01 marzo 2017

Italiani in Svizzera: 7. All’inizio c’era la paura



Sul finire del XIX secolo, «il problema degli italiani» (Italienerproblem) divenne, per amplificazione naturale, «il problema degli stranieri» (Ausländerproblem), coinvolgendo così tutti gli stranieri della Svizzera già allora molto numerosi (oltre l’11,6% della popolazione residente). A partire dal 1900, si è cercato di precisare «il problema», che suonava troppo generico, ricorrendo a un neologismo: Überfremdung («inforestierimento»). Il successo riscosso da questo termine in Svizzera non ha pari, per continuità e importanza, in tutta la storia delle politiche migratorie europee moderne. Conoscerne le origini e la portata è indispensabile anche per comprendere la storia dell’immigrazione italiana in questo Paese.

L’«inforestierimento»
1972: una delle tante dimostrazioni contro l'inforestierimento.
Nella seconda metà del XIX secolo, i temi dell’emigrazione (svizzera) e dell’immigrazione (straniera) erano discussi frequentemente perché in alcuni Cantoni della Svizzera l’emigrazione spopolava e impoveriva intere regioni e in altri l’immigrazione creava sì nuovo benessere, ma anche grossi disagi tra la popolazione locale. Sul finire del secolo gli immigrati diventarono l’oggetto di un discorso socio-politico specifico, non più limitato a qualche gruppo in particolare (per es. gli italiani), ma esteso genericamente a tutti gli stranieri.
Fu a quel punto che si cercò di precisare «il problema degli stranieri» e, in mancanza di un’espressione più adeguata, fu introdotto il neologismo Überfremdung, che ebbe una straordinaria accoglienza, dapprima in cerchie ristrette di specialisti, poi nell’opinione pubblica e, poco più tardi, anche nel linguaggio politico-burocratico.
Di fatto, questo termine, tradotto grossolanamente in italiano «inforestierimento», ha segnato profondamente tutta la politica migratoria federale fino a pochi decenni fa e si presta ancora oggi a spiegare gli atteggiamenti più severi del popolo svizzero nei confronti degli stranieri (anche se invece d’inforestierimento si preferisce parlare di «immigrazione di massa»). Approfondirne il significato (o i significati) del termine è pertanto indispensabile anche per comprendere l’evoluzione dell’immigrazione italiana in Svizzera.

Paura di un pericolo imprecisato
Non esiste, a mia conoscenza, una definizione esauriente e soddisfacente del concetto di «Überfremdung», benché il tema sia stato affrontato da decine di studiosi. Questa mancanza di una definizione appropriata è dovuta, verosimilmente, ad una ragione oggettiva molto semplice: il termine Überfremdung è stato utilizzato in epoche diverse, quindi da soggetti diversi, con riferimento ad aspetti diversi di una realtà non statica ma mutevole, sempre in movimento, com’è stata l’immigrazione.
Eppure ritengo indispensabile, per capire la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, tentare di cogliere nell’uso più che secolare del termine Überfremdung almeno una costante sempre presente nella percezione di moltissimi svizzeri del fenomeno immigratorio in generale. Ebbene, secondo me, questa costante è la paura, declinata in tante varianti, a seconda del tipo di pericolo percepito come presente, imminente o probabile nelle varie epoche. Una prova indiretta di questa affermazione è che in molti testi in cui compare il termine Überfremdung (inforestierimento) si trova anche la parola composta Überfremdungsgefahr (pericolo d’inforestierimento).
Quando il termine fu utilizzato per la prima volta a Zurigo nel 1900, ossia quattro anni dopo i tumulti anti italiani, la paura era associata soprattutto al fastidio provato da molti svizzeri di sentirsi circondati da troppi stranieri, italiani in particolare, ritenuti di livello inferiore, grossolani, pericolosi «invasori» e usurpatori. Può sorprendere, ma nelle considerazioni di cui si sta parlando la pericolosità degli stranieri non era mai osservata dal punto di vista criminologico. In questo campo, infatti, i Cantoni disponevano di sufficienti forze dell’ordine per far rispettare la legge e la Confederazione era sufficientemente forte per espellere gli stranieri facinorosi o pericolosi. La pericolosità nasceva anzitutto dall’eccessiva presenza di stranieri in un piccolo Paese, ancora fragile istituzionalmente e politicamente. Il termine Überfremdung sembrava render bene questa pericolosità indefinita degli stranieri.

