI di Berna - quando arrivò padre Giuseppe Vigolo, primo direttore». Era l’inizio di un impegno crescente dei missionari per far fronte ai bisogni di una collettività immigrata in continuo aumento (nel 1950, gli italiani presenti nel Cantone di Berna erano già più di 10.000) e spaesata.
I bisogni a cui i missionari dovevano rispondere erano, secondo numerose testimonianze, immensi. Non si trattava infatti solo di fornire i servizi religiosi richiesti, ma anche assistenza sociale ai più bisognosi, assistenza scolastica ai figli degli immigrati, disponibilità per aiutare a risolvere ogni sorta di problema delicato. Un altro compito, molto sentito, soprattutto nel dopoguerra, era anche quello di «essere ponte tra una cultura e l’altra, quella di partenza e quella di accoglienza… ponte che sostiene il cammino e che permette il passaggio da una sponda all’altra sia all’emigrato che all’autoctono, affinché i fratelli nella fede possano crescere sempre più nella conoscenza e nel rispetto reciproco, affinché le reciproche diffidenze siano abbattute» (P. Renato Famengo). Per fortuna i missionari non erano soli. Attorno alle Missioni e alle parrocchie si sviluppò tutta una serie di attività sociali che coinvolsero preti, suore, assistenti sociali, organizzazioni cattoliche, associazioni culturali e ricreative, ecc. per dare alla religione anche un’estensione sociale di grande ampiezza, che coinvolgesse anche gli stranieri.

L’origine della Casa d’Italia di Berna
La seconda istituzione che celebra quest’anno un importante anniversario «ufficiale» è la Casa d’Italia. Dico «ufficiale» perché verosimilmente s’intende ricordare sia la costituzione dell’Associazione «Casa d’Italia», avvenuta l’11 marzo 1937, e sia l’inaugurazione dell’attuale sede il 25 ottobre 1937. In realtà l’attuale Casa d’Italia non è altro che la continuazione di una preesistente «Casa degli Italiani», fondata con molta probabilità dieci anni prima e sarebbe quindi contemporanea alla MCI di Berna.
Casa d'Italia di Berna
Il contesto storico è noto. In Svizzera vivevano all’epoca circa 130.000 immigrati italiani, di cui circa 30000 nel Ticino. Nel Cantone di Berna erano circa 7000, di cui 2000 nell’agglomerazione di Berna. Erano cifre importanti che il regime fascista non poteva ignorare e anche per questo la Svizzera era ritenuta dall’Italia un Paese amico con cui era conveniente avere buoni rapporti. L’opinione era condivisa dalla maggioranza del Consiglio federale dell’epoca, certamente dal capo del Dipartimento politico federale Giuseppe Motta, che almeno inizialmente, secondo alcuni storici, era un ammiratore di Mussolini e come tale era visto dalla diplomazia italiana.
Di fatto, il Consiglio federale, nonostante fosse contrario alla propaganda politica in Svizzera di qualsiasi Paese straniero, tollerò a lungo che il regime fascista costituisse soprattutto nelle principali città fasci, scuole, asili, mense, ecc. e sovvenzionasse le associazioni che accettavano le direttive fasciste. Tutte le Case d’Italia ancora esistenti, a parte qualcuna in Ticino sorta prima, risalgono al periodo fascista.
Anche Berna doveva avere il suo Fascio, la sua Scuola e la sua «Casa degli Italiani». Questa fu inaugurata probabilmente nel 1927, alla Marienstrasse n. 4, in un edificio che non esiste più, non lontano dalla sede dell’Ambasciata (allora Legazione) d’Italia e dei servizi consolari. Vi avevano sede, a quanto è dato sapere, le diverse associazioni italiane ammesse dal fascismo. Questo spiega, fra l’altro, perché nell’agosto 1927 fosse stato inaugurato proprio nella «Casa degli Italiani» uno dei primi «cinema-dopolavoro» e dunque la notevole frequenza dei locali.

Dalla «Casa degli Italiani» alla «Casa d’Italia»
La «Casa degli Italiani» restò in attività almeno fino al 1937, quando venne acquisita la nuova sede nel quartiere della Länggasse. Non è dato sapere il motivo che indusse i suoi dirigenti a cambiare sede, per cui sono lecite diverse ipotesi. Una sarebbe legata alla prevista demolizione dell’edificio, un’altra sarebbe suggerita dal fatto che ormai la maggioranza degli italiani viveva nei quartieri periferici della città, specialmente in quello della Länggasse, e non dispiaceva trasferire la «Casa degli Italiani» in quella zona della città, fra l’altro ben servita da una efficiente linea tranviaria.
Tra la «Casa degli Italiani» e la nuova «Casa d’Italia» ci fu continuità di gestione e d’intenti, in sintonia con la politica del regime. Tanto è vero che l’assemblea di fondazione dell’Associazione «Casa d’Italia» si tenne nella «Casa degli Italiani», i soci fondatori erano tutti espressione del regime fascista e all’inaugurazione della nuova sede partecipò, oltre al ministro d’Italia e al segretario del fascio locale, la marchesa Paolucci Calboli figlia dell'ex ministro d'Italia a Berna durante la guerra, che donò una somma importante per l’acquisizione della nuova casa d’Italia. Una cronaca (di parte) riferì anche che alla manifestazione aveva assistito «la colonia italiana al completo».
La «Casa d’Italia» restò ancora a lungo (fino agli anni ’50) dominata dai «fascisti», anche perché, dopo la caduta del fascismo, alcune associazioni si erano rigenerate solo in apparenza, ma negli anni ’60 lentamente si affrancò completamente dall’ideologia fascista. Oggi la Casa d’Italia è non solo la sede delle principali associazioni italiane di Berna, ma è anche di proprietà dell’associazionismo italiano.

Uno sguardo al futuro
Nella celebrazione di questi importanti anniversari è inevitabile volgere anche lo sguardo al futuro. Certamente, chiunque ha a cuore le sorti della MCI e della Casa d’Italia non può che augurare a entrambe le istituzioni lunga vita, ma sarebbe miope non vedere che anche per loro il futuro richiede dei cambiamenti.
Se è vero, come io ritengo, che la MCI ha svolto e svolge un’importante funzione, spirituale e sociale, in seno alla collettività straniera a Berna e dintorni, credo anche che sempre più debba svestirsi della connotazione «italiana» e impegnarsi per favorire il processo d’integrazione degli italiani e di altri stranieri nella chiesa e nelle strutture ecclesiali locali. Il contributo dei laici appare sempre più indispensabile e utile.
Quanto alla Casa d’Italia, ritengo importante che oltre a profilarsi come un ottimo ristorante «italiano» e una sede accogliente di manifestazioni di ogni sorta organizzate da terzi, siano essi partiti politici, Comites o altre organizzazioni, cerchi al suo interno le idee e le forze per divenire protagonista attiva e proattiva d’italianità, dando piena attuazione al suo statuto che mette ai primi posti finalità artistiche e culturali.
[Attenzione! Nel periodo estivo la trattazione della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera è sospesa]
Giovanni Longu
Berna, 21.06.2017