29 marzo 2017

Italiani in Svizzera: 10. Stranieri e modifica della Costituzione



Nel periodo interbellico del secolo scorso la Svizzera si è data le basi giuridiche della successiva politica verso gli stranieri. Dopo aver scartato, per molteplici ragioni, la strada del contenimento della crescita della popolazione straniera attraverso la facilitazione della naturalizzazione degli stranieri domiciliati e degli stranieri nati in Svizzera, i Cantoni e il Popolo svizzero decisero di concedere alla Confederazione la competenza di legiferare in materia di stranieri approvando, nel 1925, la necessaria modifica costituzionale. Fu una decisione che condizionò la vita di milioni di immigrati e merita pertanto di essere esaminata da vicino.

Le ordinanze non bastavano
Pur vivendo un periodo di scarsa affluenza di immigrati (non da ultimo per la crisi degli anni 1920-23 con decine di migliaia di disoccupati indigeni), le forze politiche vollero cautelarsi in maniera stabile contro il rischio di ritornare alla situazione precedente, quando la crescita della popolazione straniera era ritenuta ormai fuori controllo e pericolosa per la sicurezza dello Stato. Non fu facile raggiungere un’intesa, sia per la complessità del problema e sia per le divergenze d’opinione e di visioni tra i Cantoni, restii a seguire una linea comune nella politica immigratoria.
La Confederazione, d’altra parte, non poteva più prorogare ad oltranza i decreti urgenti adottati in tempo di guerra e già prorogati nel 1919 e 1921. Anche la Polizia degli stranieri (che si sentiva come investita della missione di lottare contro la Überfremdung (inforestierimento) con misure restrittive per limitare al massimo l’accesso agli stranieri desiderosi di stabilirsi nel Paese) non poteva essere considerata lo strumento più idoneo della politica del governo in materia senza una base giuridica specifica. Del resto la stessa Confederazione non disponeva di sufficienti competenze per intervenire efficacemente né contro l’afflusso incontrollato di stranieri né per svolgere una politica immigratoria sostenibile da tutti i punti di vista.

Una problematica complessa
Per scongiurare il pericolo di una nuova immigrazione di massa, nel primo decennio del secolo furono proposte diverse soluzioni, risultate però tutte impraticabili per molteplici e talvolta opposte ragioni. Per esempio, la Confederazione riteneva inopportuno limitare gli ingressi degli stranieri perché questo avrebbe potuto rappresentare una violazione dei trattati di amicizia con i Paesi confinanti, con i quali era estremamente utile mantenere rapporti di buon vicinato. Una proposta del 1908 fu ritenuta ricevibile solo in parte dal Consiglio federale, ossia quella in cui si chiedeva «un rapporto sui provvedimenti da prendersi per facilitare la naturalizzazione degli stranieri domiciliati e degli stranieri nati in Isvizzera», ma non l’altra in cui si chiedeva di «studiare (…) la naturalizzazione obbligatoria degli stranieri nati in Isvizzera».
Allora non se ne fece nulla per lo scoppio della prima guerra mondiale, ma la questione della naturalizzazione venne ripresa nel dopoguerra. Nel messaggio del 9 novembre 1920 inviato all’Assemblea federale «concernente la revisione dell'articolo 44 della Costituzione federale», il Consiglio federale faceva tuttavia notare che la Confederazione aveva solo il potere di «impedire» la naturalizzazione degli stranieri ma non di promuoverla. Per poter intervenire con misure adeguate contro il pericolo dell’inforestierimento (Gefahr der Masseneinwanderung) e per poter attuare una vera politica della naturalizzazione (Einbürgerungspolitik) era necessario che la Confederazione disponesse di maggiori poteri.
Per dare un’idea della complessità del tema della naturalizzazione si può osservare che l’articolo costituzionale in questione era denominato in tedesco «Massnahmen gegen di Überfremdung» (letteralmente: misure contro l’inforestierimento), mentre nella versione italiana era stato tradotto «provvedimenti per favorire l'assimilazione degli stranieri in Isvizzera». La divergenza non è di poco conto ed evidenzia mentalità e approcci differenti tra chi sembrava preoccupato soprattutto del numero (crescente) di stranieri e chi invece auspicava la naturalizzazione degli stranieri più «assimilati».

