31 gennaio 2017

Italiani in Svizzera: 3. «L'oscura eroica fatica del lavoratore ignoto»



La costruzione della galleria ferroviaria transalpina sotto il San Gottardo (1872-1882) costituì il primo vero banco di prova del «Trattato di domicilio e consolare» del 1868 tra l’Italia e la Svizzera. Il lavoro in galleria, anche se mal pagato, era sempre meglio di niente e costituiva una forte attrazione per quanti avevano famiglia a carico con qualche difficoltà finanziaria e una fonte di guadagno per chi non aveva carichi familiari. A migliaia, provenienti quasi esclusivamente dal Piemonte e dalla Lombardia, accorsero agli uffici della ditta appaltatrice dei lavori: scavatori, minatori, muratori, ma anche fabbri, falegnami, cuochi, manovali e persino avventurieri e pregiudicati. Ne giungevano talmente tanti che l’imprenditore aveva solo l’imbarazzo della scelta e poteva offrire senza problemi i salari che voleva, comunque sempre bassi.

La sfida del Gottardo
Statua delle due sorelle, Svizzera e Italia,
collocata alla stazione di Chiasso per ricordare
la prima grande impresa ferroviaria comune
Nella seconda metà dell’Ottocento, la Svizzera dovette affrontare con un forte ritardo rispetto ai Paesi vicini la problematica del trasporto ferroviario, non solo a causa del federalismo che sottraeva alla Confederazione le competenze necessarie per costruire ferrovie intercantonali, ma anche a causa di difficoltà finanziarie e costruttive. Per colmare il ritardo era indispensabile affrontare con coraggio e determinazione la sfida, su cui da tempo si discuteva non solo in Svizzera ma anche in Italia e Germania, di un attraversamento ferroviario delle Alpi sotto il San Gottardo.
Quale opera ingegneristica transalpina non avrebbe rappresentato di per sé una novità assoluta, perché gli italiani avevano appena terminato la costruzione dell’imponente traforo ferroviario del Fréjus sotto il Moncenisio, tra l’Italia e la Francia, lungo ben 13,6 chilometri (1857-1871). Per la realizzazione del progetto del San Gottardo, che prevedeva una galleria di 15 chilometri, le incognite non erano tuttavia di poco conto, soprattutto riguardo al suo finanziamento, alla società concessionaria, alla ditta appaltatrice, alla durata effettiva dei lavori, ecc. Il sostegno riscosso non solo da parte della Confederazione e dei Cantoni interessati, ma anche dell’Italia e della Germania, sembrava la migliore garanzia per avviare subito la realizzazione del progetto.
In pochi mesi fu completata tutta la fase preparatoria. Il 6 dicembre 1871 venne costituita la Compagnia ferroviaria del Gottardo (la Gotthardbahngesellschaft) quale società concessionaria dotata di un capitale di 187 milioni di lire tra pubblico (Italia 45, Germania 20, Svizzera 20) e privato (partecipazione di vari gruppi tedeschi con 102 milioni). Il 5 aprile 1872 fu lanciata una gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori. Il 7 agosto 1872 fu firmato il contratto con la ditta appaltatrice di Louis Favre Entreprise du Grand Tunnel du Gothard. Di lì a poco sarebbero iniziati i lavori partendo a sud da Airolo e a nord da Göschenen.

Preventivi azzardati
Quando, nella gara d’appalto l’impresa dell’ingegner Favre fu preferita alla Società Italiana di Lavori pubblici, che aveva già eseguito il traforo del Fréjus, la scelta era stata fatta in base all’offerta più bassa (47.804.300 lire, contro 58.883.530 lire), tenendo anche conto che l’ingegnere ginevrino s’impegnava a terminare i lavori entro otto anni a partire dal 1° ottobre 1872.
E’ possibile che Favre avesse tenuto bassa l’offerta pensando di far tesoro delle esperienze fatte dagli italiani nello scavo del Fréjus e della sperimentazione con successo di nuove perforatrici più efficaci. In realtà, tanto l’ingegnere che la società concessionaria avevano sottovalutato i costi reali dei lavori sotto il San Gottardo, calcolato insufficientemente i rischi e sopravvalutato la nuova tecnologia mineraria sperimentata al Fréjus.
La costruzione della galleria del Fréjus aveva rappresentato per gli italiani (allora soprattutto piemontesi e savoiardi perché inizialmente l’Italia non era stata ancora unificata e la Savoia apparteneva fino al 1860 al Regno Sabaudo) un’esperienza straordinaria per molti versi, non solo per la durata dei lavori ma anche per la sperimentazione di nuove tecniche di perforazione e l’introduzione di nuovi macchinari. Vennero infatti sperimentate positivamente le ultime innovazioni tecnologiche: le perforatrici meccaniche vennero sostituite via via da perforatrici automatiche a vapore, aria e acqua compresse e si cominciò a usare la dinamite inventata da Nobel nel 1869. Tutto ciò, però, non rappresentava alcuna garanzia sicura della riuscita dell’opera che Favre si apprestava a realizzare.

