09 dicembre 2017

Ginevra, l’Escalade tra storia e leggenda



La Svizzera, ricca di tradizioni viventi, celebra proprio in questi giorni, il fine settimana più vicino all’11 e al 12 dicembre, la festa dell’Escalade, a Ginevra. Essa rievoca un fatto storico, la vittoria dei ginevrini sui soldati savoiardi che tentavano di scalare le mura per aprire le porte della città al grosso delle truppe e impadronirsene. Nel frattempo il mito dei coraggiosi vincitori sugli assalitori ha preso il sopravvento sulla storia, per cui oggi la rievocazione ha soprattutto il carattere di una grande festa popolare, con una grande sfilata storica (circa 800 comparse) e numerose manifestazioni collaterali. All’origine aveva anche un significato religioso: la vittoria, grazie a Dio, dei buoni calvinisti sui cattivi cattolici, un aspetto che viene ancora ricordato con una cerimonia religiosa nella cattedrale di St. Pierre. Questo aspetto, nel 500° anniversario della Riforma, merita a mio avviso qualche considerazione.

Il fatto storico
Verbale del Consiglio di Ginevra del 12.12.1602 relativo al
tentativo delle truppe savoiarde d'impossessarsi della città.
Anzitutto i fatti: la notte tra l’11 e il 12 dicembre 1602 le truppe del duca Carlo Emanuele I di Savoia tentarono di scalare le mura della città di Ginevra ancora avvolta nel sonno per impadronirsene. Qualcuno, probabilmente una guardia, dev’essersene accorto e, dato l’allarme, dopo una breve battaglia gli assalitori furono respinti.
Per comprendere il maldestro tentativo del duca di Savoia occorre fare qualche passo indietro al periodo della Riforma (tra il 1525 e il 1536), quando la Svizzera si divise praticamente in due blocchi: quello dei Cantoni rimasti cattolici e quello dei Cantoni e delle città protestanti. Ginevra costituiva fino al 1536 un principato vescovile autonomo, ma da tempo era in lotta col suo principe vescovo. Dalla parte dei cattolici era schierato anche il Ducato di Savoia, che già possedeva la regione di Vaud ma voleva estendere il proprio dominio anche su Ginevra.
Nel 1536, approfittando di un momento di debolezza dei Savoia, i bernesi, in fase espansionistica, occuparono (facilmente) il paese di Vaud e vi imposero la Riforma. Ginevra vide nei bernesi degli alleati, abbracciò la Riforma ispirata da Giovanni Calvino e divenne città repubblicana indipendente. A sua volta, per consolidare la sua conquista, Berna dovette fra l’altro dotarsi di una piccola flotta militare in grado di fronteggiare le galere savoiarde che solcavano il Lago Lemano. Per questo, raccontano le cronache, fecero venire da Genova i migliori maestri d'ascia del momento, calafati e nocchieri; furono costruite due galere con un equipaggio di 500 uomini e armate di quattro cannoni, falconetti e colubrine.
La Riforma e l’alleanza con i bernesi (insieme a quella con i friburghesi e i francesi) non avevano, però, messo al sicuro Ginevra, tanto è vero che nel 1602, nella notte dell'Escalade, il duca di Savoia fece un nuovo tentativo di impossessarsi della città. E’ a questo punto che le leggende s’intrecciano sui fatti e si confondono soprattutto le motivazioni che spinsero il duca di Savoia a questo ennesimo assalto alla città. 

Tra verità e leggenda
Carlo Emanuele I di Savoia era certamente una persona molto ambiziosa e l’occupazione di Ginevra avrebbe significato estendere il suo dominio su una città che stava diventando sempre più importante non solo sotto il profilo religioso (quale centro del calvinismo era chiamata la «Roma protestante»), ma anche economico (soprattutto come centro commerciale e finanziario). E’ verosimile, tuttavia, che alla base del tentativo di conquistare Ginevra ci fosse anche almeno una parvenza di motivazione religiosa. La città di Calvino era infatti considerata dai tradizionalisti savoiardi una specie di città del diavolo, sede delle potenze del male. Un principe cattolico non poteva che tentare di sottometterla, anche per salvaguardare «il resto della Cristianità in pericolo di subversione [sovversione]».
La Ginevra calvinista pensava evidentemente che il male provenisse piuttosto dall’altra parte, come confermava fra l’altro una convinzione popolare, di cui ho trovato riferimento in una fonte giornalistica del 1911. A Ginevra si era sparsa la voce che il cappellano militare dei savoiardi, un gesuita scozzese, tale Père Alexandre andasse distribuendo tra i soldati ai piedi delle mura ginevrine pronti per l’assalto dei bigliettini manoscritti con frasi tipo «chiunque porterà questo biglietto non morirà in questo giorno né per artifizi diabolici né per opere divine…». Per questo si era sparsa la voce tra la popolazione che Père Alexandre fosse un emissario del diavolo, il più odiato nemico della fede.
Da parte savoiarda ovviamente si negava che il loro cappellano distribuisse talismani propiziatori tra i soldati prima del combattimento. Si disse che un gesuita, «molto istruito come del resto ogni suo confratello» e soprattutto «molto credente (e non paia quest’osservazione fuori luogo per un religioso dell’epoca) e quindi antisuperstizioso», non poteva ricorrere a simili stratagemmi. Fatto sta che la leggenda del padre Alexandre si diffuse tra i ginevrini e il suo nome compare ancora oggi nell’inno di ringraziamento che viene tramandato dal 1603.
Pur ritenendo più leggendaria che vera la figura di questo gesuita, è certamente plausibile che a quei tempi molte superstizioni fossero ancora assai diffuse (del resto alcune lo sono anche adesso) e vi potessero far ricorso anche ecclesiastici, magari per avvicinare maggiormente i «credenti» alla religione. Non è poi singolare che nel racconto il cappellano sia un gesuita, perché allora, dopo il Concilio di Trento (1545-1563) i gesuiti erano considerati, come dice la mia fonte laica, «i più acerrimi combattenti del protestantesimo ed i più sottili e attivi difensori della fede cattolica».

Fini e pretesti
Quanto fatti realmente accaduti e leggende s’intreccino nel racconto del mito lo dimostra anche l’inno di ringraziamento menzionato sopra, con cui i ginevrini ringraziano Dio per averli salvati, ma non lesinano improperi nei confronti dei savoiardi. Più in generale mi sento di poter dire che spesso, soprattutto in passato, nelle lotte di religione i fini religiosi sono stati piuttosto secondari e usati come pretesto per fini e interessi economici e di potere e che, senza questi, probabilmente i contrasti religiosi non sarebbe mai degenerati in vere e proprie guerre anche fratricide.
Giovanni Longu
Berna, 9.12.2017

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