06 dicembre 2017

La cucina italiana in Svizzera grazie agli immigrati



Nel mese di novembre si è dato molto rilievo nella stampa ma soprattutto nei ristoranti alla cucina italiana. L’ambasciatore d’Italia Marco Del Panta, nel presentare la seconda edizione della «Settimana della Cucina Italiana nel Mondo» (dal 20 al 26 novembre) ha ricordato le parole attribuite a Camillo Benso Conte di Cavour, il quale, per festeggiare l’Unità d’Italia (17 marzo 1861) avrebbe detto agli illustri ospiti: «Oggi abbiamo fatto la Storia e adesso andiamo a mangiare». In realtà la circostanza in cui Cavour disse quelle o simili parole è un’altra, risalente al 29 aprile 1859, quando, respingendo l'ultimatum dell'Austria che intimava al Piemonte di smobilitare, in pratica dava inizio alla seconda guerra d’indipendenza che avrebbe portato, dopo una serie di referendum, all’unità d’Italia. All’ambasciatore Del Panta tuttavia non interessava la circostanza storica, ma il fatto che da sempre «la cucina italiana» è una caratteristica fondamentale dell’italianità ed è ormai apprezzata in tutto il mondo.

Gli emigrati e la cucina italiana
Oggi l’anima del commercio è la pubblicità e per vendere e diffondere un prodotto si spendono spesso grandi quantità di denaro. La storia dell’emigrazione italiana, e qui mi limito a quella in Svizzera, ci insegna tuttavia che i primi sostenitori e divulgatori della cucina italiana sono stati proprio gli emigrati, magari non proprio i primissimi, ma sicuramente quelli delle ondate successive. La distinzione va fatta perché alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento molti emigrati italiani, pur di mandare i soldi a casa, si privavano anche del cibo necessario accontentandosi di «rosicchiare porco salato, o peggio, formaggio, o peggio ancora, cipolla e pane», mangiando, così si diceva, «peggio del cane di un borghese» (E. Sella 1899). In realtà, spesso non disdegnavano comunque anche un bicchiere di buon vino.
Proprio prendendo lo spunto dalle loro abitudini alimentari, molti svizzero tedeschi chiamavano gli italiani oltre che «Tschinggen» (il termine dispregiativo più diffuso) anche mangiatori di mais, ossia di polenta, nelle varie versioni di «Maiser», «Maiskolben», «Maisfresser» o peggio «chaibe Maisfresser» (luridi mangiatori di mais) e in seguito «Salamitiger», «Spaghettipostel», «Spaghettifresser», mangiatori di salami, mangiatori di spaghetti, ecc.

Sapori d’Italia nella cucina svizzera
Col tempo, tuttavia le abitudini alimentari degli italiani migliorarono contagiando un numero sempre crescente di svizzeri. Soprattutto dopo l’immigrazione massiccia nel secondo dopoguerra, si sono moltiplicate le importazioni di generi alimentari italiani (nel 1950 costituivano addirittura il 56,8% delle importazioni totali svizzere dall’Italia) e in ogni angolo della Svizzera sono sorti negozi, bar, caffè, pizzerie e ristoranti italiani, frequentati sempre più anche da svizzeri.
Il consumo delle paste, delle pizze e delle pietanze italiane ha contagiato molte famiglie svizzere che hanno adottato almeno in parte la cucina italiana per le esigenze quotidiane. I grandi distributori, i più frequentati anche dagli immigrati quali Migros e Coop, hanno contribuito a diffondere anche tra gli svizzeri i «sapori d’Italia» basati su un’infinità di prodotti e di specialità italiane. E non c’è oggi casa svizzera che non conosca o sappia cucinare la pizza, un piatto di spaghetti «al dente», un piatto di lasagne alla bolognese o le penne al pomodoro, ecc.
Grazie agli italiani, in questi ultimi decenni gli svizzeri sono diventati tra i più grandi consumatori di pasta al mondo, pizza compresa. E quando si parla di pizza non si può non accennare alla mozzarella, il formaggio più amato dagli svizzeri, più del formaggio da raclette, più del Greyerzer e del rinomato Emmentaler.
Oltre alla pasta e ai formaggi (specialmente parmigiano, gorgonzola, pecorino) gli immigrati italiani hanno contribuito a diffondere tra la popolazione numerosi ortaggi oggi frequenti sui banchi della Migros e della Coop e persino nei mercatini di quartiere, ma rarissimi fino agli anni Cinquanta, quando nel reparto verdure non si trovavano che patate, carote, rape e cavoli. Ora, secondo le stagioni, è facile trovare melanzane, zucchine, cetrioli, finocchi, fagiolini, piselli, peperoni, pomodori, sedano, carciofi, broccoli, radicchio, rucola, ecc.
La cucina italiana ha avuto successo in Svizzera (e nel mondo) anche per alcuni ingredienti, in particolare l’olio d’oliva, il vino e alcuni «sapori» tipici (mediterranei) come l’origano, il rosmarino, il timo, la maggiorana, l’aglio, la cipolla, il peperoncino.
A questo punto, chi può negare che la cucina italiana abbia contribuito ad accrescere la longevità degli svizzeri, com’è quella degli italiani?
Giovanni Longu
Berna, 6.12.2017

1 commento:

  1. Mia nonna,classe 1900,venutaci a trovare, trovo buonissimo il pane svizzero sia bianco che nero, e ne parlò bene fin negli ultimi anni di vita (morì a 96 anni!).A tavola prima di mangiarlo lo odororava estasiata.
    Nino Alizzi

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