Lavoro in condizioni disumane
I lavori per la galleria del San Gottardo iniziarono il 13 settembre 1872 ad Airolo e il 24 ottobre a Göschenen. Le difficoltà di avanzamento apparvero subito evidenti a causa di problemi tecnici imprevisti legati alla natura della roccia. I1 primo anno, infatti, lo scavo dovette procedere a mano e a rilento. Solo in seguito entrarono in funzione le perforatrici meccaniche. Ben presto apparve anche chiaro che pure le altre previsioni di Favre erano irrealistiche. I costi cominciavano a lievitare (nel 1875 la   aveva già superato il 50% delle spese preventivate), l’insoddisfazione dei lavoratori cresceva come anche il numero degli incidenti e il ritardo che si accumulava giorno dopo giorno nell’avanzamento in galleria. In effetti, la durata dei lavori fino alla consegna dell’opera finita si prolungherà di ben due anni con gravi conseguenze sia per l’impresa Favre che per la Compagnia del Gottardo.
Probabilmente Favre aveva calcolato male anche il fattore umano non rendendosi conto che l’esperienza da sola non basta per assicurare un buon lavoro. Pur disponendo quasi esclusivamente di lavoratori italiani sperimentati, in massima parte piemontesi e lombardi, molti dei quali provenienti dalla costruzione della galleria del Fréjus, non aveva tenuto conto di altri fattori, in particolare della sopportabilità delle condizioni di lavoro da molti osservatori ritenute «disumane».
Favre aveva presentato un’offerta troppo bassa, pur di ottenere l’appalto dei lavori, ma si era anche vincolato contrattualmente a pesanti penali se avesse consegnato l’opera finita in ritardo. Per rimediare agli errori di valutazione e forse all’ambizione, cercò di risparmiare su tutto, compresi i salari del personale e i sistemi di sicurezza. A pagare gli errori non furono solo i finanziatori dell’opera che in pochi anni videro dimezzarsi il valore dell’azione della Ferrovia del Gottardo e lo stesso Favre, ma soprattutto i lavoratori italiani immigrati.

Eran giovani e forti, e molti sono morti!
Gli operai del Gottardo avevano un’età media di 28 anni, erano, come si dice, giovani e forti, ma non tanto da resistere a lungo nel lavoro in galleria. Le difficoltà erano immense, dovute a cause geologiche, all’alta temperatura, superiore ai 30 gradi, alle forti fuoruscite d’acqua, fino a 250 litri al secondo, all’umidità, alla ventilazione insufficiente, al rumore delle perforatrici, ai gas provocati dallo scoppio delle mine, ecc. Quasi tutti gli operai soffrirono di congestioni, vertigini, nausea, diarrea. Questo spiega perché molti fra gli oltre 10.000 uomini che lavorarono in galleria non guarirono mai più completamente e solo 80 resistettero sull’arco dell’intero traforo. Il ricambio di personale era frequente per garantire comunque un contingente medio di circa 3000 persone al giorno.
Le difficoltà che dovettero affrontare gli operai italiani non erano solo quelle che incontravano in galleria, ma anche quelle di fuori, a causa di un’alimentazione insufficiente, dei bassi salari (la paga media giornaliera si aggirava sui 4 franchi), delle precarie condizioni abitative (talvolta in baracche sovraffollate e molto sporche), ma anche all’indifferenza e persino all’ostilità di una parte significativa dell’opinione pubblica.
A seguito delle inutili proteste contro le pessime condizioni di lavoro, salariali e abitative (attestate anche ufficialmente dal commissario federale Hans Hold e dal medico Laurenz Sonderegger), nel 1875 scoppiarono diverse agitazioni culminate il 27 e 28 luglio in tumulti. Per ristabilire l’ordine fu fatta intervenire la milizia di Göschenen che sparò sui manifestanti ferendone molti e uccidendone quattro.
La stampa locale reagì a favore dell’impresa di Favre e accusò gli scioperanti di essere ingrati, avidi di denaro e pericolosi. Era una forma di risentimento per il disturbo che il massiccio afflusso di italiani stava provocando nei tranquilli villaggi nelle vicinanze dei portali nord e sud della galleria. E poco importava se quella galleria avrebbe apportato loro qualche beneficio e se in quella galleria almeno 177 persone giovani e forti vi avrebbero lasciato la vita, per non parlare delle centinaia che sarebbero morti dopo il rimpatrio, in seguito alla cosiddetta «anemia del Gottardo» contratta a causa delle malsane condizioni igieniche e di lavoro.

L'«eroica  fatica» di lavoratori ignoti
Al termine dei lavori, quando venne inaugurata con grande solennità la galleria più lunga del mondo, un capolavoro di ingegneria e di tecnica ferroviaria, furono esaltati il genio e l’industria, pochi ricordarono seppur vagamente quei morti giovani e forti e le migliaia di lavoratori senza i quali, in quel momento, non si sarebbe potuto celebrare il «trionfo della scienza e della tecnica», «l’opera di civiltà» che avvicina i popoli. Proprio per questo meritano di essere ricordati.

Airolo: monumento di Vincenzo Vela alle vittime del
traforo ferroviario del San Gottardo (1872-1882)
Airolo: bassorilievo "Le vittime del lavaoro" di Vincenzo Vela
In onore delle vittime del traforo, sul piazzale antistante la stazione ferroviaria di Airolo venne eretto nel 1932 un monumento dello scultore ticinese Vincenzo Vela. L'epigrafe recita: Nel 50° anniversario della grande umana vittoria che dischiuse fra genti e genti la via del San Gottardo, questa pietra ove l'arte segna e consacra l'oscura eroica fatica del lavoratore ignoto.
La galleria del Gottardo ebbe a livello politico e industriale un effetto scatenante di quella che venne definita da alcuni la «febbre ferroviaria».(Segue)
Giovanni Longu
Berna, 31 gennaio 2017