Paura di essere sopraffatti
L’«eccesso» di popolazione straniera era difficile da dimostrare, ma la percezione del costante aumento degli stranieri era innegabile, soprattutto da quando cominciarono a diffondersi le cifre sulla proporzione di stranieri nella popolazione residente. Si venne così a sapere che la proporzione di stranieri in Svizzera non aveva confronti in nessun altro Stato vicino, dove essa non arrivava nemmeno al 3 per cento. Qui, invece, quella percentuale era stata superata già da cinquant’anni e sfiorava, secondo i dati del censimento federale della popolazione del 1900, il 12 per cento.
L'immigrazione massiccia generava paura in molti svizzeri.
L’osservazione andava oltre: in alcuni Cantoni la proporzione di stranieri superava il 40 per cento e in alcune città la concentrazione di stranieri in alcuni quartieri creava non pochi disagi nella popolazione indigena. Divenne perciò facile parlare di Überfremdung, dove il prefisso «über» rendeva bene l’idea del superamento di una soglia, di un limite che solo in Svizzera era stato oltrepassato. Persino il Consiglio federale dovette ammettere che si trattava di una «situazione non sana». Tanto più che anche le conseguenze dell’incremento della popolazione sembravano evidenti, per esempio la penuria degli alloggi, la speculazione edilizia, la pressione sui salari (per la concorrenza soprattutto degli italiani disposti a lavorare per paghe troppo basse). La paura divenne palpabile perché i disagi sembravano imputabili, anche senza prove, all’eccessiva presenza di stranieri.
L’eccesso di popolazione straniera era ritenuto da taluni preoccupante perché il suo accrescimento sembrava inarrestabile e tale da mettere in pericolo la conservazione dei «valori tradizionali svizzeri» (legati soprattutto al mondo agrario, che andava sempre più indebolendosi) e la stessa sopravvivenza del popolo svizzero con le sue caratteristiche.
A quanti affermavano che si dovesse intervenire d’autorità per limitare l’immigrazione si obiettava che ad attrarre così tanti stranieri era lo sviluppo economico, anch’esso inarrestabile (si era nella Belle Époque), e le favorevoli disposizioni degli accordi di stabilimento della Svizzera con le grandi potenze confinanti. Sembrava difficile, se non impossibile, opporsi al progresso e alle grandi potenze, ma anche rinunciare agli stranieri che erano considerati ormai «elemento integrante della popolazione, di cui non vogliamo né possiamo fare a meno».

Considerazioni quantitative e qualitative
Secondo alcuni osservatori, la pericolosità degli stranieri non era tuttavia dipendente principalmente dal loro numero, ma anche dalla loro capacità, immediata o futura, d’influire sui centri vitali dell’economia, della finanza, della cultura, della stampa e della stessa politica, tutti campi in cui la Confederazione era particolarmente debole. Inoltre, questa influenza non era solo quella diretta (ad es. attraverso la numerosa presenza di stranieri domiciliati, i capitali in mani straniere, le imprese straniere, ecc.), ma anche indiretta (attraverso la stampa, la lingua, l’insegnamento, le partecipazioni, ecc.).
Il passaggio da considerazioni di tipo quantitativo ad analisi di tipo qualitativo era immediato, almeno per una ristretta cerchia di persone, intellettuali, politici, membri dell’amministrazione pubblica, non appena si passava in rassegna l’impatto degli stranieri nella vita sociale, economica, culturale e persino politica. Non tutti i gruppi nazionali stranieri venivano considerati alla stessa maniera, ma i risultati giungevano all’opinione pubblica generalizzati e riferiti genericamente agli stranieri.
Gli stranieri apparivano in molti campi in posizione dominante rispetto agli svizzeri perché il diritto di domicilio assicurava loro numerosi vantaggi senza subire alcun obbligo legato al diritto di cittadinanza. Per questo, si diceva, «in nessun luogo come da noi il forestiero domiciliato gode una situazione di privilegio, che gli fa temere la naturalizzazione, l’acquisto della cittadinanza, addirittura come un peggioramento del suo stato economico».
Non c’è dubbio che questo atteggiamento di distacco e di disinteresse per la naturalizzazione fu considerato da molti osservatori come un indubbio segnale di pericolosità degli stranieri, sebbene non di tutti i gruppi allo stesso modo. Dei tedeschi, per esempio, preoccupava il movimento generale di germanizzazione, tendente, secondo alcuni, all’assorbimento della Svizzera mediante la lega doganale tedesca dell’Europa centrale.

Analisi, ma anche proposte
Molti di coloro che riflettevano sulla situazione venutasi a creare con la presenza massiccia di stranieri non si limitavano tuttavia all’analisi di fatti e cifre, ma cercavano anche di individuare possibili soluzioni. E’ interessante, per esempio, osservare che più di un secolo fa già si parlava di «ostacolare l’immigrazione», render difficile il domicilio, aumentare la tassa per l’acquisto della cittadinanza, ma anche di coinvolgere maggiormente gli stranieri nel «nostro corpo di cittadinanza», facilitare la naturalizzazione di un maggior numero di stranieri che «offrono garanzia di diventare veri cittadini» e persino di introdurre, in situazioni particolari, la naturalizzazione automatica degli stranieri di seconda generazione. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 1.3.2017