La lotta all’inforestierimento
Rispetto al problema più generale di una politica globale nei confronti degli stranieri, il tema della naturalizzazione venne affrontato per primo. In questa scelta è possibile che abbia influito (anche se nelle argomentazioni appariva poco) la preoccupazione del calo della natalità dei primi decenni del XX secolo e la paura di un invecchiamento della popolazione. Sarebbe stato sensato risolvere i problemi dell’immigrazione in maniera drastica, per esempio limitando gli ingressi alle frontiere? Inoltre, lo sviluppo dell’economia avrebbe trovato tra la popolazione indigena (qualora il calo della natalità e l’invecchiamento fossero perdurati a lungo) le forze di lavoro sufficienti? E poi, la situazione degli stranieri era così drammatica come gli estremisti la descrivevano?
Di fronte a questi e a simili interrogativi, la Commissione del Consiglio degli Stati richiese al Consiglio federale ulteriori informazioni sulla situazione degli stranieri alla luce dei dati del censimento della popolazione del 1920. In questa aggiunta del 14 novembre 1922 il Consiglio federale faceva notare come, grazie alle misure restrittive adottate, la quota degli stranieri sulla popolazione residente totale era scesa dal 14,7% di prima della guerra al 10,4% del 1920; ciononostante, riteneva che «il 10,4 % di stranieri costituisce pur sempre una proporzione anormale per l'equilibrio della nostra popolazione». Inoltre, «questi dati dimostrano che non dobbiamo affatto contentarci della riduzione oggi constatata nel numero degli stranieri e che abbiamo tutte le ragioni per continuane e condurre a buon compimento la lotta generale intrapresa contro l'eccesso di popolazione straniera nel nostro paese».
Il 19 dicembre 1923, durante il dibattito sulla revisione dell’articolo 44 della Costituzione, il Consiglio degli Stati approvò all’unanimità un postulato del consigliere agli Stati Wettstein, con cui s’invitava il Consiglio federale a proporre al Parlamento una regolamentazione federale organica delle questioni relative al problema degli stranieri, specialmente quelle del soggiorno e della naturalizzazione.

Il quadro generale comincia a delinearsi
Senza lasciar cadere il tema della naturalizzazione (che verrà concluso nel 1928), nel suo messaggio alle Camere federali del 2 giugno 1924, il Consiglio federale fece nuovamente presente che per poter legiferare in materia occorreva anzitutto che la Confederazione ne avesse la competenza. Propose quindi una modifica costituzionale in tal senso, da sottoporre come ogni modifica della Costituzione al voto popolare. In ogni caso, avvertiva a proposito della politica degli stranieri, «(…) non si obietterà nulla riguardo all’afflusso di stranieri, ma solo a condizione che essi non intendano domiciliarsi (…)».
Nel messaggio apparivano evidenti non solo alcune linee guida che il Consiglio federale intendeva seguire nella sua politica verso gli stranieri, ma anche la motivazione che lo spingeva a seguirle, ossia la preoccupazione di trovare una soluzione che tenesse conto degli interessi dell’economia e dell’imperativo di evitare la Überfremdung, l’inforestierimento.
Da questi accenni appare chiara la vera intenzione del governo: non si trattava tanto di limitare l’afflusso di stranieri, quanto di impedire o quantomeno di ridurre la possibilità che essi potessero ottenere il domicilio. Molto probabilmente nelle considerazioni del Consiglio federale non c’era solo la preoccupazione che l’economia prima o poi avrebbe avuto bisogno di lavoratori stranieri, ma anche che per il problema degli stranieri andavano cercate soluzioni stabili che potevano essere garantite solo dalla legislazione federale.
Nel 1925 venne preparato il terreno per poter legiferare in materia di immigrazione, introducendo il nuovo articolo costituzionale 69ter, che autorizzava la Confederazione a intervenire con atti legislativi per disciplinare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri in Svizzera. Tutti i partiti erano favorevoli, tranne quello dei Repubblicani.

La Confederazione può legiferare sugli stranieri
Con l'approvazione, il 25 ottobre 1925, dell’articolo 69ter della Costituzione dalla maggioranza del popolo (62,2% di sì) e dei Cantoni, la Confederazione poteva finalmente legiferare sull’entrata, la partenza, la dimora e il domicilio degli stranieri. Il dibattito sulle misure «contro l’inforestierimento» divenne presto politico e pubblico. In una serie di interventi giornalistici anche il maggiore quotidiano svizzero, la «Neue Zürcher Zeitung» intervenne con alcuni articoli contro l’inforestierimento («gegen die Überfremdung»).
Sulla base del nuovo disposto costituzionale, il 17 giugno 1929 il Consiglio federale inviò alle Camere un messaggio con un disegno di revisione della legge sulla dimora e il domicilio degli stranieri, che diventerà la «legge federale del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri» ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1934.
Più volte ritoccata, ma rimasta fondamentalmente invariata fino al 2007, è stata alla base della politica svizzera nei confronti degli stranieri fino all’entrata in vigore della nuova legge il 1° gennaio 2008. Essa rappresenta pertanto una insostituibile chiave di lettura della storia dell’immigrazione italiana del dopoguerra. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 29.3.2017